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Spider-Man, tanta tela poca trama



Antonio Carioti



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“Nessuno leggerà mai le storie di un eroe chiamato Uomo Ragno: la gente detesta i ragni”. Così, più o meno, si sentì rispondere Stan Lee, creatore dell’universo fumettistico Marvel, quando propose di lanciare il personaggio di Spider-Man, appunto l’Uomo Ragno. Ma Stan aveva la testa dura e i fatti gli diedero subito ragione.

Il timido Peter Parker, che acquista poteri corrispondenti a quelli di un ragno per uno scherzo del destino, divenne rapidamente un beniamino degli appassionati di comics in America. E ora anche al botteghino cinematografico ha dimostrato di non temere rivali, surclassando anche l’ultimo episodio della saga di Guerre stellari.

Il film, affidato al regista Sam Raimi, deve parecchio agli effetti speciali. Le sequenze in cui Spider-Man sfreccia appeso alla tela fra i grattacieli di New York o combatte l’arcinemico Goblin sono davvero adrenaliniche e rendono in maniera ottimale il dinamismo del fumetto. A rendere penosi i precedenti tentativi di portare l’Uomo Ragno sul grande schermo era stata in primo luogo proprio la mancanza assoluta di spettacolarità, che ne faceva una sorta di caricatura della versione cartacea.

Il nuovo Spider-Man di celluloide emana la tela dal proprio corpo, mentre nel fumetto si tratta di un prodotto sintetico contenuto in appositi lanciaragnatele, ma comunque fa di quei fili sottili e resistenti un uso ottimale, offrendoci acrobazie di prim’ordine. Dove invece si riscontrano diverse lacune è nella trama del film, solo a tratti convincente.

Il problema non riguarda la fedeltà al fumetto, perché anche un collezionista accanito come il sottoscritto deve ammettere che l’adattamento cinematografico ha le sue leggi. Quando si deve offrire una versione consona ai nostri tempi di un personaggio creato nel 1962, sacrificare buona parte dell’ambientazione originale è inevitabile. E altrettanto pesa la necessità di condensare in due ore vicende che negli albi si sono snodate per innumerevoli puntate.

Il guaio è che in questo Spider-Man ci sono incongruenze che anche uno spettatore a digiuno di fumetti non ha difficoltà a notare. Perché mai lo zio del protagonista, ignaro della sua trasformazione nell’Uomo Ragno, gli dovrebbe ricordare che “da un grande potere derivano grandi responsabilità”? Perché in pratica nessuno si insospettisce quando il mingherlino Parker, acquisiti i superpoteri, emette tela dai polsi e poi mette knock out il prestante bullo Flash Thompson? Perché Goblin scopre l’identità segreta di Spider-Man in circostanze complicate, mentre poche scene prima lo aveva in suo potere e poteva benissimo smascherarlo (come peraltro avviene nei fumetti)? Che bisogno c’era di copiare di peso dal terzo film di Batman (Batman Forever) la sequenza sul ponte, con l’alternativa diabolica posta dal cattivo all’eroe? Si potrebbe continuare.

In compenso il cast non è per niente male. Lo spaurito Tobey Maguire è un Uomo Ragno credibile e fedele allo spirito del personaggio, anche se il trauma che subisce per l’uccisione dello zio Ben poteva essere reso meglio. Willem Dafoe è uno splendido e schizofrenico Norman Osborn (alias Goblin), paragonabile alla maiuscola interpretazione del Joker fornita da Jack Nicholson nel primo film di Batman. Si difendono egregiamente anche gli attori che interpretano gli zii di Peter, Harry Osborn (il debole figlio di Goblin) e il burbero direttore di giornale Jonah J. Jameson.

L’unica delusione è Mary Jane, la ragazza del cuore di Spider-Man, interpretata da Kirsten Dunst. Non era facile in effetti dare al personaggio un’adeguata versione cinematografica. Nei fumetti i due s’innamorano (e poi si sposano) quando Peter ha già vissuto altre esperienze sentimentali, con risvolti tragici (la dolce Gwen Stacy muore proprio uccisa da Goblin), ed è un giovanotto molto più maturo rispetto al complessato liceale degli esordi. Qui invece M. J. è il primo amore, la vicina di casa che lui adora da quando erano bambini: tutta la prospettiva cambia e riaggiustarla risulta complicato.

L’impressione è che gli sceneggiatori abbiano cercato di sintetizzare in questa Mary Jane i caratteri delle varie ragazze di cui il protagonista si è di volta in volta innamorato nel fumetto. Ma il risultato è un ibrido privo di mordente. Tanto più che la Dunst, con quel viso paffuto e non molto espressivo, manca terribilmente del brio tipico della classica M. J.

Francamente non si capisce perché Peter ne sia stregato, ma ancor meno si capisce perché, quando lei confessa di amarlo, lui preferisca mantenere il rapporto sul piano dell’amicizia, perché tutto preso dalla sua missione di supereroe. Nel fumetto Parker vive in maniera tragica il contrasto tra la responsabilità connessa ai superpoteri e le sue aspirazioni di ragazzo qualunque, in cima alle quali c’è proprio l’amore. Che nel finale del film rinunci alla ragazza dei suoi sogni è già discutibile, che lo faccia senza alcuna apparente sofferenza è uno stravolgimento gratuito. Davvero gli autori potevano risparmiarselo.



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Il sito della Marvel Comics
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