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Romeo + Giulietta di William Shakespeare



Angelica Alemanno




Il breve studio che segue tenterà di fornire alcuni suggerimenti analitici forniti dallo studio critico della tragedia di Shakespeare Romeo e Giulietta, in funzione dell’adattamento cinematografico di Baz Lhurmann del 1996, che nella già di per sé audace operazione, ha “osato sfidare” il testo originale (anche se non integralmente).

Per tale confronto, seguendo in parte il suggerimento del saggio “Un qualcosa di Simile alla Morte”,di Guido Bulla, docente di Lingua e Letteratura Inglese all’Università “La Sapienza” di Roma, sarà prestata attenzione ad alcune omissioni operate a livello narrativo, cercando di valutarne l’effetto, ai fini dello svolgimento dell’intreccio e della costruzione dei personaggi.

Anticipo i due luoghi principali su cui verte la riflessione: da una parte il film ha ridotto il peso del personaggio di Giulietta, dall’altra ha utilizzato un’intuizione narrativa (l’uso di arene-setting disseminate di segni, di word) senza approfittare appieno dell’opportunità semantica che questa scelta offriva.

Per quanto riguarda Giulietta, la conseguenza del “taglio” adottato dal film appiattisce e riduce lo spessore dell’opera intera. Coerentemente al secondo punto cercherò di tracciare un paio di ipotesi sull’effetto che determinate scelte linguistiche del testo filmico hanno avuto non tanto sull’impatto emotivo, quanto su quello del senso.

Love Story: Scarti narrativi rispetto alll’originale.

Il conflitto che arriva dall’esterno, sottoforma di ostacolo all'amore, ha sempre funzionato. Dice Truby (vedi articolo di Caffè Europa "Dalla gratificazione alla rivelazione" ): “Romeo e Giulietta è un dramma intramontabile. Ma nella società odierna ha ancora senso parlare di famiglie che si oppongono a un amore? Davvero è ancora credibile, o meglio, davvero è ancora appassionante una storia così?”.

E’ indubbio che la tragedia di Shakespeare sia in effetti intramontabile, ma che l’ostacolo delle faide, a ben vedere, non si rivela poi quello predominante nel testo, né risiede lì il fascino della vicenda. Partendo da questo presupposto è facile notare come invece il regista, omettono alcuni gruppi di versi, ha omesso anche il senso profondo della vicenda così come Shakespere la concepì: il carattere femminile di Giulietta.

Ma andiamo per ordine.

Occorre tener conto che la storia di Romeo e Giulietta rientra appieno (per non dire che ne è il prototipo) nella categoria delle love-story. Come tale, a parte le sperimentazioni che il film apporta sul piano della contaminazione di genere -in particolare nel campo dell’ action-western-movie - che rimangono però sul piano del gioco formale, il film segue le regole strutturali di tale plot. Questa love-story però finisce bene nel senso che i due amanti “giaceranno assieme”, ma finisce male perché con la morte di entrambi. E’ per questo che Romeo e Giulietta possiede anche alcune caratteristiche mutuate dal film noir:

- La donna che salva Romeo dalle sue pene d’amore è Giulietta, con la quale l’attrazione sessuale è naturalmete fortissima.
- Il rapporto con Giulietta “tradirà” le sue aspettative, giacché lei è un membro della famiglia Capuleti.
- Una conseguenza diretta del rapporto fra i due è la violenza connessa agli equivoci (quindi non direttamente al loro rapporto)
- La città è il luogo dove maggiormente si lacera il rapporto dei due amanti.
- Non ci sono bambini (anche se nel film di Luhrmann appaiono come frequentatori-coristi della chiesa)
- La sessualità e la violenza coesistono inscindibilmente (tautologico citare l’archetipo narrativo eros-thanatos). Tanto che nel film di Lhurmann si è addirittura optato per un simbolo ricorrente ogniqualvolta che compaiono entrambe: l’acqua (ripetuto una decina volte).
- La condizione esistenziale del personaggio è la solitudine.

L’essenza e la difficoltà maggiore della love-story sta, a quanto dicono i maggiori studiosi di sceneggiatura, proprio nel raccontare l’amore come rivelazione delle parti profonde degli innamorati: essi soltanto nel vaso alchemico della coppia possono emergere come caratteri. In amore ciascuno teme di perdere se stesso, ma quando il gioco funziona ciascuno capisce che il rapporto d’amore è il modo più autentico per trovare quelle parti di sé altrimenti in ombra. In poche parole, la difficoltà della love-story consiste nel descrivere accuratamente lo sviluppo dei protagonisti.

Ora, sul piano dell’originale abbiamo visto (sulla scia dell’analisi di Romana Rutelli) come la tragedia di Shakespeare rivoluzioni dal profondo soprattutto lo sviluppo del personaggio di Giulietta. Tramite questo personaggio femminile, che scardina il modello di donna cortese ritrosa (del quale rimangono solo le ceneri nell’invisibile Rosalina), l’Autore affronta di petto la problematica centrale della tragedia, ovverosia il linguaggio. Luogo sostanziale dei fraintendimenti, sia sul piano comico (dialogico) che su quello tragico (sviluppo del plot), il linguaggio di Romeo e Giulietta è il primo responsabile del precipitare degli eventi: mistificazioni e omissioni, nonché consapevole riforma dello stesso da parte dei protagonisti, la parola ( quel “world” nominato 35 volte) è anche il mezzo privilegiato per quell’utilizzo metateatrale caro a Lombardo e a Bloom. In quest’ottica possiamo dire che l’originalità più significativa (a un livello profondo) dell’opera shakespeariana è tutta nella bocca di Giulietta proprio perché di tutto questo è la prima ad esserne consapevole.

Tramite la passione dialettica di Giulietta avviene anche il maggior cambiamento nel secondo personaggio, Romeo, che fa proprie le riflessioni dell’amata per cambiare. Giulietta ha un grado di consapevolezza quasi istintivo (naturale), mentre Romeo, erede delle dinamiche cavalleresche (culturali), raggiunge maggiore consapevoloezza nel corso del dramma.

Nel film di Luhrmann invece, pur rimanendo l’attenzione sul personaggio di Romeo e sul suo cambiamento, viene tolta a Giulietta gran parte della sua forza, appiattendo lo spessore della sua personalità in funzione di una omologazione con Romeo-Di Caprio. Giulietta non solo non cambia, ma non è più la creatrice della direzione verso la quale si dirige Romeo. In questo modo le problematiche del testo che si fondavano sul personaggio dell’eroina vanno a schiacciarsi sull’unico tema centrale e dominante: quello della faida. Tutti gli ostacoli maggiori derivanti dalla non-comunicazione dei personaggi (volontaria, involontaria o occasionale) sono ridotti a puri accidenti di second’ordine, tanto da far slittare lievemente su un piano protagonistico il personaggio di Romeo che, infatti, è quello che soffre meno dei tagli operati da Luhrmann.

I personaggi e il loro sviluppo

Giulietta vs Romeo.

In sceneggiatura, viene definito fantasma l’evento del passato di un personaggio che lo ossessiona sin dalla prima scena. Nel genere love-story è quasi sempre una delusione sentimentale precedente. Per dichiarare al pubblico l’esistenza di questo fantasma la cosa migliore - argomenta lo stesso maestro degli sceneggiatori John Truby - è farlo emergere tramite un litigio. Il litigio definisce subito i rapporti di forza fra i protagonisti, consente di esporre l’antefatto in modo dinamico e non come se fosse la lettura di un verbale.

Anche nel Romeo + Giulietta di Luhrmann il litigio è dominante (pensiamo soprattutto alla scena 22 che proprio con un litigio -anche se tronco- risolve in modo forte la fine della Scena 1 ATTO IV). Soprattutto la lite, nella love story, rende bene la paura iniziale di ogni amore: la paura di chi, innamorandosi, teme di perdere se stesso e la propria individualità, ma anche la paura di soffrire. E hanno ragione ad avere paura. Perché entrambi gli amanti perderanno effettivamente se stessi. Ma la strategia dell’amore ha una prospettiva futura molto più importante: gli amanti conosceranno se stessi in modo più profondo.

Nel caso di Romeo il fantasma è evidentemente Rosalina, che lui desidera ma non può avere. E non è un caso che l’amore per questa Rosalina sia il motivo principe di incomprensione generazionale tra Romeo-Di Caprio e i suoi genitori che si ostinano a seguirlo nei suoi pellegrinaggi metropolitani. In genere uno dei partner della storia d’amore è descritto come debole, disperato, illuso, impantanato nelle sabbie mobili del quotidiano; nel caso del Romeo + Giulietta di Luhrmann è Romeo, che sceglie il diario quale sfogo “effeminato” (coerente con le accuse che gli rivolgerà frate Lorenzo) alle proprie pulsioni sentimentali.

Quello che però appare nell’originale essenzialmente come necessità onanistica del personaggio di trovare un oggetto alla propria libido, osservazione che emergerà soprattutto dalle acute elaborazioni poetiche di Mercurio (Regina Mab), in Romeo + Giulietta è ridotto a pura astrazione, poiché Romeo viene dipinto come un “poeta maledetto”, sebbene coerente con l’anima noir della fabula. Il giovane amante mantiene una personalità anticonformista rispetto al gruppo, con il quale si diverte, senza mai identificarvisi pienamente o cedere alle lusinghe della sfida verbale (come faceva invece il Romeo originale). Non un debole, dunque, ma un outsider.

Il fantasma di Giulietta è evidentemente il suo essere destinata a sposare il giovane Paride, ed è infatti alla comunicazione di questo evento da parte della madre che è dedicata sia nella versione scespiriana che nell'adattamento cinematografico di Luhrmann la prima apparizione di Giulietta. Nel caso del film, però, l’eccessiva caratterizzazione della figura della madre, talvolta spinta addirittura ad una competizione sul piano erotico con la figlia, offusca la funzione della Nutrice, tanto ricca nell’originale. In Romeo + Giulietta la Nutrice infatti non ha mai lo spazio sufficiente per ritagliarsi un rapporto con Giulietta (è completamente tagliato il monologo Atto I Scena 3), né di costruirsi una propria “ragione” di personaggio, accentuando l’ambiguità già presente nel testo shakespeariano ma in una direzione assolutamente non problematica.

Per quanto riguarda gli obiettivi che si intendono raggiungere attraverso la conquista dell’oggetto del proprio amore, in linea con la scelta prima accennata, troviamo nel film nient’altro che un progressivo scollamento della propria condizione di amanti da quella di eredi delle rispettive famiglie. L’amore, in definitiva, è il modo principale con il quale i personaggi individuano il loro posto nel mondo. Essi entrano in rapporto con se stessi soltanto andando verso l’altro: scoprono cioè che devono fuggire dalla propria situazione. Mentre nel film la chiave della fuga si rivelerà alla fine predominante, nel testo shakespeariano tale presa di coscienza faceva compiere ai protagonisti (prima Giulietta e poi Romeo) un passo ulteriore: li poneva in una profonda condizione critica più generale rispetto al mondo dei valori dell’apparire rispetto a quelli dell’essere, e, solo nell’impossibilità di non poter non-apparire, essi sceglievano di non-essere, cioè di morire.


L’incontro

La scena nella quale si descrive l’incontro tra i due protagonisti di una love-story è fondamentale perché definisce la linea del desiderio dei personaggi e la loro condizione. Nell’incontro è poi importante l’originalità del modo: unico, bizzarro, capace cioè di evocare il concetto di destino, come se la necessità di quel determinato incontro fosse stata decisa altrove. In questo senso nel film di Luhrmann la scelta di far “scoprire” i due protagonisti attraverso il vetro di un acquario risulta fortemente tematica: con l'immagine dell'acqua tornerà costantemente il simbolo dal segno doppio.

L’opposizione

Dopo il modello della storia degli amanti di Verona, molte storie d’amore successive hanno progressivamente spostato l’asse del conflitto da un impedimento esterno ad uno interno alla coppia, soprattutto nel cinema. Nel caso degli amanti di Verona Beach, il setting degli eventi di Romeo + Giulietta, la situazione rimane invece sostanzialmente fedele all’originale: non esistono ostacoli interni alla realizzazione della coppia, e quelli esterni sono comuni per entrambi gli eroi.

A ben guardare si nota come non si possa evitare, nemmeno nella realizzazione filmica, di attribuire alla mancanza di comunicazione tra i personaggi (Romeo+Giulietta vs il Mondo) l’origine di tutti gli equivoci, giacché neanche nel film di Luhrmann vi è mai nessuno che si opponga attivamente al loro amore. Lo stesso Tebaldo che sembra essere l’oppositore principale di Romeo, è in realtà un parente di Giulietta, e quindi un rivale non sul piano sentimentale. Paride di contro, non appartenendo né all’una né all’altra famiglia, non ha mai un confronto diretto con Romeo, e Luhrmann ci evita persino quello nella Cripta. Nell’originale i due finivano per unirsi nel dolore e nella morte (grazie all’estremo atto di umiltà di Romeo) accanto a Giulietta, nella scelta del regista invece il loro incontro si limita a quello muto durante la festa iniziale dei Capuleti (peraltro sottinteso in Shakespeare).

Il Piano, presenza del futuro.

Nelle storie d’amore “canoniche” è prevista in sede di sceneggiatura la realizzazione di una o più scene che identifichino il piano dell’amante nei confronti dell’amato. Per piano si intende generalmente il corpo mistico della parte centrale di una storia d’amore, uno schema legato all’inganno, un elemento che arricchisce la trama, perché nasconde le cose che saranno via via oggetto di rivelazione nella storia. Più il piano è raffinato, meglio funziona.

In Romeo e Giulietta sussiste il piano, ma non è di un amato verso l’altro, bensì di entrambi contro il mondo, coadiuvati dal Frate e (fino ad un certo punto) dalla Balia. Se si esclude come “piano” quello che induce Romeo a partecipare alla festa dei Capuleti con l’espediente della maschera e dell’invito procurato da Mercuzio, tutto ciò che resta della tragedia partecipa del “grande piano” degli amanti, un’architettura tanto perfetta nella mente dei protagonisti quanto fallace e destinata a fallire nella realtà.

L’idea di un piano che unisca in un complice gioco gli amantis mette continuamente i protagonisti in contatto con ciò che dovrà avvenire, cioè il futuro. Nel testo originale sono molte le premonizioni di Giulietta e alcune anche quelle di Romeo. Esse vanno ad alimentare il tessuto dell’ironia tragica sul quale si basano la maggior parte delle tragedie, ovverosia quella parziale saturazione di senso nelle affermazioni dei protagonisti che mettono i personaggi su diversi piani di consapevolezza, tra loro e rispetto agli spettatori.

Nel film di Luhrmann l’attenzione nei confronti del “presagito” è molto forte, e non è un caso che una vicenda come quella di Romeo + Giulietta non dia spazio al ricordo, al passato (e quindi al cinema col flash back), ma che anzi sia tutta proiettata verso il futuro. L’unica evocazione di passato di tutto il film è l’incubo di Romeo che si sveglia nel letto di Giulietta con l’immagine del corpo martoriato di Tebaldo (scena 21). Il paradosso della non-comunicazione risiede proprio nel fatto che personaggi che tanto ignorano, tanto riescono a prevedere. L’espediente usato a questo proposito è naturalmente il flash forward.

Il primo flash forward si trova subito nella sequenza di montage iniziale quando la cronista anticipa gli eventi attraverso l’enunciazione del testo del Coro. La “panoramica” che segue è reale e metaforica, mostrandoci in rapida successione, insieme alla città dall’alto, alcune inquadrature degli eventi che verranno; naturalmente mancano da tali immagini i due protagonisti (come mancano nel coro i loro nomi), che ci verranno mostrati solo di lì a poco. Poi c’è il flash forward di Romeo che cita il proprio presagio mostrandoci anzitempo il suo ingresso nella Cripta; e poi ancora il flash forward immaginario del Frate, articolato narrativamente nella successione di causa-effetto, che immagina erroneamente le conseguenze positive del matrimonio che Romeo chiede al Frate di celebrare. E poi ancora quello in cui lo stesso personaggio visualizza le conseguenze della morte apparente di Giulietta, e quello in cui quest’ultima, sfiduciata dal piano, si immagina nell’abito da sposa di Paride.

Le tappe

Vi sono tappe considerate importanti nella trama centrale di una storia d’amore. Questi luoghi “canonici” sono fondamentalmente tre. Anzitutto il primo ballo. Al cinema l’amore deve essere manifestato attraverso l’azione e il primo ballo rappresenta quel momento sottile in cui si capisce che gli amanti hanno qualcosa in comune. Può trattarsi letteralmente di un ballo come avviene proprio in Romeo + Giulietta, oppure di un “ballo” in senso figurato. Ma già dal "primo ballo" la storia d’amore deve mostrare i suoi ostacoli, in modo da formulare la differenza tra i due amanti. Nel film di Luhrmann questa funzione è pienamente assolta dalla sequenza della festa, dove ha gran peso l’ossessiva presenza dei genitori di Giulietta (famiglia=faida) e la figura di Paride.

Seconda tappa, seppure non indispensabile: il bacio. In questo il regista si è mostrato particolarmente attento a mostrarcelo esattamente dov’era previsto dal testo originale (dopo la battuta di Romeo: “Then move not! While my prayer’s effect i take”), salvo reiterarlo infinite volte per la soddisfazione di tutte le teen ager.

Il terzo momento chiave della parte centrale nella love-story è la rottura. Il personaggio che ne è protagonista reagisce con la rabbia dell’ego. Ma dentro di sé qualcosa gli fa capire che le vecchie convenzioni hanno perso significato. È l’avvio di un cambiamento morale, una caduta che conduce il personaggio su un cammino di nuova conoscenza della propria anima. La rottura poi è un balsamo sul piano della trama, perché permette di introdurre la reazione più istintiva dell’amante: la vendetta. In Cime tempestose, Heatcliff torna da ricco per far pagare le umiliazioni subite in passato dalla famiglia di Cathy, poi caduta in disgrazia.

Ora, nel testo di Romeo + Giulietta, la Scena 2 dell’ ATTO ci mostra in modo inequivocabile questo momento, prima con il monologo di Giulietta sul proprio desiderio erotico, poi con la sua reazione alla morte di Tebaldo (così mirabilmente confusa dalla balia). Ed è proprio sulla linea del personaggio di Giulietta che la rottura, dovuta al ruolo di Romeo nel duello di faida con Tebaldo, gioca maggiormente le sue potenzialità narrative e psicologiche.

Possiamo immaginare quale densa varità di emozioni l’attrice che interpreta Giulietta dovrebbe esprimere in queste due scene (Giulietta, nel testo di Shakespeare, si rivela in questa circostanza insieme curiosa, scaltra, violenta, pietosa). Ed è per questo che proprio laddove il carattere di Giulietta aveva modo di dispiegarsi ed esprimersi nelle sue sfumature più sottili, Luhrmann taglia di netto, passando dal desiderio di Giulietta di vedere Romeo (vv 23-31, sezione del monologo), scena 17, a quella del dubbio sull’azione del marito (vv.101-104, poco, tanto poco!), scena 21, cui segue immediatamente l’entrata in scena di Romeo.

Occorre prestare attenzione perché siamo alle soglie di quello che nella terminologia di Chris Vogler, altro teorico della struttura narrativa cinematografica, viene definito il Terzo Atto. Gli eventi cominciano a precipitare e non c’è più tempo di "seminare" altri appuntamenti. Non è un caso che il film tagli di netto l’idea di Romeo di far portare a Giulietta una scala per salire nella sua camera: abbiamo già visto che Romeo è in grado di scalare il fatidico balcone quando dà l’ultimo bacio a Giulietta dopo la festa (scena 11), e così non ci stupiamo di trovarcelo nella sua stanza mentre Paride è giù a stabilire il giorno del matrimonio.

Questa scelta permette d’introdurre la scena d’amore (muta) che nel testo di Shakespeare appare solo nel suo epilogo: quelle dell’alba. Giocando maggiormente nel corso dell’incontro notturno degli amanti il piano del coinvolgimento emotivo dello spettatore, la scena del risveglio, così nota nell’originale (Scena 5, ATTO III), perde la sua pregnanza lirica, nonostante il tentativo di avvolgere i due in un visto e rivisto gioco con le lenzuola. Non è un caso, in questa linea, che il secondo movimento della scena (incontro con la madre e scontro sul matrimonio organizzato dal padre) sia stato totalmente appiattito sul conflitto - un’altra lite dunque - saltando a pié pari l’articolata polisemia che Giulietta orchestra nell’esprimere il proprio desiderio di vendetta.

Qualche conclusione

Credo di poter avanzare una modesta ipotesi sull’effetto che lo spasmodico ritmo “post-moderno” - un linguaggio da MTV, come lo definisce Paola Casella a proposito di Moulin Rouge (Moulin Rouge, la love story che ci meritiamo ), - ha ottenuto sul film e dunque sul testo. O meglio, su ciò che ha levato a Shakespeare. L’eccessiva frantumazione in primi piani delle scene chiave ha eliminato tutta la potenza drammaturgia di alcune scene, soprattutto nei movimenti di maggior conflitto tra i personaggi, dove quasi perdiamo il punto di vista e la loro collocazione nello spazio.

Se l’effetto che si voleva ottenere fosse stato quello di “straniamento”, occorre dire che già abituarsi a sentir recitare attori contemporanei in pentametri giambici allontanava non poco dall’immedesimazione. Ma soprattutto il regista ha scelto senza soluzione di continuità quel tipo di montaggio definito da Bazin “proibito”, impedendo la sospensione dell’incredulità, l’armonia della scena, la scansione in beat calibrati e pensati. Una sorta di confusione a volte eccessiva che inficia la funzione stessa del montaggio e mina la scelta stilistica del regista smorzandone l’efficacia. Un’auto-goal, si potrebbe dire.

Vincenzo Cerami sostiene che “un linguaggio, se vuole mantenere intatte tutte le potenzialità artistiche, deve salvaguardare le sue capacità evocative. Alla base c’è l’equazione secondo la quale quanto più un linguaggio è povero di mezzi, tanto più densa e ricca è la sua forza evocativa […]. Voglio suggerire un indice di intensità di evocazione che corrisponde fatalmente a precise potenzialità immaginative e artistiche: se la letteratura è 5 e il cinema 1, allora nella radio sarà 4, nel teatro 3, nella televisione 2.”

Per quanto riguarda l’evidente scarto del film rispetto al testo shakespearianiano (come quasi sempre, negli adattamenti) ciò che maggiormente ne risente è proprio la pregnanza evocatrice e meta-testuale del linguaggio verbale, che sappiamo più specifico del linguaggio poetico e teatrale. Ma giacché l’originalità della tragedia in generale, e di Giulietta in particolare, risiede proprio nella rivoluzione d’uso che viene fatto della parola, sarebbe stato bello immaginare un uso delle immagini (anziché delle parole) altrettanto profondo e innovativo. Sappiamo che per Giulietta il segno linguistico è una sorta di interlocutore personale, un gioco dialettico che compie come Romeo (nel film col diario) gioca con i suoi sogni d’amore.

Nel film di Luhrmann, la tecnica da videoclip, emblema della nostra iconografia moderna, sarebbe stata davvero efficace se fosse stata usata criticamente, come Giulietta usa il linguaggio cortese dell’epoca, contraddicendolo dall’interno. L’intuizione di “visualizzare” le word nel film, oltre a rimandare continuamente al testo, e a funzionare come veicolo di citazione, avrebbe potuto facilmente essere utilizzato come veicolo di informazioni “errate”, devianti, mistificanti per i personaggi.

L’unico senso in cui l’esuberanza di dettagli sui simboli della modernità (i cartelloni pubblicitari) avrebbe acquistato spessore sarebbe stato nell’uso del logo in un’ottica alla Popolo di Seattle. Criticando cioè le famiglie rivali per quello che rappresentano, più che per quello che sono: multinazionali che dietro una parvenza di candido potere celano i più terribili traffici e le più insospettabili forme di sfruttamento. Sequenze mute di montage che non avrebbero avuto bisogno di parole, ma sarebbero state sufficienti ad evocare quella differenza tra essere e apparire su cui - Giulietta nel testo originale, la tragedia in generale - ci avrebbe dato modo di riflettere.

 

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