Romeo + Giulietta
di William Shakespeare
Angelica Alemanno
Il breve studio che segue tenterà di fornire alcuni suggerimenti
analitici forniti dallo studio critico della tragedia di Shakespeare
Romeo e Giulietta, in funzione dell’adattamento cinematografico di
Baz Lhurmann del 1996, che nella già di per sé audace operazione, ha
“osato sfidare” il testo originale (anche se non integralmente).
Per tale confronto, seguendo in parte il suggerimento del saggio “Un
qualcosa di Simile alla Morte”,di Guido Bulla, docente di Lingua e
Letteratura Inglese all’Università “La Sapienza” di Roma, sarà
prestata attenzione ad alcune omissioni operate a livello narrativo,
cercando di valutarne l’effetto, ai fini dello svolgimento dell’intreccio
e della costruzione dei personaggi.
Anticipo i due luoghi principali su cui verte la riflessione: da una
parte il film ha ridotto il peso del personaggio di Giulietta, dall’altra
ha utilizzato un’intuizione narrativa (l’uso di arene-setting
disseminate di segni, di word) senza approfittare appieno dell’opportunità
semantica che questa scelta offriva.
Per quanto riguarda Giulietta, la conseguenza del “taglio”
adottato dal film appiattisce e riduce lo spessore dell’opera
intera. Coerentemente al secondo punto cercherò di tracciare un paio
di ipotesi sull’effetto che determinate scelte linguistiche del
testo filmico hanno avuto non tanto sull’impatto emotivo, quanto su
quello del senso.
Love Story: Scarti narrativi rispetto alll’originale.
Il conflitto che arriva dall’esterno, sottoforma di ostacolo
all'amore, ha sempre funzionato. Dice Truby (vedi articolo di Caffè
Europa "Dalla
gratificazione alla rivelazione" ): “Romeo e Giulietta è
un dramma intramontabile. Ma nella società odierna ha ancora senso
parlare di famiglie che si oppongono a un amore? Davvero è ancora
credibile, o meglio, davvero è ancora appassionante una storia così?”.
E’ indubbio che la tragedia di Shakespeare sia in effetti
intramontabile, ma che l’ostacolo delle faide, a ben vedere, non si
rivela poi quello predominante nel testo, né risiede lì il fascino
della vicenda. Partendo da questo presupposto è facile notare come
invece il regista, omettono alcuni gruppi di versi, ha omesso anche il
senso profondo della vicenda così come Shakespere la concepì: il
carattere femminile di Giulietta.

Ma andiamo per ordine.
Occorre tener conto che la storia di Romeo e Giulietta rientra appieno
(per non dire che ne è il prototipo) nella categoria delle
love-story. Come tale, a parte le sperimentazioni che il film apporta
sul piano della contaminazione di genere -in particolare nel campo
dell’ action-western-movie - che rimangono però sul piano del gioco
formale, il film segue le regole strutturali di tale plot. Questa
love-story però finisce bene nel senso che i due amanti “giaceranno
assieme”, ma finisce male perché con la morte di entrambi. E’ per
questo che Romeo e Giulietta possiede anche alcune caratteristiche
mutuate dal film noir:
- La donna che salva Romeo dalle sue pene d’amore è Giulietta, con
la quale l’attrazione sessuale è naturalmete fortissima.
- Il rapporto con Giulietta “tradirà” le sue aspettative,
giacché lei è un membro della famiglia Capuleti.
- Una conseguenza diretta del rapporto fra i due è la violenza
connessa agli equivoci (quindi non direttamente al loro rapporto)
- La città è il luogo dove maggiormente si lacera il rapporto dei
due amanti.
- Non ci sono bambini (anche se nel film di Luhrmann appaiono come
frequentatori-coristi della chiesa)
- La sessualità e la violenza coesistono inscindibilmente
(tautologico citare l’archetipo narrativo eros-thanatos). Tanto che
nel film di Lhurmann si è addirittura optato per un simbolo
ricorrente ogniqualvolta che compaiono entrambe: l’acqua (ripetuto
una decina volte).
- La condizione esistenziale del personaggio è la solitudine.
L’essenza e la difficoltà maggiore della love-story sta, a quanto
dicono i maggiori studiosi di sceneggiatura, proprio nel raccontare l’amore
come rivelazione delle parti profonde degli innamorati: essi soltanto
nel vaso alchemico della coppia possono emergere come caratteri. In
amore ciascuno teme di perdere se stesso, ma quando il gioco funziona
ciascuno capisce che il rapporto d’amore è il modo più autentico
per trovare quelle parti di sé altrimenti in ombra. In poche parole,
la difficoltà della love-story consiste nel descrivere accuratamente
lo sviluppo dei protagonisti.
Ora, sul piano dell’originale abbiamo visto (sulla scia dell’analisi
di Romana Rutelli) come la tragedia di Shakespeare rivoluzioni dal
profondo soprattutto lo sviluppo del personaggio di Giulietta. Tramite
questo personaggio femminile, che scardina il modello di donna cortese
ritrosa (del quale rimangono solo le ceneri nell’invisibile
Rosalina), l’Autore affronta di petto la problematica centrale della
tragedia, ovverosia il linguaggio. Luogo sostanziale dei
fraintendimenti, sia sul piano comico (dialogico) che su quello
tragico (sviluppo del plot), il linguaggio di Romeo e Giulietta è il
primo responsabile del precipitare degli eventi: mistificazioni e
omissioni, nonché consapevole riforma dello stesso da parte dei
protagonisti, la parola ( quel “world” nominato 35 volte) è anche
il mezzo privilegiato per quell’utilizzo metateatrale caro a
Lombardo e a Bloom. In quest’ottica possiamo dire che l’originalità
più significativa (a un livello profondo) dell’opera shakespeariana
è tutta nella bocca di Giulietta proprio perché di tutto questo è
la prima ad esserne consapevole.
Tramite la passione dialettica di Giulietta avviene anche il maggior
cambiamento nel secondo personaggio, Romeo, che fa proprie le
riflessioni dell’amata per cambiare. Giulietta ha un grado di
consapevolezza quasi istintivo (naturale), mentre Romeo, erede delle
dinamiche cavalleresche (culturali), raggiunge maggiore
consapevoloezza nel corso del dramma.
Nel film di Luhrmann invece, pur rimanendo l’attenzione sul
personaggio di Romeo e sul suo cambiamento, viene tolta a Giulietta
gran parte della sua forza, appiattendo lo spessore della sua
personalità in funzione di una omologazione con Romeo-Di Caprio.
Giulietta non solo non cambia, ma non è più la creatrice della
direzione verso la quale si dirige Romeo. In questo modo le
problematiche del testo che si fondavano sul personaggio dell’eroina
vanno a schiacciarsi sull’unico tema centrale e dominante: quello
della faida. Tutti gli ostacoli maggiori derivanti dalla
non-comunicazione dei personaggi (volontaria, involontaria o
occasionale) sono ridotti a puri accidenti di second’ordine, tanto
da far slittare lievemente su un piano protagonistico il personaggio
di Romeo che, infatti, è quello che soffre meno dei tagli operati da
Luhrmann.
I personaggi e il loro sviluppo
Giulietta vs Romeo.
In sceneggiatura, viene definito fantasma l’evento del passato di un
personaggio che lo ossessiona sin dalla prima scena. Nel genere
love-story è quasi sempre una delusione sentimentale precedente. Per
dichiarare al pubblico l’esistenza di questo fantasma la cosa
migliore - argomenta lo stesso maestro degli sceneggiatori John Truby
- è farlo emergere tramite un litigio. Il litigio definisce subito i
rapporti di forza fra i protagonisti, consente di esporre l’antefatto
in modo dinamico e non come se fosse la lettura di un verbale.
Anche nel Romeo + Giulietta di Luhrmann il litigio è dominante
(pensiamo soprattutto alla scena 22 che proprio con un litigio -anche
se tronco- risolve in modo forte la fine della Scena 1 ATTO IV).
Soprattutto la lite, nella love story, rende bene la paura iniziale di
ogni amore: la paura di chi, innamorandosi, teme di perdere se stesso
e la propria individualità, ma anche la paura di soffrire. E hanno
ragione ad avere paura. Perché entrambi gli amanti perderanno
effettivamente se stessi. Ma la strategia dell’amore ha una
prospettiva futura molto più importante: gli amanti conosceranno se
stessi in modo più profondo.
Nel caso di Romeo il fantasma è evidentemente Rosalina, che lui
desidera ma non può avere. E non è un caso che l’amore per questa
Rosalina sia il motivo principe di incomprensione generazionale tra
Romeo-Di Caprio e i suoi genitori che si ostinano a seguirlo nei suoi
pellegrinaggi metropolitani. In genere uno dei partner della storia d’amore
è descritto come debole, disperato, illuso, impantanato nelle sabbie
mobili del quotidiano; nel caso del Romeo + Giulietta di Luhrmann è
Romeo, che sceglie il diario quale sfogo “effeminato” (coerente
con le accuse che gli rivolgerà frate Lorenzo) alle proprie pulsioni
sentimentali.
Quello che però appare nell’originale essenzialmente come
necessità onanistica del personaggio di trovare un oggetto alla
propria libido, osservazione che emergerà soprattutto dalle acute
elaborazioni poetiche di Mercurio (Regina Mab), in Romeo + Giulietta
è ridotto a pura astrazione, poiché Romeo viene dipinto come un “poeta
maledetto”, sebbene coerente con l’anima noir della fabula. Il
giovane amante mantiene una personalità anticonformista rispetto al
gruppo, con il quale si diverte, senza mai identificarvisi pienamente
o cedere alle lusinghe della sfida verbale (come faceva invece il
Romeo originale). Non un debole, dunque, ma un outsider.
Il fantasma di Giulietta è evidentemente il suo essere destinata a
sposare il giovane Paride, ed è infatti alla comunicazione di questo
evento da parte della madre che è dedicata sia nella versione
scespiriana che nell'adattamento cinematografico di Luhrmann la prima
apparizione di Giulietta. Nel caso del film, però, l’eccessiva
caratterizzazione della figura della madre, talvolta spinta
addirittura ad una competizione sul piano erotico con la figlia,
offusca la funzione della Nutrice, tanto ricca nell’originale. In
Romeo + Giulietta la Nutrice infatti non ha mai lo spazio sufficiente
per ritagliarsi un rapporto con Giulietta (è completamente tagliato
il monologo Atto I Scena 3), né di costruirsi una propria “ragione”
di personaggio, accentuando l’ambiguità già presente nel testo
shakespeariano ma in una direzione assolutamente non problematica.
Per quanto riguarda gli obiettivi che si intendono raggiungere
attraverso la conquista dell’oggetto del proprio amore, in linea con
la scelta prima accennata, troviamo nel film nient’altro che un
progressivo scollamento della propria condizione di amanti da quella
di eredi delle rispettive famiglie. L’amore, in definitiva, è il
modo principale con il quale i personaggi individuano il loro posto
nel mondo. Essi entrano in rapporto con se stessi soltanto andando
verso l’altro: scoprono cioè che devono fuggire dalla propria
situazione. Mentre nel film la chiave della fuga si rivelerà alla
fine predominante, nel testo shakespeariano tale presa di coscienza
faceva compiere ai protagonisti (prima Giulietta e poi Romeo) un passo
ulteriore: li poneva in una profonda condizione critica più generale
rispetto al mondo dei valori dell’apparire rispetto a quelli dell’essere,
e, solo nell’impossibilità di non poter non-apparire, essi
sceglievano di non-essere, cioè di morire.
L’incontro
La scena nella quale si descrive l’incontro tra i due protagonisti
di una love-story è fondamentale perché definisce la linea del
desiderio dei personaggi e la loro condizione. Nell’incontro è poi
importante l’originalità del modo: unico, bizzarro, capace cioè di
evocare il concetto di destino, come se la necessità di quel
determinato incontro fosse stata decisa altrove. In questo senso nel
film di Luhrmann la scelta di far “scoprire” i due protagonisti
attraverso il vetro di un acquario risulta fortemente tematica: con
l'immagine dell'acqua tornerà costantemente il simbolo dal segno
doppio.
L’opposizione
Dopo il modello della storia degli amanti di Verona, molte storie d’amore
successive hanno progressivamente spostato l’asse del conflitto da
un impedimento esterno ad uno interno alla coppia, soprattutto nel
cinema. Nel caso degli amanti di Verona Beach, il setting degli eventi
di Romeo + Giulietta, la situazione rimane invece sostanzialmente
fedele all’originale: non esistono ostacoli interni alla
realizzazione della coppia, e quelli esterni sono comuni per entrambi
gli eroi.
A ben guardare si nota come non si possa evitare, nemmeno nella
realizzazione filmica, di attribuire alla mancanza di comunicazione
tra i personaggi (Romeo+Giulietta vs il Mondo) l’origine di tutti
gli equivoci, giacché neanche nel film di Luhrmann vi è mai nessuno
che si opponga attivamente al loro amore. Lo stesso Tebaldo che sembra
essere l’oppositore principale di Romeo, è in realtà un parente di
Giulietta, e quindi un rivale non sul piano sentimentale. Paride di
contro, non appartenendo né all’una né all’altra famiglia, non
ha mai un confronto diretto con Romeo, e Luhrmann ci evita persino
quello nella Cripta. Nell’originale i due finivano per unirsi nel
dolore e nella morte (grazie all’estremo atto di umiltà di Romeo)
accanto a Giulietta, nella scelta del regista invece il loro incontro
si limita a quello muto durante la festa iniziale dei Capuleti
(peraltro sottinteso in Shakespeare).
Il Piano, presenza del futuro.
Nelle storie d’amore “canoniche” è prevista in sede di
sceneggiatura la realizzazione di una o più scene che identifichino
il piano dell’amante nei confronti dell’amato. Per piano si
intende generalmente il corpo mistico della parte centrale di una
storia d’amore, uno schema legato all’inganno, un elemento che
arricchisce la trama, perché nasconde le cose che saranno via via
oggetto di rivelazione nella storia. Più il piano è raffinato,
meglio funziona.
In Romeo e Giulietta sussiste il piano, ma non è di un amato verso l’altro,
bensì di entrambi contro il mondo, coadiuvati dal Frate e (fino ad un
certo punto) dalla Balia. Se si esclude come “piano” quello che
induce Romeo a partecipare alla festa dei Capuleti con l’espediente
della maschera e dell’invito procurato da Mercuzio, tutto ciò che
resta della tragedia partecipa del “grande piano” degli amanti, un’architettura
tanto perfetta nella mente dei protagonisti quanto fallace e destinata
a fallire nella realtà.
L’idea di un piano che unisca in un complice gioco gli amantis mette
continuamente i protagonisti in contatto con ciò che dovrà avvenire,
cioè il futuro. Nel testo originale sono molte le premonizioni di
Giulietta e alcune anche quelle di Romeo. Esse vanno ad alimentare il
tessuto dell’ironia tragica sul quale si basano la maggior parte
delle tragedie, ovverosia quella parziale saturazione di senso nelle
affermazioni dei protagonisti che mettono i personaggi su diversi
piani di consapevolezza, tra loro e rispetto agli spettatori.
Nel film di Luhrmann l’attenzione nei confronti del “presagito”
è molto forte, e non è un caso che una vicenda come quella di Romeo
+ Giulietta non dia spazio al ricordo, al passato (e quindi al cinema
col flash back), ma che anzi sia tutta proiettata verso il futuro. L’unica
evocazione di passato di tutto il film è l’incubo di Romeo che si
sveglia nel letto di Giulietta con l’immagine del corpo martoriato
di Tebaldo (scena 21). Il paradosso della non-comunicazione risiede
proprio nel fatto che personaggi che tanto ignorano, tanto riescono a
prevedere. L’espediente usato a questo proposito è naturalmente il
flash forward.
Il primo flash forward si trova subito nella sequenza di montage
iniziale quando la cronista anticipa gli eventi attraverso l’enunciazione
del testo del Coro. La “panoramica” che segue è reale e
metaforica, mostrandoci in rapida successione, insieme alla città
dall’alto, alcune inquadrature degli eventi che verranno;
naturalmente mancano da tali immagini i due protagonisti (come mancano
nel coro i loro nomi), che ci verranno mostrati solo di lì a poco.
Poi c’è il flash forward di Romeo che cita il proprio presagio
mostrandoci anzitempo il suo ingresso nella Cripta; e poi ancora il
flash forward immaginario del Frate, articolato narrativamente nella
successione di causa-effetto, che immagina erroneamente le conseguenze
positive del matrimonio che Romeo chiede al Frate di celebrare. E poi
ancora quello in cui lo stesso personaggio visualizza le conseguenze
della morte apparente di Giulietta, e quello in cui quest’ultima,
sfiduciata dal piano, si immagina nell’abito da sposa di Paride.
Le tappe
Vi sono tappe considerate importanti nella trama centrale di una
storia d’amore. Questi luoghi “canonici” sono fondamentalmente
tre. Anzitutto il primo ballo. Al cinema l’amore deve essere
manifestato attraverso l’azione e il primo ballo rappresenta quel
momento sottile in cui si capisce che gli amanti hanno qualcosa in
comune. Può trattarsi letteralmente di un ballo come avviene proprio
in Romeo + Giulietta, oppure di un “ballo” in senso figurato. Ma
già dal "primo ballo" la storia d’amore deve mostrare i
suoi ostacoli, in modo da formulare la differenza tra i due amanti.
Nel film di Luhrmann questa funzione è pienamente assolta dalla
sequenza della festa, dove ha gran peso l’ossessiva presenza dei
genitori di Giulietta (famiglia=faida) e la figura di Paride.
Seconda tappa, seppure non indispensabile: il bacio. In questo il
regista si è mostrato particolarmente attento a mostrarcelo
esattamente dov’era previsto dal testo originale (dopo la battuta di
Romeo: “Then move not! While my prayer’s effect i take”), salvo
reiterarlo infinite volte per la soddisfazione di tutte le teen ager.
Il terzo momento chiave della parte centrale nella love-story è la
rottura. Il personaggio che ne è protagonista reagisce con la rabbia
dell’ego. Ma dentro di sé qualcosa gli fa capire che le vecchie
convenzioni hanno perso significato. È l’avvio di un cambiamento
morale, una caduta che conduce il personaggio su un cammino di nuova
conoscenza della propria anima. La rottura poi è un balsamo sul piano
della trama, perché permette di introdurre la reazione più istintiva
dell’amante: la vendetta. In Cime tempestose, Heatcliff torna da
ricco per far pagare le umiliazioni subite in passato dalla famiglia
di Cathy, poi caduta in disgrazia.
Ora, nel testo di Romeo + Giulietta, la Scena 2 dell’ ATTO ci mostra
in modo inequivocabile questo momento, prima con il monologo di
Giulietta sul proprio desiderio erotico, poi con la sua reazione alla
morte di Tebaldo (così mirabilmente confusa dalla balia). Ed è
proprio sulla linea del personaggio di Giulietta che la rottura,
dovuta al ruolo di Romeo nel duello di faida con Tebaldo, gioca
maggiormente le sue potenzialità narrative e psicologiche.
Possiamo immaginare quale densa varità di emozioni l’attrice che
interpreta Giulietta dovrebbe esprimere in queste due scene
(Giulietta, nel testo di Shakespeare, si rivela in questa circostanza
insieme curiosa, scaltra, violenta, pietosa). Ed è per questo che
proprio laddove il carattere di Giulietta aveva modo di dispiegarsi ed
esprimersi nelle sue sfumature più sottili, Luhrmann taglia di netto,
passando dal desiderio di Giulietta di vedere Romeo (vv 23-31, sezione
del monologo), scena 17, a quella del dubbio sull’azione del marito
(vv.101-104, poco, tanto poco!), scena 21, cui segue immediatamente l’entrata
in scena di Romeo.
Occorre prestare attenzione perché siamo alle soglie di quello che
nella terminologia di Chris Vogler, altro teorico della struttura
narrativa cinematografica, viene definito il Terzo Atto. Gli eventi
cominciano a precipitare e non c’è più tempo di
"seminare" altri appuntamenti. Non è un caso che il film
tagli di netto l’idea di Romeo di far portare a Giulietta una scala
per salire nella sua camera: abbiamo già visto che Romeo è in grado
di scalare il fatidico balcone quando dà l’ultimo bacio a Giulietta
dopo la festa (scena 11), e così non ci stupiamo di trovarcelo nella
sua stanza mentre Paride è giù a stabilire il giorno del matrimonio.
Questa scelta permette d’introdurre la scena d’amore (muta) che
nel testo di Shakespeare appare solo nel suo epilogo: quelle dell’alba.
Giocando maggiormente nel corso dell’incontro notturno degli amanti
il piano del coinvolgimento emotivo dello spettatore, la scena del
risveglio, così nota nell’originale (Scena 5, ATTO III), perde la
sua pregnanza lirica, nonostante il tentativo di avvolgere i due in un
visto e rivisto gioco con le lenzuola. Non è un caso, in questa
linea, che il secondo movimento della scena (incontro con la madre e
scontro sul matrimonio organizzato dal padre) sia stato totalmente
appiattito sul conflitto - un’altra lite dunque - saltando a pié
pari l’articolata polisemia che Giulietta orchestra nell’esprimere
il proprio desiderio di vendetta.
Qualche conclusione
Credo di poter avanzare una modesta ipotesi sull’effetto che lo
spasmodico ritmo “post-moderno” - un linguaggio da MTV, come lo
definisce Paola Casella a proposito di Moulin Rouge (Moulin
Rouge, la love story che ci meritiamo ), - ha ottenuto sul film e
dunque sul testo. O meglio, su ciò che ha levato a Shakespeare. L’eccessiva
frantumazione in primi piani delle scene chiave ha eliminato tutta la
potenza drammaturgia di alcune scene, soprattutto nei movimenti di
maggior conflitto tra i personaggi, dove quasi perdiamo il punto di
vista e la loro collocazione nello spazio.
Se l’effetto che si voleva ottenere fosse stato quello di “straniamento”,
occorre dire che già abituarsi a sentir recitare attori contemporanei
in pentametri giambici allontanava non poco dall’immedesimazione. Ma
soprattutto il regista ha scelto senza soluzione di continuità quel
tipo di montaggio definito da Bazin “proibito”, impedendo la
sospensione dell’incredulità, l’armonia della scena, la scansione
in beat calibrati e pensati. Una sorta di confusione a volte eccessiva
che inficia la funzione stessa del montaggio e mina la scelta
stilistica del regista smorzandone l’efficacia. Un’auto-goal, si
potrebbe dire.
Vincenzo Cerami sostiene che “un linguaggio, se vuole mantenere
intatte tutte le potenzialità artistiche, deve salvaguardare le sue
capacità evocative. Alla base c’è l’equazione secondo la quale
quanto più un linguaggio è povero di mezzi, tanto più densa e ricca
è la sua forza evocativa […]. Voglio suggerire un indice di
intensità di evocazione che corrisponde fatalmente a precise
potenzialità immaginative e artistiche: se la letteratura è 5 e il
cinema 1, allora nella radio sarà 4, nel teatro 3, nella televisione
2.”
Per quanto riguarda l’evidente scarto del film rispetto al testo
shakespearianiano (come quasi sempre, negli adattamenti) ciò che
maggiormente ne risente è proprio la pregnanza evocatrice e
meta-testuale del linguaggio verbale, che sappiamo più specifico del
linguaggio poetico e teatrale. Ma giacché l’originalità della
tragedia in generale, e di Giulietta in particolare, risiede proprio
nella rivoluzione d’uso che viene fatto della parola, sarebbe stato
bello immaginare un uso delle immagini (anziché delle parole)
altrettanto profondo e innovativo. Sappiamo che per Giulietta il segno
linguistico è una sorta di interlocutore personale, un gioco
dialettico che compie come Romeo (nel film col diario) gioca con i
suoi sogni d’amore.
Nel film di Luhrmann, la tecnica da videoclip, emblema della nostra
iconografia moderna, sarebbe stata davvero efficace se fosse stata
usata criticamente, come Giulietta usa il linguaggio cortese dell’epoca,
contraddicendolo dall’interno. L’intuizione di “visualizzare”
le word nel film, oltre a rimandare continuamente al testo, e a
funzionare come veicolo di citazione, avrebbe potuto facilmente essere
utilizzato come veicolo di informazioni “errate”, devianti,
mistificanti per i personaggi.
L’unico senso in cui l’esuberanza di dettagli sui simboli della
modernità (i cartelloni pubblicitari) avrebbe acquistato spessore
sarebbe stato nell’uso del logo in un’ottica alla Popolo di
Seattle. Criticando cioè le famiglie rivali per quello che
rappresentano, più che per quello che sono: multinazionali che dietro
una parvenza di candido potere celano i più terribili traffici e le
più insospettabili forme di sfruttamento. Sequenze mute di montage
che non avrebbero avuto bisogno di parole, ma sarebbero state
sufficienti ad evocare quella differenza tra essere e apparire su cui
- Giulietta nel testo originale, la tragedia in generale - ci avrebbe
dato modo di riflettere.
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