Le perle del
concorso
Leonardo Gandini
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Le perle del concorso
Forse non senza malizia, i selezionatori dei film in concorso al
festival di Venezia si sono divertiti ad allestire un cartellone che
incrina le più stereotipate convinzioni sulle cinematografie
nazionali, in particolare sulla loro presunta inclinazione a produrre
film tradizionali o poco innovativi nel linguaggio e nei temi. E’
così che, per una volta, le opere più anticonformiste e
trasgressive, sotto tutti i punti di vista, arrivano dagli Stati
Uniti. Waking Life di Richard Linklater (fattosi conoscere in
Italia con Prima dell’alba), ad esempio, è un film di
fortissima originalità, prima di tutto per la tecnica con cui è
stato girato: dopo aver utilizzato attori e scenari autentici, il
regista ha sovrapposto al tutto, con l’aiuto della computer
graphic, immagini animate, allo scopo di ottenere un film d’animazione
di grande aderenza al reale, soprattutto per quanto riguarda la
fisionomia dei personaggi.

L’innovazione linguistica supporta un argomento non meno insolito,
visto che il film parla continuamente di filosofia, con ostinata
spudoratezza: il protagonista, un ragazzo di nome Wiley, incontra
diversi individui che gli espongono varie teorie sul senso ultimo dell’esistenza,
attingendo, di volta in volta, a celebri correnti di pensiero. Dall’esistenzialismo
al determinismo, da Platone alla teoria delle catastrofi, il film
passa in rassegna, peraltro in modo sin troppo automatico, la
riflessione dell’uomo sulla propria condizione e origine, nella più
totale noncuranza di ciò che, nel cinema americano, viene di solito
considerato alla stregua di un comandamento: tensione drammatica,
fluidità narrativa, sviluppo degli eventi.

Né minore è l'impatto dell'altro film americano in concorso, Bully,
di Larry Clark, celebre fotografo che qui si cimenta, per la terza
volta, col mezzo cinematografico. Come nei suoi film precedenti,
protagonista assoluta è un'adolescenza a dir poco perduta, sciagurata
e irresponsabile, dedita alla droga, al sesso e, quando le circostanze
lo richiedono, all'omicidio. Da buon fotografo, Clark non si tira mai
indietro, quando si tratta di ritrarre la depravazione e
l'inettitudine dei suoi giovani americani, che finiscono per fare da
controcanto ai tanti ragazzini burloni e inoffensivi che popolano il
cinema hollywoodiano contemporaneo. Tuttavia, dietro al moralismo che
trasuda da ogni fotogramma, si indovina anche una sorta di morboso
compiacimento nella descrizione degli adolescenti e della loro vacua
trasgressività, che finisce per incrinare in modo decisivo la
presunta superiorità etica del narratore.
Dall'India, terra di un cinema, almeno per lo sguardo occidentale,
vagamente esotico, arriva invece il film più tradizionale del
concorso. Forse perché ad averlo realizzato è una regista, Mira Nair,
che vanta già, in carriera, qualche esperienza hollywoodiana. Monsoon
Wedding è la storia di un matrimonio fra due giovani pianificato
dalle famiglie, senza che i diretti interessati abbiano avuto il tempo
di fare conoscenza. I preparativi coinvolgono un gran numero di
persone, e in famiglia, come sempre in questi casi, ciascuno ha
qualche problema da risolvere, uno scheletro nell'armadio, un rancore
inconfessato. Alla fine però la Nair riesce a far venire tutti i nodi
al pettine: i due giovani fidanzati si innamorano davvero,
l'organizzatore del party conquista la ragazza che ama, e persino un
caso di pedofilia (lo zio passa troppo tempo con le nipotine) viene
neutralizzato senza troppi danni, contrariamente a quanto avveniva in
un film sull'argomento di gran lunga più coraggioso, il danese Festen.
Dall'Iran arriva invece un film, Raye Makhfi ("Il voto è
segreto"), di Bayak Payami, sorprendente per la capacità di
lavorare sui toni del grottesco. E' giorno d'elezioni, e in una
sperduta zona del Kurdistan un soldato e un'intrepida segretaria
elettorale vagano di villaggio in villaggio, portando con sè timbri,
schede e la scatola che dovrebbe contenerle, nel tentativo di indurre
qualche abitante a votare. Il compito non è dei più facili,
soprattutto perchè coloro in cui si imbattono sono alle prese con
tutt'altri problemi, che spesso riguardano la pura e semplice
sopravvivenza quotidiana. Quello di Payami non è però un film di
denuncia sociale: muovendosi con disinvoltura sul filo dell'assurdo,
trovando spunti umoristici dove meno te li aspetti, componendo
immagini che sembrano quadri di Magritte, il regista costruisce un
delizioso ed acuto apologo sull' insensatezza della vita, sulla
tragedia ridicola di due individui chiamati a rappresentare lo stato
in una situazione fatta apposta per vanificare e relativizzare i loro
sforzi.

Raye Makhfi è una delle perle del concorso, insieme a Hundstage
("Giorno da cani"), del documentarista viennese Ulrich Seidl,
un altro film sorprendente che arriva da dove meno te l'aspetti, dal
cuore dell'Europa. Alla periferia di Vienna, durante un afoso weekend,
seguiamo le vicende di alcuni personaggi di mezza e tarda età, che si
aggrappano al sesso e al cibo per mascherare il vuoto delle loro
esistenze. Un vedovo che paga l'anziana domestica per cucinargli
manicaretti e fare danze orientali, una signora che si fa umiliare
sessualmente da un uomo laido e violento, una moglie che, col marito
che gira per casa, invita a cena e seduce altri uomini, una donna che
passa le giornate nel parcheggio di un centro commerciale, facendosi
dare passaggi in auto da chi capita, e propinandogli improbabili
classifiche di merito (i dieci migliori supermercati, le dieci
vallette più sexy, i dieci migliori televisori a schermo piatto,
ecc..).
Seidl, che ha evidentemente letto con attenzione Thomas Bernhard e
Céline, ritrae un'umanità gretta, meschina e perversa, arrivata al
capolinea, o meglio regredita quasi a uno stato bestiale, dove a
contare sono gli istinti, soprattutto la voglia di consumare: non
caso, l'iconografia del film è punteggiata di supermarket e grandi
magazzini. A mo' di segno d'interpunzione tra una situazione l'altra,
le immagini dei loro corpi distesi a prendere il sole, simili a
carcasse d'animali, con sullo sfondo le nitide sagome delle loro linde
villette, l'antenna parabolica bene in vista sul tetto. Un film
disperato, ma anche molto intrigante, se non altro per l'originalità
della costruzione e dei personaggi. Lo si dovrebbe vedere pure in
Italia, è stato comprato dalla Mikado; anche se corre voce che a
Nanni Moretti, presidente della giuria del Festival, non sia piaciuto
per nulla.
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