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I libri fanno paura ai tiranni



Mauro Buonocore



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La scrittura, l’impegno civile, la Nigeria. Queste tre strade si intrecciano nella biografia di Wole Soyinka, tre vie che camminano insieme a disegnare la figura di uno dei più importanti e originali intellettuali dei nostri tempi. La Nigeria, la terra d’origine, è raccontata nelle opere di Soyinka nei suoi aspetti più diversi, dai soprusi e le angherie delle dittature militari, ai miti del popolo Yoruba e della sua religione umanistica, fatta di dei che raccolgono e incarnano pregi e difetti della natura umana.

Di fronte alle dittature dei tiranni militari del suo paese, la voce di Soyinka non ha mai mancato di farsi sentire, non è mai stata in silenzio, ha parlato in prima persona e con la scrittura delle sue opere, ha raccontato il carcere e l’esilio che sono stati il prezzo del suo impegno civile.

Scrittore di ogni espressione letteraria, dal teatro alla poesia alla prosa fino alla saggistica, Soyinka percorre con la sua opera un viaggio tra mondi diversi che si incontrano in un umanesimo del tutto originale che riesce a fondere la tradizione popolare nigeriana con i linguaggi delle avanguardie teatrali europee della seconda metà del Novecento.

Aké, l’Inghilterra, il teatro

Oluwole Akinwande Soyinka (questo il suo nome completo) nasce nel 1934 in un villaggio della Nigeria Occidentale, allora colonia inglese; la sua formazione avviene all’interno della missione anglicana di Aké, ma il piccolo Wole fa spesso visita al villaggio del padre, dove incontra e impara a conoscere la cultura Yoruba; questo periodo sarà raccontato nel romanzo autobiografico Aké: the Years of Childhood, pubblicato nel 1981, in cui lo scrittore ripercorre gli anni della sua infanzia e degli incontri tra culture così diverse come quella cristiana anglicana e la Yoruba.

La formazione letteraria di Soyinka inizia nelle scuole del suo paese per poi andare incontro ad esperienze europee. E’ il 1954 quando si iscrive all’Università di Leeds, in Gran Bretagna, dove si laurea in letteratura inglese. Qui la sua strada piega direttamente verso il teatro e si fa intensa la sua attività di scrittore e di organizzatore di spettacoli fino al 1960, quando vince una borsa di studio che gli consente di tornare in Nigeria, presso l’Università di Ibadan per studiare il teatro africano. L’attività di Soyinka, in questi anni, si fa sempre più feconda con la scrittura di opere come The Lion and the Jewel e The Trials of Brother Hero e del saggio Toward a True Theatre che, tra accenti drammatici e satirici, raccontano la condizione del popolo nigeriano nel tentativo di fondere la tradizione Yoruba con le avanguardie artistiche conosciute durante la parentesi europea; i caratteri essenziali della poetica di Soyinka emergono già da questi lavori in maniera evidente: la denuncia dell’arretratezza di alcune condizioni di vita nigeriane (dalla situazione delle donne ai rapporti tra le diverse etnie, al caos politico in cui versa il paese) sono raccontate con sferzante ironia e con toni accorati nell’intento di riformulare i miti tradizionali adattandoli alla realtà contemporanea.

Una voce internazionale

Negli anni che seguono la Nigeria si presenta come un paese politicamente dominato dal caos e dalla violenza. Il tentativo di Soyinka di evitare la guerra civile facendo pubblici appelli per la pace gli costa nel 1967 una condanna al carcere senza alcun tipo di processo da parte del governo militare, con l’accusa di fomentare e appoggiare la violenza dei ribelli del Biafra.

L’arresto è sinonimo di isolamento completo, Soyinka rappresenta una minaccia per il regime che lo confina lontano da ogni relazione umana. Una volta uscito dal carcere, raccontato nel libro The man died nel ’72, l’attivismo culturale e civile dello scrittore è osteggiato e impedito dalle forze militari: non può allestire spettacoli, non può scrivere e pubblicare. Soyinka decide allora di partire per un esilio volontario che inizia dalla Jamaica dove l'autore fonda una nuova compagnia di teatro tra la gente povera. Per cinque anni resta lontano dalla sua terra, continuando a scrivere e a insegnare soprattutto nelle università inglesi.

Quando torna in Nigeria Soyinka è ormai una voce di portata internazionale, farlo tacere e zittire le sue opere è un’impresa sempre più difficile per i regimi militari che si succedono nel paese africano. La sua rilevanza internazionale è data non solo dagli inviti ad insegnare come visting professor in università prestigiose come Harvard, Yale, Cornell e Cambridge, ma anche e soprattutto dagli scritti che dà alla luce in questi anni, il poema Ogun Abibiman, il saggio Myth, Literature, and the African World, il dramma Death and the King's Horseman e Opera Wonyosi riadattamento dell’Opera da tre soldi di Brecht.

L’intensa attività intellettuale, il fervore civile che imprime alla sua figura pubblica, l’originalità della sua ricerca intellettuale e letteraria fanno di Soyinka una figura di primo piano della letteratura mondiale, tanto che nel 1986 gli viene conferito il Premio Nobel, primo scrittore africano a ricevere questo riconoscimento.

Le parole di Soyinka sono ormai diventate in Nigeria un assillo per ogni tipo di tirannia, i suoi scritti parlano della sofferenza del suo popolo, raccontano e denunciano angherie e prepotenze, la sua voce e la sua persona non mancano di presentarsi ovunque ci sia una manifestazione contro i soprusi e una rivendicazione di libertà e democrazia.

Dall’altra parte i governi militari continuano senza sosta ad osteggiare l’espressione di scrittori e poeti, ai lettori viene impedito di comprare libri, agli editori di pubblicarli, ai librai di venderli. Nel 1994 Soyinka capisce che è arrivato il momento di lasciare di nuovo la sua Nigeria: il governo aveva sequestrato il suo passaporto, poliziotti armati avevano impedito l’uscita di un suo libro, chiunque tentasse di avere contatti con lui veniva perseguitato.

La letteratura, uno specchio di verità

Ma la penna di Soyinka non può certo fermarsi fuori dalla Nigeria. Continua a scrivere, di teatro e del suo paese (The Open Sore of a Continent: A Personal Narrative of the Nigerian Crisis una delle sue ultime opere), e continua a battersi per i diritti civili dei popoli e per il diritto della letteratura a parlare a voce alta contro i soprusi. Quando nel 1997 il governo nigeriano lo condanna per tradimento verso la patria, la risposta di Soyinka non potrebbe essere più eloquente: viene eletto presidente onorario del Parlameto Internazionale degli scrittori, un’organizzazione impegnata nel costruire una rete mondiale di città disposte ad ospitare scrittori vittime di persecuzioni politiche.

Il pensiero e l’opera di Wole Soyinka non si sono mai fermate di fronte alle prepotenze e alle violenze, hanno continuato a parlare della sua Nigeria, delle sue tradizioni, della sua religione Yoruba, dei suoi dei così simili agli umani; con umorismo ed ironia hanno messo in scena e in versi gli splendori e gli orrori della condizione umana. E se qualcuno dovesse chiedersi quale sia il ruolo della scrittura nell’impegno civile, nella lotta fisica e intellettuale per la giustizia, la risposta di Soyinka è disseminata nei suoi scritti e nella sua vita, nelle sue opere e nelle sue azioni che lo hanno visto impegnato in prima persona a creare movimenti e manifestazioni che scuotessero la pubblica opinione e ferissero l’orgoglio prepotente dei governi militari e gli oppressori di ogni libertà.

"Books and all forms of writing have always been objects of terror to those who seek to suppress the truth", ha scritto Soyinka in The Man Died. La letteratura allora non è solo espressione, non è solo pensiero che prende forma in voci e parole, ma diventa uno spettro tanto forte da inquietare e terrorizzare coloro che cercano di sopprimere nel silenzio la verità.

 

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