Il principio del "non-fare"
Intervista a Régis Soavi di Francesca Gualandri
con la collaborazione di Mimmo Lombezzi
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Incontriamo Régis Soavi a Mas D’Azil, un piccolo paese ai piedi
dei pirenei francesi dove, dall’88, conduce gli stage estivi
organizzati dai dojo della ‘Scuola Itsuo Tsuda’.

Nei suoi libri, Itsuo Tsuda parla del “non
fare": che cosa significa in generale, e che cosa significa
nell’aikido in particolare?
Tsuda parla di ‘non-fare’ come ne parlava Ueshiba, il fondatore
dell’aikido. Aikido è il non-fare. E’ qualcosa che si fa
‘al minimo’, si conduce qualcosa che viene, senza agire. Ma è
anche l’ideale di Jigoro Kano nel Judo: Kano diceva “quando
qualcuno mi tira vengo con lui, quando qualcuno mi spinge vado con
lui”. Dunque aveva perfettamente compreso che cosa è il ‘non-fare’.
L’aikido non è altro che una pratica del non-fare, ma oggi se ne
sta facendo una specie di sport. Più nessuno pratica il non-fare
nell’aikido, non interessa a nessuno, e invece è proprio ciò che
interessa a me, ciò che mi ha interessato in Tsuda. Vedere che,
appunto, praticava qualcosa che io non capivo. Ero stupito di
vederlo fare così poche cose e tuttavia, con grande facilità,
condurre le persone in un senso o in un’altro. Mentre io, appena
provavo, dovevo tirare, spingere... mostrare la mia forza. All’epoca
andava bene perché ero ancora abbastanza giovane, ma, in ogni caso,
era sgradevole e scatenava una ‘risposta’, da parte dell’altro,
perché io ero entrato in un processo di violenza.
Nella nostra scuola, nella ricerca del non-fare, si pratica
piuttosto lentamente, per poter essere in ascolto della sensazione,
dell’intuizione. Ciò spiega la presenza di molte donne e bambini
che, giustamente, non hanno voglia di essere brutalizzati,
spintonati. Ci sono però anche parecchi uomini grandi e forti che
non intendono essere maltrattati senza posa. Si è già maltrattati
abbastanza nella società, non si ha bisogno di farsi del male anche
il weekend o la sera.
Perchè nel Movimento Rigeneratore si parla di “ritorno alla
sorgente”?
La sorgente è l’origine dell’essere umano; da un certo punto di
vista possiamo dire che sia la nostra nascita. E’ il momento in
cui eravamo ‘nuovi’ ed entravamo nella vita. Nel fiume della
vita siamo legati a questa sorgente, solo che, a volte, ci sono
eventi che fanno sì che accumuliamo ogni genere di sporcizia, ogni
tipo di contrazione e ci ritroviamo impediti nel vivere,
infastiditi, legati dalle convenienze, dalle situazioni... cerchiamo
dunque di liberarci e la nostra direzione, quella che io indico, è
il ritorno al momento in cui non eravamo legati da nulla, quando
eravamo totalmente liberi.
E’ in questo senso che nel Movimento Rigeneratore c’è un
ritorno alla sorgente, alle origini dell’essere umano nella sua
pienezza. Questo percorso, però, per un adulto, si compie anche
attraverso la comprensione di ciò che ci ha condotto al nostro
stato attuale. Si ricomincia da capo, si ritorna, si compie il
tragitto inverso. Quando si hanno, per esempio, delle difficoltà a
camminare, a muoversi perché siamo bloccati, stanchi, se torniamo
verso la sorgente troviamo energia fresca. E’ il sistema
involontario che scatta dentro di noi e le zone che erano stanche
ricominceranno a riposarsi. Questo succede perché facciamo gli
esercizi, perché ‘ri-esercitiamo’ il nostro sistema
involontario, e il nostro corpo ridiventa capace di utilizzare le
proprie potenzialità.
Di riposare il koshi (bacino), per esempio, o la schiena, la
parte alta della schiena dove si accumula fatica perché si ha la
testa ingombra. Ebbene il nostro corpo ritrova questa capacità
grazie al movimento involontario. Il ‘ritorno alla sorgente’ è
questo ma è anche un ritorno alla semplicità. La società moderna
propone di avere sempre più cose, di vivere ‘di più’, di
consumare sempre di più e, rispetto a tutto questo, il movimento
rigeneratore è un ritorno verso qualcosa di più semplice, ci si
rende conto dei propri bisogni essenziali ed è verso questi bisogni
essenziali che si ritorna. Non è una disciplina con precetti:
bisogna mangiare questo, bisogna fare così, cosà... no,
semplicemente, si ritrovano i propri veri bisogni.
C’è un rapporto tra movimento rigeneratore e psicoanalisi?
Si, in una conferenza ho anche detto "sono la stessa cosa.
Il lavoro dello psicoanalista va nella stessa direzione poiché si
tratta, effettivamente, di esplorare l’inconscio. La differenza
sta nel fatto che questo lavoro non è fatto da una persona esterna
ma da noi stessi e non è soltanto un lavoro mentale come certe
psicoanalisi ma è anche un lavoro fisico. Nel caso della
psicoanalisi, qualcuno analizza la situazione e da delle risposte;
nel nostro caso è il nostro corpo che si esprime da solo e le
risposte non abbiamo bisogno di aspettarle, sono apprese da noi
stessi dall’interno. Dunque, è un percorso che si fa da soli. Ed
è piuttosto gradevole perché ci rende totalmente responsabili di
noi stessi.
Ma il fatto di sbrigarsela da soli con le proprie ossessioni, non
pensa che sia in qualche modo pericoloso? Nel senso che ci si
ritrova senza guida, come persi nel mare dell’inconscio.
Beh, la pratica del movimento rigeneratore è riscoprire che non c’è
alcun maestro all’infuori di noi stessi. Spesso è proprio perché
si ha abbandonato il proprio potere, le proprie capacità in favore
di qualcun altro che si instaurano, come dire, dei fascismi esterni.
Dunque, cedendo il nostro potere agli altri, diventiamo incapaci di
vivere. Possiamo tenerci le nostre ossessioni, ma esse ci
impediscono di vivere pienamente ed è per questo che noi stessi
dobbiamo trovarne il perché e lasciarle cadere.
E’ per questo motivo che il movimento rigeneratore è importante,
perché non è con il nostro mentale volontario che troveremo la
guarigione da qualcosa. Il nostro corpo, naturalmente,
involontariamente, non ha bisogno di certe ossessioni... e questa
coscienza dovremo trovarla in noi stessi: solo a questo punto la
guarigione sarà reale. Se io estirpo un’ossessione a qualcuno,
gliela tiro fuori a forza, ci sono buone probabilità che egli trovi
una nuova ossessione o un nuovo motivo per dirci: “sì, ma...” e
saremo incessantemente nel “sì, ma... e questo e quello... e
certamente... e mio padre... e mia madre... e mio figlio... e mia
figlia...”: non se ne esce più.
E' solo quando il nostro corpo riprende la sua vera natura che non
abbiamo più bisogno delle ossessioni e quindi ce ne sbarazziamo. In
ogni caso penso che sia meglio essere privi di un maestro che
ritrovarsi con un cattivo maestro. Anzi: un buon maestro è qualcuno
che ci lascia senza maestro.
Itsuo Tsuda parla di ‘via della spoliazione’, che cosa
significa?
Tsuda parla di ‘via della spoliazione’ per dare una
direzione. La nostra scuola è via della spoliazione e non via dell’acquisizione.
In confronto a vie con cui si acquisiscono sempre più cose, si
diventa ‘più’, si diventa un essere superiore, si acquisiscono
tecniche, talenti supplementari, si aggiungono frecce al proprio
arco, Tsuda propone di ritrovare noi stessi, di non cercare di avere
ma di essere.
Avere permette di comprare; essere permette di comunicare. Il fatto
è che la via della spoliazione, in un certo senso, è più
difficile della via dell’acquisizione. La via dell’acquisizione
sembrerebbe difficile ma è facile, di fatto, mentre la via della
spoliazione ci obbliga a rimetterci in questione, a renderci conto
di tutte le inutilità che abbiamo fatto nostre da così tanti anni,
è ritrovarsi di fronte agli altri più naturali, forse nudi e
quindi forse più fragili... ma questa fragilità è ricca, è la
fragilità del bebè. Il bebè è nato nudo, è fragile e al tempo
stesso è un potenziale, è una forza. E’ la forza della
fragilità, è la forza delle donne, che sono fragili ma anche
capaci di muovere il mondo con un sorriso o una strizzatina d’occhio.
Per ritrovare questa forza bisogna sbarazzarsi di ciò che ci
ingombra, non cercare di essere ‘più’, perché il più, la via
dell’acquisizione, è la via del conflitto. Nell’aikido,
appunto, non bisogna accumulare sempre più tecniche, essere sempre
più forti ma al contrario diventare sempre meno deboli, avere meno
bisogno di tecnica. Una donna non è bella perché ha più gioielli,
più trucco, più tinta sui capelli, più minigonne... è bella
quando si è sbarazzata di tutto ciò ed è la sua interiorità che
si vede. Si vuol essere amati per quello che si è, non per l’immagine
che si da di sé, e quando si segue la via della spoliazione... che
sollievo! Non si è più obbligati a mantenersi senza posa all’altezza
dell’immagine che si vuol dare. E’ riposante, no?
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