Opere e ossessioni
Sergio Garufi
Articoli collegati:
Opere e ossessioni
Colpi di fulmine e storie infinite
La top five della redazione
Diciamolo subito a scanso di equivoci: in arte non si stilano
classifiche, e i superlativi vanno sempre adoperati con estrema
parsimonia. E' una questione di bon ton culturale (sentenzierebbe
Lina Sotis), prima ancora che di logica. E poi, in genere, la
passione smodata per le hit-parade, le formule consolatorie (il
genio è 90% traspirazione e 10% ispirazione), le
equazioni elitarie (consenso=disvalore) e i rigidi aut aut da
tertium non datur (penso ai quesiti esistenziali di Marzullo,
come: la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?)
è tipica degli incolti.
Da una parte questa passione tradisce il bisogno di punti fermi, di
sicurezze, cui aggrapparsi come naufraghi nel mare indistinto della
soggettività; dall'altra suggerisce una scarsa dimestichezza col
vocabolario, cui è preferita la più rassicurante oggettività
della matematica. Ma la matematica non è mai stata in grado di
spiegare l’estetica, e l’essenza dell’arte non si può certo
ridurre a una mera formuletta.
Giusto come esercizio ludico ironico e postmoderno, ed essendo
consapevoli dell’arbitrarietà e dell’inconsistenza di
considerazioni siffatte (sia che queste provengano da illustri
sconosciuti o da Maestri Venerabili), è lecito e consentito
parteciparvi, indicando le proprie predilezioni in fatto di arte.
Fra i grandi scrittori che ebbero l’ardire di esporsi in questo
modo non si può non segnalare Aldous Huxley, che in Along the
road: Notes and Essays of a tourist, del '25, scrisse che la
Resurrezione di Piero della Francesca a San Sepolcro è “the
greatest picture in the world”. E John Mortimer, lo scrittore
e drammaturgo inglese, dichiara nel romanzo Summer’s Lease la
medesima passione pierfrancescana, indirizzando però i superlativi
sulla più piccola Flagellazione (“undoubtedly the
greatest small picture in the world”).
Per Marcel Proust, invece, il migliore era la Veduta di Delft
di Jan Vermeer (come scrisse in una lettera dell’1/5/21 all’amico
e critico d’arte Jean-Louis Vaudoyer), che si recò a rivedere in
occasione di una mostra di artisti olandesi al Jeu de Paume un
anno prima di morire (più o meno come fece Bergotte ne La
Recherche). John Ashbery - il poeta di New York tradotto da Aldo
Busi -, pur amando molto Caravaggio (si veda la poesia Caravaggio
and his followers), è invece affascinato dall'Autoritratto
in uno specchio convesso del Parmigianino, tanto da ispirarsi a
quel dipinto per la sua omonima raccolta di poesie (edita da
Garzanti nell’83).
Il narratore e poeta olandese Cees Nooteboom dichiara, in Verso
Santiago (Feltrinelli), il suo amore per l’enigmaticità e l’inesauribile
polisemia de Las Meninas di Velasquez; quadro che
ossessionò, fra gli altri, pure il Foucault de Le parole e le
cose. E infine l’austriaco Thomas Bernhard, per bocca del
protagonista di Antichi Maestri (Adelphi), dimostra di essere
letteralmente ossessionato da L’Uomo con la barba bianca
del Tintoretto (conservato nella Pinacoteca di Vienna); dipinto che
considera, seppur per motivi molto personali, superiore a qualsiasi
altro.

Gustave Courbet,
"L'origine du monde"
Per quanto mi riguarda (e per quanto ciò possa
interessare), io adoro L'Origine du monde di Gustave Courbet.
Questo capolavoro assoluto dell’arte del XIX secolo - acquistato
nel ’55 dallo psicanalista Jacques Lacan come regalo per sua
moglie Sylvia, e tenuto nascosto nella loro abitazione dietro un
quadro astratto per essere mostrato solo ai suoi amici più intimi -
entrò a far parte delle collezioni nazionali francesi solo 40 anni
più tardi, ed è oggi esposto al pubblico in una sala del lezioso e
“aulentissimo” Museo d'Orsay di Parigi.
L’Origine du monde è un quadro geniale che raffigura, a
mio avviso, la più affascinante e sensuale cosmogonia mai
concepita; una cosmogonia laica e carnale, che rispecchia fedelmente
il nostro zeitgeist. Maurizio Calvesi lo considera
addirittura una Vergine annunciata in chiave moderna, come la Maria
del film di Jean-Luc Godard. Non più la grotta, o l'angelo, o la
pudicizia insomma, bensì la totale e serena accettazione del Fato,
la resa incondizionata al proprio destino. Da sempre, da prima
ancora di conoscere quella tela, io ero ossessionato da
quell'immagine. Una specie di chiodo fisso.
Articoli collegati:
Opere e ossessioni
Colpi di fulmine e storie infinite
La top five della redazione
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |