Hammer: la fucina dei mostri
Paolo Fazzini
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“Negli anni della mia adolescenza, andavo con gli amici
a vedere molti film. Se vedevamo il simbolo dei film della
Hammer sapevamo che doveva essere una pellicola molto
speciale e, non di meno, una esperienza sorprendente e scioccante.”
Martin Scorsese
Contrariamente a ciò che accade per il genere western, per il
poliziesco e il musical, è più complicato porre dei confini
precisi al cosiddetto cinema horror. Possiamo inserire in questo
genere cinematografico tutti quei film in cui paura, disgusto,
irrazionalità e fantasia si riversano sul pubblico sotto forma di
personaggi macabri, sinistri e mostruosi.

In Europa una vera e propria fabbrica di mostri fu una casa di
produzione inglese, la Hammer. La storia di quella che sarebbe
diventata una delle più amate fucine di brividi della
cinematografia europea ebbe inizio nel 1935, quando Enrique Carreras
e Will Hinds fondarono la Hammer Film. La nascita ufficiale della
Hammer, però, è da posticipare al 1949, anno nel quale il marchio
fu depositato al registro delle imprese inglesi.
Stranamente le prime produzioni non furono nè horror nè thriller
ma, in prevalenza, commedie o film di ambientazione storica, almeno
fino alla stagione cinematografica 1954/55 quando la Hammer, decisa
a dare una svolta importante alla propria storia, produsse con un
budget stringatissimo il fanta-horror L'astronave atomica del dottor
Quatermass (Quatermass and the X-periment) diretto e sceneggiato dal
giovane regista Val Guest e ispirato ad un serial della Bbc.
Contrariamente a quanto previsto quel piccolo film, inserito nel
listino con scarsa convinzione, riscosse un successo straordinario
facendo così decollare le sorti della Hammer. Immediatamente,
compreso quale doveva essere la strada da percorrere, i produttori
realizzarono altri due fanta-horror. Uno fu l'inevitabile sequel
delle avventure del dottor Quatermass, I vampiri dello spazio (Quatermass
2); l'altro fu X contro il centro atomico (X- The Unknown)
che segnò l'esordio alla sceneggiatura dell'allora diciottenne
Jimmy Sangster, uno degli autori più prolifici di cui disporrà la
Hammer per tutti gli anni della sua esistenza.
Negli anni ‘30 e ‘40 a liberare mostri e paure aveva pensato la
statunitense Universal che con le pellicole interpretate da Boris
Karloff, Bela Lugosi e Lon Chaney jr. aveva perseverato in questa
direzione sfruttando all’inverosimile le contaminazioni tra le sue
creature più famose (mummie, vampiri e licantropi che fossero)
trasformandole in patetiche caricature e guidando così il filone ad
un’inevitabile esaurimento. Inoltre, negli Stati Uniti si
affermava sempre più la fantascienza che cercava, attraverso le
proprie simbologie, di esorcizzare il terrore per il conflitto
atomico e di incarnare in invasori alieni lo spettro del comunismo.

Risale proprio a questo periodo la richiesta, da parte della Hammer,
di acquisire i diritti del personaggio di Frankenstein, detenuti
dalla Universal. La concessione dei diritti ebbe come risultato
immediato l'uscita di un nuovo film inglese, La maschera di
Frankenstein (The Curse of Frankenstein) del 1957 diretto da un nome
già abbastanza noto al pubblico ma che mai si era cimentato prima
con il genere horror: Terence Fisher, destinato a diventare il
regista di punta degli studi inglesi.
I protagonisti erano Peter Cushing nella parte del Barone e
Christopher Lee in quella del mostro, due attori che divennero
presto icone del cinema del terrore. Dopo questo successo la
Universal decise di cedere alla Hammer anche i diritti di Dracula,
della Mummia, dell'Uomo Lupo e del Fantasma dell'Opera. In realtà,
gran parte della produzione della Hammer si incentrò sui due mostri
creati dalle penne di Bram Stoker e di Mary Shelley.
La maschera di Frankenstein riscosse un grande successo e diede il
via alla scalata della Hammer che arrivò ben presto a sopravanzare
anche le ben più ricche e grandi compagnie americane. Perché in
quegli anni il pubblico inglese e americano gradì così tanto l’orrore
è una questione che solleva problematiche sociologiche e
psicoanalitiche. Ma la soluzione può anche trovarsi nell’approccio
con il quale la Hammer ripropose il mito di Frankenstein.

Nelle pellicole americane i mostri erano le creature subumane e
anonime che tentavano di entrare nel mondo dei normali, ma ne
venivano violentemente respinte. Il mostro era colui che infrangeva
le leggi della consuetudine, era l’intrusione dell’anormalità
nella normalità che produceva uno shock drammatico, ma dopo l’avvento
della Hammer il cinema dell’orrore smise di essere un genere
prettamente americano e mutarono così anche le rappresentazioni
della paura.
Nel film inglese, infatti, l'attenzione si spostò principalmente
sulla figura del barone tedesco (incarnata dal glaciale Peter
Cushing) che, spinto da una bramosia di onnipotenza ed invasato da
sana follia, alternava i suoi macabri esperimenti alle seduzioni che
rivolgeva verso le sue cameriere. Fisher spostò il punto chiave del
discorso sulla riflessione sui limiti della scienza, focalizzando l’attenzione
sulla diabolica e amorale figura del creatore piuttosto che su
quella della bestiale creatura, qui vista come un’incontrollabile
ed innocente forza della natura. Il tutto presentato attraverso i
colori torbidi e profondi della Eastman, che senza dubbio ebbero un
violento impatto sugli spettatori.
Simile metodo e stesso successo si ripeterono con un altro
leggendario film, quel Dracula del 1958 che impose il volto di
Cristopher Lee alle platee mondiali. Caratterizzando fortemente i
personaggi attraverso i loro interpreti (qui ritroviamo anche Peter
Cushing nei panni dell’impalatore di vampiri Van Helsing), Fisher
diede origine ad un immaginario ove la continua lotta tra Bene e
Male altro non era che opposizione tra natura e cultura, ordine e
caos, scienza e superstizione. Ma questa volta la vera trovata della
casa inglese, fu la proposta del binomio vincente erotismo/terrore
sanguinolento, due elementi che risvegliarono le emozioni dello
spettatore, riempiendo le sale cinematografiche.

“Personalmente credo di aver dato molto al personaggio”, ha
affermato Lee in un’intervista, “accentuando l'aspetto erotico
che, precedentemente, era stato quasi del tutto ignorato.”
Nel film non appare una violenza esplicita, né esasperatamente
realistica ma la tensione gioca tutta sulle ambigue doppie
personalità: le vittime femminili, più che brutalizzate, sono
conquistate dal loro carnefice. E’ per questo motivo che il
Dracula hammeriano ha una notevole prestanza fisica ed il suo morso
viene quasi sempre mostrato come un qualcosa di molto sensuale ed
erotico; il vampiro interpretato da Christopher Lee è strettamente
connesso al tema del piacere proibito e pericoloso, che nell'epoca
Vittoriana (periodo in cui sono ambientate le storie) era
essenzialmente il sesso.
Tra il 1956 ed il 1976 la Hammer propose ben sette avventure di
Frankenstein ed altrettante di Dracula, film che si inserirono in
una produzione però che vanta più di cento pellicole, tutte
destinate a produrre brividi e urli. Verso la metà degli anni ’70
il fascino che teneva in vita creature come Frankenstein e Dracula
sembrò esaurirsi e denti canini, mantelli e castelli vittoriani
divennero, oltrechè anacronistici, piuttosto ridicoli.
L’evoluzione del cinema del terrore segue da sempre la scia dei
mutamenti sociali: negli Stati Uniti emersero nuovi registi come
George Romero, Wes Craven, Tobe Hooper, mentre in Italia Dario
Argento e Lucio Fulci forgiarono un nuovo modo di terrorizzare. I
mostri del passato lasciarono spazio ad un’invasione di
psicopatici, cannibali e serial killer. Cambiò così il modo di
rappresentare la paura, ma il desiderio di mettere in scena le ansie
e le ossessioni di ogni epoca rimase e rimarrà sempre lo stesso.
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