Alla scoperta di una nuova opinione
            pubblica 
             
             
             
            
            Bruce Ackerman e James Fishkin 
             
             
             
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            deliberativi
             
            Questo contributo di Ackerman e Fishkin è tratto da un lungo
            saggio recentemente scritto dai due politologi americani sul numero
            71 di Reset  attualmente in edicola. Sui prossimi numeri di
            Caffè Europa troverete altri articoli provenienti dallo stesso
            dossier. 
             
            Il nostro modo di votare risale a poco più di un secolo fa. Un
            tempo gli elettori esprimevano le proprie preferenze con un voto
            palese, pubblico, e molti intellettuali ritenevano giusto questo
            modo di votare. Secondo John Stuart Mill, ad esempio, invece di
            alzarsi in pubblico per dichiarare quale candidato preferisse per il
            paese, l'elettore segreto avrebbe semplicemente scelto il politico
            che più assecondasse i suoi interessi egoistici. In breve, il
            fascino della contrapposizione di interessi privati avrebbe
            lentamente eroso l'idea di base che i cittadini dovessero cercare di
            contenere le proprie aspirazioni specifiche per il bene comune. 
             
            Mill sosteneva che il processo di pubblica discussione avrebbe
            incoraggiato la sensibilità dell'opinione popolare e lo scrutinio
            segreto, per quanto auspicabile in altri ambiti, sacrificava un
            elemento importante, il contesto sociale che stimolava la
            discussione in ogni elettore. 
             
            Dal XIX secolo, però, divenne chiaro come il voto pubblico poteva
            essere adottato soltanto dalle democrazie che restringevano il
            diritto di voto a cittadini proprietari, i quali godevano di
            un'indipendenza economica tale da poter esprimere, in occasione
            delle elezioni, le loro sincere opinioni sul bene comune, senza
            paura alcuna di ritorsioni. Ma quando il suffragio si fa più ampio,
            lo scrutinio pubblico assume una valenza diversa. Le persone più
            povere si sarebbero trovate esposte ai ricatti e alle influenze di
            coloro che avrebbero avuto interesse di controllare il loro
            comportamento di voto. Il voto segreto, al contrario, garantiva
            l'indipendenza del comportamento elettorale da parte di tutti gli
            elettori, qualunque fosse il loro censo e la loro proprietà. 
              
            Le condizioni che hanno portato all'affermazione
            del voto segreto rimangono ancora oggi valide, ma J. S. Mill è
            stato un profeta e la sua angoscia è diventata la nostra realtà:
            l'interesse privato ha logorato i concetti basilari della
            cittadinanza democratica, in modo ormai incompatibile con
            un'attività soddisfacente del governo. 
             
            La noia del voto 
             
            Nonostante la nostra attuale inclinazione per Internet e le nuove
            tecnologie della comunicazione, la discussione pubblica è
            frammentata e divisa. Abbiamo un'agenda di notizie sempre più
            popolare, che ottunde la sensibilità di una cittadinanza sempre
            meno attenta. 
             
            Se vogliamo difendere e migliorare la nostra vita democratica,
            dobbiamo prendere in pugno il futuro, creare istituzioni che
            appoggino l'impegno dei cittadini in un dibattito pubblico
            condiviso. 
             
            C'è una contraddizione nella pratica democratica moderna. Da una
            parte, ci aspettiamo che i governanti eletti prendano in
            considerazione gli interessi principali di tutti i cittadini, e non
            solo quelli della maggioranza che li ha votati. D'altra parte, non
            ci aspettiamo che gli elettori prendano sul serio il dovere di
            cittadinanza. 
             
            La partecipazione politica è cosÏ calata (e non solo in America)
            al punto che per gli elettori il solo gesto di recarsi fisicamente
            alle urne, non importa quanto possano essere stati ignoranti o
            egoisti nell'esprimere le proprie preferenze nel segreto della
            cabina, rappresenta già uno sforzo enorme. 
             
            La domanda è spontanea e ovvia: perché il governo deve considerare
            gli interessi di tutti i cittadini se essi sono indifferenti ed
            egoisti? 
             
            Non è una domanda nuova. Dai tempi di Madison, abbiamo sempre
            lottato con questo problema e non si può pensare che un giorno
            venga definitivamente risolto. La situazione, però, implica
            un'evoluzione dei termini in cui il problema si esprime, e delle
            modalità istituzionali con cui si può eludere, se proprio
            eliminarlo in via definitiva non è cosa possibile. 
             
            Madison si è concentrato sulla capacità delle élites politiche di
            filtrare gli aspetti più egoistici e irrazionali dell'opinione
            pubblica e di fornire giudizi più illuminati dei comuni cittadini.
            Uno dei grandi obiettivi degli Federalist Paper era
            l'identificazione di una cornice costituzionale che ricompensasse le
            élites per questa attività di filtro verso le più evidenti forme
            di faziosità ignorante e interessata. Non vogliamo assolutamente
            mettere in dubbio l'importanza permanente di questo progetto. Ma
            molte forze hanno tramato per logorare la tendenza dell'élite a
            resistere alla tentazione di appoggiare le ragioni più vili ed
            egoistiche dei propri elettori. 
             
            La prima di queste forze è la moderna scienza dell'opinione
            pubblica. Sebbene i primi politici possano aver desiderato
            l'eliminazione della viltà e della corruzione dei votanti, sono
            stati costretti a lavorare con un certo svantaggio tecnico. Per
            avere delle certezze, potevano leggere giornali, parlare con gli
            amici, leggere le lettere degli elettori e perfino sondare
            informalmente le opinioni attraverso le organizzazioni politiche
            locali. Ma senza la moderna arte del sondaggio e la scelta
            statistica dei campioni casuali, era difficile ottenere un ritratto
            approfondito dell'opinione pubblica, era difficile entrare nella
            mente e nel cuore degli americani comuni per sapere con precisione
            quale combinazione di mito e di avidità sarebbe riuscita a generare
            consenso nei gruppi chiave. In assenza di dati, anche i politici
            più cinici erano a volte costretti a considerare il bene del paese. 
             
            La situazione è però cambiata con le moderne metodologie di
            ricerca sull'opinione pubblica. Lo scopo delle ricerche sui focus
            group nelle campagne elettorali è scoprire il fascino popolare di
            varie combinazioni di mito e avidità che possano effettivamente
            motivare i votanti a seguire una moda eccessivamente accurata. I
            politici ricavano la fisionomia giusta dai focus group e verificano
            la loro posizione in anticipo con i partecipanti, che cambiano
            continuamente per arrivare ad inglobare anche i gruppi più
            marginali. In questo contesto ad alta tecnologia, l'idea di Madison,
            secondo la quale il legislatore ha la grande responsabilità di
            filtrare l'ignoranza e l'egoismo, risulta irrimediabilmente
            superata. Lo scopo è mettere in circolo un messaggio che catturi la
            maggioranza. 
             
            C'è poi una seconda grande forza, il marketing scientifico dei
            candidati ad opera di specialisti del sondaggio. Gli slogan e le
            bandiere, nella politica americana, sono stati importanti per
            secoli. Ma le evoluzioni attuali rappresentano il passaggio a un
            mondo totalmente nuovo. Oggi i candidati vengono davvero venduti
            come merci. La norma commerciale ha completamente colonizzato la
            ìpubblicitàî politica. L'idea in sintonia con i principi della
            democrazia deliberativa, ad esempio, per la quale gli interventi
            politici non dovrebbe durare meno di cinque minuti, è stata del
            tutto abbandonata; essi durano dieci secondi durante i quali vengono
            toccati i ìpunti caldiî individuati attraverso la ricerca per
            focus group. 
             
            Prima di tutto sapere 
             
            Noi proponiamo una linea diversa: piuttosto che alimentare le
            capacità di filtro dell'élite politica, crediamo che si dovrebbe
            migliorare la qualità dell'opinione pubblica. 
             
            Ma l'opinione pubblica ha davvero bisogno di migliorare? Forse i
            cittadini sono già bene informati. O, se non lo sono, forse non
            farebbe molta differenza. 
             
            In primo luogo, dopo più di sessant'anni di moderna ricerca
            sull'opinione pubblica, è evidente che il pubblico non è
            informato. Anche in casi di elevata istruzione, la maggior parte
            delle conoscenze politiche di base è inferiore a qualsiasi standard
            auspicabile. All'apice della Guerra Fredda, per esempio, la
            maggioranza dei cittadini americani non sapeva esattamente se
            l'Unione Sovietica fosse o meno nella Nato. Più di recente,
            all'inizio delle primarie presidenziali del 2000, molti non sapevano
            che Bill Bradley era un ex giocatore professionista di basket o che
            John McCain era un senatore, né che entrambi appoggiavano la
            riforma finanziaria delle campagne elettorali. E non si tratta di
            una situazione circoscritta agli Usa. 
              
            A volte si è sostenuto che questo tipo di
            conoscenze specifiche non sono necessarie. Ciò che è realmente
            importante per gli elettori, si dice, è la capacità di collocare i
            candidati o i maggiori partiti politici nel contesto più ampio di
            una contrapposizione di base tra liberalismo e conservatorismo. 
             
            Alcuni analisti sostengono che i votanti userebbero delle
            "scorciatoie" per formare le proprie posizioni e
            intenzioni, a cui giungerebbero anche se accettassero il tempo e gli
            sforzi necessari ad acquisire una maggiore informazione. In
            sostanza, secondo queste posizioni, i cittadini riescono a trovare
            delle strade per crearsi le stesse intenzioni di voto che si
            formerebbero se avessero una conoscenza enciclopedica". 
             
            Questa posizione è convalidata da modelli statistici sviluppati a
            partire dai dati di sondaggi in cui si mettono a confronto gli
            elettori non informati con quelli più competenti, rilevandone la
            sostanziale affinità. Ma è possibile costruire modelli altrettanto
            plausibili che giungano ad una diversa conclusione, cioè che
            l'ignoranza del pubblico fa realmente la differenza nei risultati
            elettorali. Se la gente fosse più informata, quindi, voterebbe
            molto diversamente, tanto da alterare gli esiti degli scrutini. 
             
            Questi modelli però sono oggi limitati: la questione sarebbe molto
            più chiara se si potessero effettuare dei Deliberative Pollings,
            esperimenti su campioni rappresentativi di votanti reali mentre
            acquisiscono maggiore informazione e competenza sulle questioni
            pubbliche. Questo ci permetterebbe di sapere cosa accade
            effettivamente quando una popolazione va incontro a un aumento delle
            competenze e dell'impegno politico. 
             
            Potremmo cosÏ affrontare anche un altro problema. I sondaggi
            tradizionali presentano un'istantanea dell'opinione pubblica che è
            spesso il risultato di quella che Anthony Downs ha definito
            "ignoranza razionale"; le risposte cioè non sono frutto
            di una competenza informata, ma vengono spesso date a caso, pur di
            non rispondere "non lo so", nella convinzione che la
            propria opinione non sia poi cosÏ determinante. Restare ignoranti,
            allora, può diventare un'esigenza "razionale"nel momento
            in cui molte altre attività urgenti, in cui possiamo davvero fare
            la differenza, richiedono il nostro impegno. 
             
            Ma la teoria democratica esige che i cittadini abbiano più di
            un'ignoranza razionale. Idealmente, essi dovrebbero impiegare parte
            del proprio tempo per acquisire informazioni e formulare giudizi
            ponderati sulle questioni del momento. Se il processo democratico
            deve interpellare il pubblico, allora questo pubblico dev'essere
            informato e competente. 
             
            Il Deliberative Pollings agisce proprio in questa direzione, si basa
            su domande elementari ed importanti: come sarebbe l'opinione
            pubblica se gli interpellati fossero effettivamente motivati ed
            attenti, se avessero abbastanza informazioni, se discutessero con
            altri, se facessero domande agli esperti o ai politici stessi e se
            giungessero a un giudizio ponderato. In breve: come sarebbe
            l'opinione pubblica se gli interpellati superassero l'impulso
            all'ignoranza razionale e si comportassero un po' di più come una
            cittadinanza ideale? E quale sarebbe il risultato se la formazione
            di un'opinione pubblica maggiormente informata fosse estesa
            all'intera società? 
             
            Basta slogan 
             
            Forse cambierebbe il modo di fare politica, il modo di comunicare
            con l'elettorato. Non si potrà più credere che i candidati vengano
            automaticamente scelti sulla base di slogan pronunciati in una
            decina di secondi, i comunicati si faranno più lunghi e più
            discorsivi, ovviamente non si può garantire che il dibattito
            politico diventi più approfondito o più attento, ma questa resta
            una seria possibilità. 
             
            Quando avremo sia la deliberazione, cioè il confronto delle idee e
            delle opinioni, che la partecipazione di massa, potremo
            periodicamente arricchire il processo politico con quello che
            potremmo chiamare "consenso informato collettivo": un
            consenso di massa, perché la maggior parte della gente vi
            partecipa, e allo stesso tempo informato e ponderato, perché viene
            dalla conoscenza, dalla riflessione e dal dialogo. 
             
            Il fatto che esista anche solo una possibilità affinché tutto
            questo si realizzi vuol dire che l'ipotesi dei Deliberative Pollings
            e del Deliberation Day non è assurda. Non sosteniamo che quella da
            noi indicata sia l'unica strada, o la migliore, per raggiungere
            l'obiettivo. Ma è la migliore che siamo riusciti a immaginare
            finora e speriamo che possa suscitare un dibattito dal quale nascano
            altre alternative. 
             
            (Traduzione di Chiara Rizzo) 
             
              
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