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I must secondo Caffè Europa



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Antonia Anania

“O quando tutte le notti - per pigrizia, per avarizia - ritornavo a sognare lo stesso sogno: una strada color cenere, piatta, che scorre con andamento di fiume fra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe, strapiomba sul vuoto.”
La diceria dell’untore
, Gesualdo Bufalino, Bompiani.

Ricordo il momento esatto in cui lessi quest’incipit che, così come l’intera prima pagina, non mi consentiva di entrare nella storia velocemente e con facilità. Sembrava uno di quei cancelli gelosi e arrugginiti - di ville antiche, barocche- che si apre solo se conosci bene i misteri della sua serratura. Lo abbandonai. Poi lo ripresi e lo lessi due volte, mi fermavo e assaporavo parola per parola, la musica e il significato. E fui pronta per entrare nel libro.



Mauro Buonocore

“Sono un malato… Sono un malvagio. Sono un uomo odioso”.
I ricordi dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij, traduzione di Tommaso Landolfi, Adelphi, 1995

Tre colpi netti, sicuri e decisi aprono la narrazione. Tre passi immediati che ci proiettano all’interno di un ambiente che chiuderà la porta al mondo della superficie per tutto il tempo della lettura. È così che Dostoevskij ci precipita nel sottosuolo, con tre frasi che sembrano sbattere, dietro di noi, la porta del mondo che palpita alla luce del sole. Sono i pensieri più nascosti, le manie più subdole, gli anfratti del ragionare umano a conquistare l’orizzonte del racconto. Le parole costruiranno intorno a spiegazioni analitiche, sfoghi irruenti, descrizioni sistematiche, situazioni, memorie. Con tre sole, brevissime, frasi l’autore apre un panorama interiore che non lascia scampo ad alibi e tentennamenti.

Accompagnati dalla traduzione di Tommaso Landolfi, gli occhi del lettore si immergono in un mondo sconosciuto per riemergerne soltanto alla fine, quando, dopo aver attraversato il sottosuolo, lo sguardo riaffiora alla superficie delle cose. Ma il passaggio segreto che mette l’uomo moderno di fronte alle ombre della sua interiorità è ormai svelato, e la sua porta si aprirà ogniqualvolta i pensieri riandranno a questi Ricordi.



Andrea Begnini

Chi, s’io gridassi, mi udrebbe mai dalle sfere
degli angeli? E se pure d’un tratto
uno mi stringesse al suo cuore: perirei della sua
più forte esistenza. Poiché del terribile il bello
non è che il principio, che ancora noi sopportiamo,
e lo ammiriamo così, ché quieto disdegna
di annientarci. Ogni angelo è tremendo.
Elegie duinesi
, Rainer Maria Rilke. Trad. di Anna Lucia Giovotto Künkler, Einaudi-Gallimard, Torino 1995.


La prima elegia di Rilke, sosteneva Peter Szondi affrontandola in un ciclo di lezioni a metà degli anni Cinquanta, è un’ouverture, passa in rassegna tutti i temi che le successive elegie disciolgono poi intimamente. Ecco dall’incipit il rapporto con l’angelo, tremendo, perché la miseria umana non trova possibilità di rimettervisi in quanto non può sopportare la sua “più forte esistenza”. Il bello possiamo anche tollerarlo, finquando se ne sta quieto e disdegna di annientarci, ma la perfezione angelica non è per noi, ci terrorizza la forza di quelli che, nella seconda elegia, Rilke chiama “uccelli quasi mortali dell’anima”.

In poche righe fluide c’è la miseria umana e l’impossibilità ma nello stesso tempo la necessità di rivolgere l’anima oltre l’uomo. Il rapporto con l’angelo non è però remissivo, non c’è invocazione a un aiuto, quanto piuttosto la testimonianza della lacerazione costante tra l’afflato al cielo degli uccelli quasi mortali e la comprensione della tremenda e incolmabile distanza che ci separa da loro.



Antonio Carioti

“Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”.
Teologia politica
, Carl Schmitt, 1922 (traduzione italiana nella raccolta di saggi Le categorie del 'politico', a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera, Il Mulino, 1972)

In mezza riga di testo, cruda e senza fronzoli, all'inizio di un saggio breve ma denso, uno dei più geniali e controversi studiosi del XX secolo ci trasmette una formula ricca d'implicazioni sui fondamenti della politica. Parlare di sovranità significa andare a toccare il punto d’intersezione tra lo Stato di diritto, preziosa conquista della nostra secolare civiltà, e il regno cruento della forza bruta, sempre in agguato quando vacilla la legittimità delle istituzioni e si allentano i vincoli della convivenza pacifica. Lo stato di eccezione, o di emergenza, è appunto il momento tragico e paradossale in cui l'osservanza delle regole formali può compromettere la sopravvivenza di un ordinamento basato su quelle stesse regole: come quando alle elezioni vince un partito totalitario, oppure una minaccia alla sicurezza dello Stato induce a sacrificare pezzi importanti di libertà. È come se si regredisse alla fase magmatica che precede il patto costituente, quando serve una decisione sovrana di natura politica per fondare un nuovo Stato.

Messo all'indice per la sua opportunistica adesione al regime nazista, da cui peraltro venne presto emarginato, Schmitt è stato da tempo riscoperto per la sua capacità di svelare il lato oscuro di ogni potere, compreso quello democratico, attraverso una lucida analisi delle situazioni limite. Il suo pensiero è certo legato all'epoca delle guerre mondiali, ma l'ombra minacciosa del "conflitto di civiltà" che grava sul nostro tempo lo rende al tempo stesso straordinariamente attuale.



Paola Casella

"Nessuno pensa mai che potrebbe ritrovarsi con una morta tra le braccia e non rivedere mai più il viso di cui ricorda il nome"
Domani nella battaglia pensa a me
, Javier Marías, Traduzione di Glauco Felici, Einaudi 2000

In questa frase c'è tutto Victor, il protagonista di un romanzo che sembra un giallo e invece è uno sguardo giù per le voragini dell'anima. Victor che cammina attraverso la sua vita senza mai sentirsene protagonista (eppure è l'io narrante della storia). Victor che ritiene l'amore un incontro casuale tra passanti, eppure quando trova la sua amante morta fra le braccia si accorge di averla, in qualche modo, conosciuta, e di non aver saputo fare onore a questa - brevissima - intimità.

Victor che impara i nomi ma non riconosce le persone, che viaggia solo in un mondo di estranei, che si accoppia occasionalmente, domandandosi in silenzio perché mai quella donna, quell'intero universo parallelo, dovrebbe volere proprio lui, di tutti gli stranieri del pianeta.

A metà fra un antieroe di Hammet e il nostro agente all'Avana (uno di quelli che, dal primo incontro, pronostica da solo la fine dell'avventura), Victor Francés è l'uomo contemporaneo, maldestro sceneggiatore della propria esistenza, e l'incipit di Marías è il primo, perfetto ingranaggio di una macchina narrativa che ticchetta come un orologio svizzero, fino alla battuta finale.



Tina Cosmai

"Non c’è un momento preciso, né un giorno fissato, non ti sarà preannunciato da alcun segno esteriore, nulla nei comportamenti e nel paesaggio sarà diverso dall’abituale, il sole a filo della pista, la pista che finisce nel mare, niente comunque ti farà presagire che è giunto il momento, per te, di trovarti su un aeroplano senza passeggeri, senza piloti, senz’altro che non sia tu stesso, come nel peggiore dei sogni. Puoi parlare ad alta voce, non v’è divieto, puoi cantare o sudare, non v’è chi se ne accorga, puoi girarti verso destra e guardare il posto vuoto dove abitualmente siede il tuo maestro, considerare quel vuoto come la più sconsolante rappresentazione del vuoto assoluto, la più struggente sensazione d’abbandono. Puoi tirare indietro le manette, fermare l’elica, aprire il portello, sganciare le cinture e scendere sollevando le braccia:qualcuno venga a prendere l’aeroplano che stai lasciando lì, allineato all’inizio della pista per il tuo primo decollo da solo. Una decisione di grande saggezza, una decisione onorevole. Ma con quale coraggio?"
Staccando l’ombra da terra
, Daniele Del Giudice, Einaudi, 2000

Ho amato quei libri che mi hanno corrisposto, che hanno, in qualche modo, dato parola a un mio bisogno o desiderio recondito. I libri si amano per questo e ciò che l’autore ha voluto esprimere ha un valore parziale, perché ciò che conta è l’interpretazione di noi lettori. Il libro, una volta pubblicato appartiene a chi lo legge e non più a chi lo ha “generato”. Ecco perché la letteratura è anche un atto d’amore, il dono di un’esperienza, di una riflessione, di un vissuto, di un’emozione.

Staccando l’ombra da terra è una storia che ha accompagnato una parte della mia esistenza, esprimendo attraverso le manovre di volo, le manovre della vita. Accade a tutti di dover fare l’esperienza del “volo”, intesa come attribuzione del proprio mondo interiore, dei propri valori, spesso diversi da quelli che ci sono stati trasmessi. E allora la coscienza naviga per un po’ in un vuoto che all’inizio fa paura, è angoscia del nuovo, perché nessuno di noi sa come evolverà il proprio universo emotivo, così come il pilota non sa che cosa proverà durante il volo, quando sarà solo nel cielo immenso, con indosso quella sensazione di abbandono che sempre ci accompagna quando scopriamo parti nuove di noi stessi.



Paola Damiani

"Ero stremato-stremato a morte dalla lunga tortura; e quando alla fine mi sciolsero, e mi si consentì di stare seduto, m'accorsi che stavo per perdere i sensi. La sentenza -la sentenza terribile di morte- fu l'ultimo suono che mi giunse nitido alle orecchie. "
Il pozzo e il pendolo, Edgar Allan Poe, traduzione di Giorgio Manganelli, Einaudi.

Un prigioniero dell'Inquisizione, massacrato dalla tortura, scopre di essere condannato a una fine orribile. Questa prospettiva attiva nel protagonista una sovraeccitata capacità di analisi e di descrizione dei propri sentimenti e delle sensazioni fisiche che ha pochi eguali in letteratura. Per trovare una descrizione del panico così efficace bisogna far ricorso alla prosa scientifica. Per quanti non lo hanno letto non va rivelato il finale. Poe spalanca gli occhi e aguzza i sensi di fronte a ciò che non si vorrebbe mai vedere o sentire e che il più delle volte abita proprio dentro di noi. Ed è per questo che, in altri racconti, l'autore mescola all'orrore un inarrivabile humour. Il consiglio è quello di leggerli tutti.



Bibi David

“Saro’ biasimato, lo so. Ma che farci?”
Il diavolo in corpo
, Raymond Radiguet, Traduzione di Dianella Selvatico Estense, Einaudi, 1970


Questo inizio, insieme accattivante e volutamente provocatorio, mi ha particolarmente colpito e incuriosito. Purtroppo non ho trovato la storia narrata nel libro, che pure ha ispirato film di successo come Le diable au corp di Claude Autant Lara, del 1946, all’altezza del suo incipit.



Martina Fornasaro


"Sotto certi aspetti vi sono nella vita poche ore più piacevoli di quelle dedicate alla cerimonia del tè del pomeriggio. Vi sono circostanze in cui, sia che si prenda il tè o no - c'è della gente che non ne vuol sapere - quel momento è in sé delizioso. Le condizioni alle quali io penso, incominciando a scrivere questa semplice storia, offrivano un assetto mirabile per l'innocente passatempo. Gli oggetti necessari alla piccola cerimonia erano stati disposti sulla prateria di una vecchia casa di campagna inglese, nel cuore di uno splendido pomeriggio estivo. Una parte del quale era già trascorsa, ma ancor molta ne rimaneva, ch'era della più bella e fine qualità."
Ritratto di signora,
Henry James,Traduzione di Carlo Linati, Silvia Linati, Einaudi, 1993

Amo questo incipit perché, a molti anni dalla lettura del romanzo, ricordo ancora - e purtroppo non mi capita spesso - la sensazione che ho provato incominciandolo: un tuffo nella campagna inglese (estate, pomeriggio di sole) nella quale mi sono sentita piacevolmente precipitare solo dopo poche righe. Ricordo il tutto come un campo lungo che piano piano mi si è aperto davanti. Ho visto il film della Campion qualche tempo dopo: è stato bello intuire che anche la regista (tra le mie preferite) aveva amato allo stesso modo l’incipit di Ritratto di signora.



Odette Hassan

"Daniela è estetista, ha la mia età, viene da Treviso o da un posto vicino Treviso, divide la casa con un’amica e non ha mai mangiato la pasta con il pesto. Il pesto si vende nei supermercati, già pronto in barattoli o sfuso nei banchi gastronomia, e poi dai salumieri, rosticcieri e pastai. Condisce i primi piatti serviti nei ristoranti, nelle pizzerie e trattorie, nei bar tavola calda e nelle mense, dove te lo danno sempre più spesso, perché non lo devono preparare loro, arriverà confezionato in bidoni come quelli delle tinte per l’imbiancatura, bidoni all’ingrosso. E poi lo trovi nei supermercati in Francia e Grermania, da Mark e Spencer’s in tutte le filiali del Regno Unito e del Continente, dove lo offrono insieme alle tagliatelle, tagliatelle bianche e verdi, o bianche e verdi miste che all’estero piacciono molto, non ricordo bene."
Cibo,
Helena Janeczek, Mondadori 2002

Con il fascino che solo la letteratura offre, Helena Janeczek affronta il tema dell’alimentazione attraverso una miriade di storie narrate dall'estetista Daniela. Dal negozio di parrucchiere arrivano storie che a volte sono emozioni trattenute, a volte esplodono, piene di sentimenti ma anche razionali.

Ad ogni piatto si lega una persona: ora una compagna di scuola ora un amico perduto, quando non è una persona è un rito di famiglia o un ricordo struggente, una passione o un dolore. I wurstel e la crema di piselli di Ulrike Seitz, la ragazza che voleva essere perfetta e che rischio’ di morire per anoressia; i knedlicky di prugna cucinati dall’obesa Ruzena Perl, che sfoga nel grasso di cui ha rivestito il suo corpo l’incubo dei dei carri armati sovietici e l’afflizione del suo animo di esule; la fetta di pane e burro mangiata con Andreas uomo bello e impossibile; il “gattò” di Teresa che nel cibo custodisce e rivendica la sua identità, le aringhe salate dal sapore amarognolo che riconducono al ricordo ancestrale del kiddush del sabato ebraico e a quello più recente e doloroso del funerale del padre scomparso da poco.


Alessandro Lanni

"Il mondo è tutto ciò che accade"
Tractatus logico-philosophicus
, Ludwig Wittgenstein, traduzione di Amedeo G. Conte, Einaudi, 1979

Di Wittgenstein, del Tractatus logico-philosophicus, si ricorda soprattutto la proposizione conclusiva, quella che recita: "Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere". La numero 7, la più citata, a proposito e a sproposito. Poche parole che perdono la propria radicalità filosofica in mille letture esistenziali o scientiste, nichilistiche o edificanti. Ma tant'è: fa così fino ricordarla che, come diceva il vecchio Nietzsche, la si è trasformata in una canzone da organetto, buona per tutti i salotti o per le polemiche sulla carta stampata.

Mai si ricorda, se non nei corsi universitari, l'apertura di quella che una tra le opere più difficili e inquietanti della filosofia occidentale. Nel 1918, un Wittgenstein neanche trentenne licenziava le poche paginette del Tractatus che si aprivano con un enigmatico: "Il mondo è tutto ciò che accade" (Die Welt ist alles was der Fall ist). Proposizione numero 1 che produce un riflesso condizionato del tipo: "Bene, bravo Ludwig. E perché mai ti considerano un genio?"

In effetti, come apertura non è un gran ché: che c'è di più banale e ovvio che considerare il mondo come la totalità degli eventi che vi accadono? I dubbi nascono - più che chiarirsi nella proposizione successiva - la 1.1, nella quale Wittgenstein spiega (spiega?): "Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose". Di qui, si apre la voragine del Tractatus nella quale, appunto, il mondo non è fatto di cose, nel quale il linguaggio rispecchia il mondo, ma non può rispecchiare se stesso, nel quale la possibilità dei segni, del linguaggio stesso, è indicibile, nel quale si dice che la morte non si vive. E nel quale, alla fine, si viene invitati a buttare via il libro stesso, come la scala sulla quale si è saliti.
Questo è il Tractatus, questo è Wittgenstein.



Consolato Paolo Latella

"Ogni giorno attribuisco minor valore all'intelligenza. Ogni giorno mi rendo sempre meglio conto che solo indipendentemente da essa lo scrittore può cogliere nuovamente qualcosa delle sue impressioni, ossia qualcosa di lui stesso e la sola materia dell'arte. Quel che l'intelligenza ci restituisce sotto il nome di passato non è tale. In realtà, come accade alle anime dei trapassati in certe leggende popolari, ogni ora della nostra vita, appena morta, s'incarna e si nasconde in qualche oggetto materiale; e vi resta prigioniera, prigioniera per sempre, salvo che noi non c'imbattiamo in quell'oggetto. Attraverso lui, la riconosciamo, la chiamiamo, ed essa viene liberata. L'oggetto in cui si nasconde, - o, meglio, la sensazione, perché relativamente a noi ogni oggetto è sensazione, - può darsi benissimo che non l'incontriamo mai. Cosí ci sono ore della nostra vita che mai non risusciteranno. Quell'oggetto è cosí piccolo, talmente sperduto nel mondo, e ci sono cosí poche probabilità che abbia a trovarsi sul nostro cammino!"
Contro Sainte-Beuve
, Marcel Proust, Traduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini, Paolo Serini, Einaudi 1991

Cosa è ancora valido della poetica di Proust nel mondo dell’immateriale?



Chiara Rizzo

Lei sarà qui, oggi. Mi sono sporto dal mio posto di pilotaggio a guardare giù, nel vento e nel turbine dell’elica, giù: verso il campo di fieno, autunnale, che avevo preso in affitto, e che si estendeva per mezzo miglio, fino al cancello aperto al quale avevo affisso un cartello che diceva: OGGI SI VOLA - $ 3 A PERSONA. La strada dirimpetto a quel cartello era gremita di automobili su ambo i lati. Ce ne saranno state una sessantina, e d’intorno una folla di persone, venute a veder volare. Lei potrebbe esser là in questo momento, appena arrivata. Sorrisi a questa idea. Chissà!”
Un ponte sull’eternità, Richard Bach 1984

Richard Bach è lo scrittore e pilota autore del più famoso Il gabbiano Jonathan Livingston, e Un ponte sull’eternità per me da anni è praticamente un compagno di viaggio. Avete mai sentito di essere sul punto di perdere qualcuno che non avevate mai incontrato? Semplicemente meraviglioso scoprire che i tuoi stessi pensieri sono materializzati e resi concreti nelle parole di un’opera immensa quanto ogni tuo sogno.

La ricerca della propria anima in un’altra persona è ardua, riuscire a creare insieme l’infinito lo è ancora di più, soprattutto se si osa anche solo per un momento pensare che ciò comporti una perdita di libertà. Ma tutto è più semplice se si tiene a mente di essere sogno, pensiero infinito che attende un altro pensiero capace di creare il ponte. E allora le distanze materiali fanno parte di una dimensione apparente e nessuno dei due è lontano nella mente, continuando a vivere “per sempre”.
“Noi siamo il ponte che attraversa l’eternità, che s’inarca sopra il mare, che s’avventura per il nostro piacere, misteri viventi per sfizio e per spasso, che scegliamo disastri, trionfi, sfide impossibili, rischi, per mettere noi stessi alla prova ripetutamente, per imparare l’AMORE.”



Francesco Roat

“Leggo solo libri usati.
Li appoggio al cestino del pane, giro pagina con un dito e quella resta ferma. Così mastico e leggo.
I libri nuovi sono petulanti, i fogli non stanno quieti a farsi girare, resistono e bisogna spingere per tenerli giù. I libri usati hanno le costole allentate, le pagine passano lette senza tornare a sollevarsi.
Così alla trattoria di mezzogiorno mi siedo alla stessa sedia, chiedo minestra e vino e leggo.
Sono romanzi di mare, avventure di montagna, niente storie di città, che già le ho intorno.
Alzo gli occhi per un po’ di sole riflesso nel vetro della porta d’ingresso da dove entrano in due, lei con aria di vento addosso, lui con aria di cenere.”
Tre cavalli,
Erri De Luca, Feltrinelli

Ricordo che, i primi tempi in cui iniziavo a occuparmi di recensioni letterarie, preoccupato per la mole di romanzi o racconti che mi arrivavano dalle Case Editrici e non sapendo come fare per scegliere quali prendere in considerazione, mi rivolsi per consiglio a un anziano direttore editoriale amico mio, il quale semplicemente mi disse di leggere gli incipit dei testi: se la prima pagina mi soddisfaceva, avrei dovuto proseguire la lettura, altrimenti no. Certo, il consiglio era drastico e molto sbrigativo (io non l’ho mai fatto mio davvero), però conteneva un germe di verità: difficilmente gli incipit maldestri o scialbi preludono ad un libro interessante.

Tuttavia è difficile dire perché l’inizio di un romanzo sia bello. E’ un po’ come quando ti innamori di una persona. Alla fin fine, ti piace e basta. Questo potrà sembrare strano detto da parte di un critico letterario, eppure - analisi testuale a parte - io credo che con gli incipit vada proprio così: o piacciono o non piacciono. Ovvio, non devono essere banali, né solo attenti alla forma, per quanto ben orchestrata. Devono anche dare una prima idea forte del prosieguo: essere indicativi, in qualche modo, del climax narrativo generale dell’opera. Infine devono spronare il lettore a continuare a leggere; essere insomma stimolanti, pregnanti, allettanti.




Ludovica Valori

Non mi si accusi di irriverenza se dico che i primi incipit che mi vengono in mente, ex aequo, sono quello, celeberrimo del resto, della Strada di Swann di Proust (“Per molto tempo mi sono coricato presto la sera”) e quello - assai meno conosciuto, non essendo incluso nel film - del romanzo di Margaret Mitchell Via col vento: “Rossella O’Hara non era una bellezza”. Frasi concise (tradotte, oltretutto), dalla normalita’ quasi insospettabile, ma che in realta’ sono premesse di avvenimenti piu’ che memorabili: proprio nel contrasto con cio’ che segue trovo la loro grandezza, e mi perdonino ancora i puristi per questo improbabile accostamento.

Bellissimo - pur se di segno opposto, dato che qui si sprofonda subito nell’atmosfera del libro - l’inizio di Lolita di Nabokov: “Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, tre volte, contro i denti. Lo. Li. Ta.” Che altro dire?

Per la poesia e’ affare senz’altro diverso: citerei ad ogni modo un incipit che mi ha sempre dato i brividi (come tutto il resto della poesia, che si puo’ leggere qui: http://people.a2000.nl/avanarum/Prufrock_FRAME.htm ): quello del Canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. S. Eliot, che riporto inevitabilmente in inglese:
Let us go then, you and I,
When the evening is spread out against the sky
Like a patient etherised upon a table.

Infine, proprio con la citazione di un saggio su The Waste Land di Eliot (altro celebre incipit: "April is the cruellest month"…) inizia anche uno dei piu’ bei fumetti di Andrea Pazienza, Gli ultimi giorni di Pompeo. Opera che del resto e’ strapiena di rimandi e citazioni. Ma qui entriamo in un altro campo…

 

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