Gerusalemme? E’ a Barcellona
Chiara Lico
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Gerusalemme? E’ a Barcellona, dove accanto a una sinagoga
ortodossa e a una progressista, a ebrei laici e a un nuovo gruppo
ortodosso, convive una comunità palestinese di elevato livello
sociale e culturale perfettamente integrata nella società
cittadina.

“La rivoluzione la capeggia un rivoluzionario,
la porta avanti un avventuriero e ne raccoglie i frutti un meschino”.
Sono versi in arabo rubati con la macchina fotografica ai graffiti
sui muri palestinesi di Kalandria, tra Ramallah e Gerusalemme,
durante la prima intifada. Versi che tradiscono con violenza, anche
per l’averli scelti, il senso di una crisi forte che non può
essere dimenticata o messa da parte. E che diventano opera di un’arte
militante in uno degli ultimi collage di Samira Badran, 48 anni,
palestinese nata in Libia e che oggi vive e lavora a Barcellona.
Samira Badran fa parte di quella comunità palestinese ben inserita
nella società catalana, frutto di un’accoglienza divenuta
integrazione e in alcuni casi, come in quello dell’artista
palestinese - che parla il catalano meglio del castigliano - in una
forma di arricchimento per il paese ospitante.
Strano a raccontarsi, questo, per una città che chiude in sé il
senso della diversità e che nutre forte il desiderio di una propria
autonomia, vista quasi come una propria preservazione, un proprio
mantenimento. Eppure così è. Come se al di là della propria
esperienza (o forse proprio a partire da qui), il clima che si
respira avverte che lo spazio a Barcellona c’è. Per chi ne vuole
approfittare e per chi lo sa sfruttare.
Non è un caso in questo senso che l’esempio di Samira Badran non
sia isolato. E sia anzi solo la cartina di tornasole del profilo di
una comunità, quella palestinese, emergente soprattutto per il suo
elevato livello sociale e culturale e per la quale Barcellona ha
rappresentato il luogo ideale per la propria espressione. Il che ha
significato anche comprendere a fondo temi e dibattiti salienti per
la città.

Lo sa bene Salah Yamal, medico, storico e
scrittore, che si definisce un barcellonese di origine palestinese.
È a lui che è spettato il compito di pronunciare l’ultimo
discorso pubblico di rilievo sulla difesa della lingua catalana. A
lui, che era giunto in Spagna negli anni Sessanta-Settanta per il
desiderio di studiare, visto che nella sua terra non c’erano
università.
Stessa sorte quella di Radi Shuaibi, anche lui emigrante
palestinese. Anche lui arrivato in Spagna alla ricerca del riscatto
socio-culturale e bloccato in Europa dall’esplosione della guerra
del ’67 che, come ad altri, gli impedì di tornare. E anche lui,
oggi, con un posto di rilievo a Barcellona: capo della comunità
catalano-palestinese e presidente del Barcelona Projects, la
società proprietaria dell’hotel Rey Juan Carlos I. Due figli “catalani”
e un ritorno a Gerusalemme, dov’è nato, siglato a 28 anni dalla
partenza.
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