Trovar la soluzione sulla via della
disperazione
Umberto Curi
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E’ perfettamente inutile girarci intorno, soltanto perché la cosa
può non piacere: là dove ha governato, la sinistra perde. E’
accaduto lo scorso anno in Italia. E’ accaduto ancora più
clamorosamente giorni fa in Francia e in Germania. Qualcosa di
simile si era già verificato in Portogallo, mentre anche da altre
realtà europee “minori” sono provenuti segnali simili.
Da notare che, in tutti i casi ora citati, ad un esame minimamente
obbiettivo risulta che l’azione di governo svolta è stata
complessivamente positiva, certamente sul piano della correttezza,
ma anche dal punto di vista dell’efficienza e della bontà dei
risultati acquisiti. Un esempio fra tutti: per quanto si tenda a
dimenticarlo, e tuttora lo si voglia sottovalutare, l’ingresso
dell’Italia nell’euro, e il modo equilibrato e non traumatico
col quale lo si è realizzato da parte del centrosinistra, poteva
essere considerato un traguardo irraggiungibile.

E allora? Si deve pensare ad un destino “cinico
e baro”? O peggio ancora immaginare che qualche oscuro sortilegio
impedisca alla sinistra di raccogliere in termini di consensi
elettorali quanto ha seminato sul piano dell’attività
governativa?
Una cosa è certa. Le risposte che si sono date a questi
interrogativi appaiono tutte, quale più quale meno, insoddisfacenti
o quanto meno incomplete. Anzi, uno dei dati più deprimenti è la
perseveranza con la quale, di fronte a un disastro di queste
proporzioni, ciascuna “anima” della sinistra italiana si ostina
a ribadire le proprie posizioni: Bertinotti a sanzionare
trionfalmente la fine del centrosinistra (e sai che soddisfazione!),
i DS a mettere in guardia contro i pericoli della divisione delle
forze. Senza che nessuno si sforzi di vedere al di là del proprio
naso. Col coraggio di riconoscere qualche verità amara.
Governare una moderna democrazia occidentale vuol dire, soprattutto
al giorno d’oggi, porsi come elemento di equilibrio al centro di
una pluralità di interessi diversi e spesso fortemente
contrastanti. In se stessa, indipendentemente dai temi specifici
intorno ai quali si eserciti, e dal contenuto delle decisioni, l’attività
di governo è essenzialmente attività di mediazione fra spinte
divergenti. Pensare di poter “de-cidere” nettamente, in una
direzione o nell’altra, nel groviglio dei poteri corporati nei
quali si articola una moderna democrazia, è pura utopia.
Il governo in se stesso, il governo in quanto tale, può essere
soltanto una sorta di punto archimedeo, nel quale convergono e si
contemperano logiche e interessi molteplici. Una specie di camera di
compensazione, destinata principalmente ad assorbire il dinamismo
sprigionato dal sistema nel suo insieme, per evitare che esploda o
collassi, non una cabina di regia, capace di orientare con nettezza
i processi verso precisi obiettivi.
Da questo punto di vista, si può affermare che non questo o quel
governo, più o meno di “destra”, ma la funzione di governo come
tale deve essere oggi intrisecamente moderata, perché essa
deve appunto stabilire una misura remota da ogni estremo
- e quindi lontana da ogni autentica decisione. Al giorno d’oggi,
per chiunque si trovi ad esercitare tale funzione, governare vuol
dire mediare, moderare, tenere in equilibrio.

Ora è del tutto evidente che una simile accezione
della funzione di governo, se corrisponde alla mentalità e alle
scelte di un elettorato di destra e di centro, non ha proprio nulla
a che vedere con le aspettative del popolo della sinistra. Ciò che
esso si attende da chi eserciti la guida di un paese non è affatto
la pura e semplice equidistanza dagli estremi, né tanto meno la
ricerca di un compromesso fra i soggetti e gli interessi in campo,
ma esattamente al contrario una azione decisa e inequivocabile in
una direzione precisa. Qualcosa che abbia almeno il “sapore” del
socialismo, visto che quella prospettiva in se stessa per ragioni
diverse non è più perseguibile.
Se la politica deve essere mera “tecnica”, svuotata dal
riferimento a grandi ideali, e se il governo deve essere semplice
ricerca di un punto di equilibrio, allora tanto vale fare a meno di
andare a votare, o togliersi lo sfizio di un voto di pura protesta.
Un bel paradosso. Un circolo vizioso in piena regola.
Da un lato, se come sinistra intendo governare un paese moderno “democraticamente”,
senza coltivare nostalgie di “dittatura del proletariato”, non
posso che governarlo in maniera “tecnica”, usando principalmente
lo strumento della mediazione fra gli interessi, e dunque
interpretando fino in fondo un ruolo moderato. Dall’altro
lato, se mi attengo a questa scelta obbligata, perdo i consensi del
mio elettorato, continuando a restare peraltro poco credibile per i
cittadini di orientamento conservatore. Piaccia o meno riconoscerlo,
ciò che è accaduto in Italia e in Francia corrisponde
perfettamente allo scenario ora descritto.
Spinto alle sue conseguenze più estreme, questo ragionamento può
sembrare alludere ad un esito letteralmente “disperato” per chi
non si rassegni all’idea che a governare debbano per forza essere
Berlusconi e Chirac. Ma è proprio avendo il coraggio e il rigore di
passare attraverso questa prospettiva disperata, che è possibile
individuare qualche ipotesi di soluzione.
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