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Convenzione: ora la strada è in salita



Silvia Di Bartolomei




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Ora i lavori della Convenzione per la riforma dei Trattati europei saranno tutti in salita. Qualunque sia l’esito del voto della prossima domenica per il secondo turno delle presidenziali francesi - e nessun democratico in tutta Europa vuole oggi prendere in considerazione l’ipotesi sfavorevole a Chirac - è comunque certo che la spallata di Le Pen ha portato sul banco degli accusati l’Europa di Maastricht e di Schengen.

Le Pen - tribuno dialetticamente fortissimo e animale politico dal fiuto formidabile - ha saputo cogliere il momento storico della caduta di fiducia dei suoi concittadini nei valori fondanti della democrazia francese ed europea. E’ riuscito a sommare tutti i motivi di crisi dei partiti democratici, socialisti e liberali presenti oggi in Europa, facendone un’arma da scagliare contro la fortezza dell’Unione europea, nel tentativo di smantellarne le precarie istituzioni e arrestarne il processo di rafforzamento che dovrebbe scaturire dalla Convenzione.

Il fulcro della battaglia europeista in cinquant’anni non si è mai spostato dalla Francia. Ora è accaduto che, il 21 aprile a votare per l’estrema destra non sono stati solo i picchiatori, le teste rasate, i tifosi che insultano gli avversari con slogan razzisti durante le partite di calcio Francia-Algeria. Sono stati, invece, il 26 per cento degli operai, il 31 per cento dei commercianti e degli artigiani, il 20 per cento degli impiegati. In totale, quasi cinque milioni di elettori che hanno attribuito alla moneta unica la responsabilità dei sacrifici sostenuti per rientrare nei parametri di Maastricht, e all’apertura delle frontiere nazionali la responsabilità della crescente insicurezza e della disoccupazione in aumento nelle città, in particolare nelle periferie urbane.

La sconfitta del premier socialista Lionel Jospin è dunque il risultato di un profondo rancore diffuso, e non solo in Francia. In ogni caso, tutte le analisi distillate dal voto portano a ritenere che esso influenzerà profondamente non soltanto l’elezione dell’Assemblea Nazionale francese a giugno, ma anche le politiche in Germania a settembre, confermando o arrestando la virata a destra della Sassonia e, ancor prima, dell’Austria, dell’Italia, della Spagna, della Danimarca e dell’Olanda.

Tutto questo significa che la battaglia per l’Europa, di qui a settembre, non si farà tanto nell’assemblea della Convenzione, quanto soprattutto nelle piazze, con i programmi e gli impegni dei partiti. L’europeismo prevarrà se prevarranno i partiti europeisti.

Ci stiamo chiedendo se il terremoto provocato dal voto francese dissesterà ineluttabilmente il cammino dell’Unione europea, o se al contrario produrrà un effetto positivo su quel “deficit democratico” tante volte riscontrato nelle sue istituzioni. L’idea che Le Pen possa far bene alla democrazia in Francia e in Europa suona come un paradosso, ma questo è proprio quanto potrebbe accadere. E’ comprensibile che a caldo, nello sconforto del giorno dopo, il presidente della Commissione europea Romano Prodi abbia affidato al suo portavoce un amaro commento: “La Francia gioca un ruolo storico di grande importanza nell’Unione. Nel bene e nel male quando si tratterà di discutere se fare un’Europa più unita e più federale, con trasferimento di poteri a livello sopranazionale, oppure un’Europa delle patrie modello gollista, è evidente che tutti terranno bene a mente quanto impopolare sembra ormai diventato il progetto europeista un po’ dovunque. Il successo di Le Pen sarà piombo sulle ali, se altro ne serviva, di tutti i sogni federalisti più arditi”.

Tuttavia, da una reazione forte all’affermazione del Fronte Nazionale in Francia e alle pulsioni xenofobe e razziste in Germania e in Italia, potrebbe derivare un rilancio dell’identità europea come simbolo di pace e libertà, rispetto del pluralismo, dei diritti umani, della solidarietà sociale e dello Stato di diritto. Un’identità che le democrazie europee hanno costruito sulla tragica esperienza delle dittature e della guerra. Veniamo tutti di là, ha detto il Presidente Ciampi celebrando la Resistenza il 25 aprile scorso, ed abbiamo tutti un dovere e un’idea chiara: “costruire un’Europa generatrice di pace, di valori, libertà e giustizia”.

Per concludere. L’allontanamento della società civile dal sentimento europeistico che ha sostenuto il difficile cammino dell’integrazione europea fino a Maastricht deve essere sanato. C’è bisogno di un’idea forte per dare all’Unione il carattere di una vera democrazia federale.

“Ci piaccia o no - ha affermato Giuliano Amato, vicepresidente della Convenzione europea - non c’è angolo d’Europa che non sia destinato nei prossimi anni ad essere percorso da flussi di esseri umani, di attività lecite e illecite, dai venti della globalità. E nemmeno un Le Pen presidente potrebbe fermarli, neanche alzando i ponti levatoi”. Anche le destre europee che vorrebbero ridurre la cooperazione ad un sistema intergovernativo di accordi e patti tra Stati sovrani, dovranno dunque riflettere sul successo del Fronte nazionale. Dovranno chiedersi se le resistenze e i pregiudizi nazionalistici opposti alla costruzione dell’unione politica non finiscano per dare slancio alle pulsioni razziste e xenofobe. Pulsioni che fanno leva sulle angosce e le paure della gente e per avversare l’idea di un’Europa al passo con i tempi, democratica, multirazziale e solidale.

 

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