"Mai lasciare i bambini da
soli davanti al piccolo schermo"
Margherita Agnelli de Pahlen con Nina Fürstenberg
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soli davanti al piccolo schermo"
Il privilegio di crescere senza
tv
La questione minori non è una questione minore
“E’ troppo cretina e volgare. Perciò io i miei figli
non li ho lasciati, non li lascio, soli con la televisione”. Con
Margherita Agnelli de Pahlen parliamo di televisione e bambini,
un tema che ben conosce e sul quale ha meditato più di qualche minuto.
Anni. Lei è madre di otto figli, il più grande dei quali, John,
chiamato Jaki, ha 26 anni, la più piccola, Tatiana 11. Margherita
Agnelli de Pahlen ha fatto decisamente una scelta che ai nostri
giorni è inconsueta, ha affrontato l’impresa di educare una famiglia
numerosa. Una rarità, comunque ti chiami, anche se ti chiami Agnelli.
Margherita vive con suo marito, Serge de Pahlen, fra Ginevra e Parigi
e viene in Italia solo per le vacanze. Lei il “ruolo” di madre non
solo non lo respinge, ma lo assume con piena convinzione e propone
a noi tutti di onorarlo socialmente di più. Si capisce che essere
la figlia di Gianni Agnelli è qualcosa che ti mette in condizione
di fare scelte che per altri sarebbero più faticose o impossibili.
Ma si tratta pur sempre di una scelta. Otto figli proprio non erano
un obbligo di famiglia.

Un’altra scelta è quella di dipingere; questa donna
dai capelli chiari, lo sguardo serio e riflessivo, dedica una parte
della sua vita alla pittura con un impegno professionale. Un suo
quadro intitolato “Europa” è stato donato ieri dal governo Italiano
alle Nazione Unite. E sta per aprirsi una sua mostra alla sede delle
Nazione Unite a Ginevra, la stessa che poi verrà a Roma alla società
Dante Alighieri. Il suo stile pittorico mescola la tradizione classica
italiana e la cultura iconografica del cristianesimo ortodosso.
Ma non è per questo che la vogliamo interrogare. La televisione
e i bambini: con lei - con chi meglio di lei? - possiamo verificare
che rapporto c’è tra la televisione e il modo in cui una élite borghese
educa i suoi figli.
Margherita, ora tre dei suoi figli sono grandi ma cinque vivono
ancora con lei e la più piccola, Tatiana, ha appena undici anni.
Ci racconti come si è regolata con la televisione nella loro educazione?
Ho esercitato il controllo e la limitazione. L’ideale certo
sarebbe stato - per alcuni devo ancora dire “sarebbe” - che loro
gestissero questo rapporto autonomamente, consapevolmente. Ma dal
momento che non è così, ho dovuto ricorrere a una iniziativa, mia,
drastica. Ho impedito che vedessero qualunque cosa in televisione,
d’autorità, e li ho costretti a imparare che si dovevano guardare
solo le cose che possono essere utili. Poi quando sono diventati
più grandi, nel corso dell’adolescenza, intorno ai tredici-quattordici
anni, ho visto che i più responsabili riescono a gestirsi, e a limitarsi,
da soli.
Ma non c’erano discussioni?
I grandi li lasciavo un po’ più liberi di guardare la tv, dopo fatti
i compiti, perchè era un modo per rilassarsi mezz’ora, anche quando
il programma era una assoluta scemenza. Ma il principio di base
è comunque che uno non deve abbandonali davanti alla tv. Ci vuole
sempre una supervisione. La televisione nell’appartamento di Parigi
è sempre stata in camera mia. E io, anche se non guardavo il programma
insieme a loro, passavo spesso e mi fermavo un minuto, per vedere
di che si trattava. Qualche volta cerchiamo di scegliere un programma
da vedere tutti insieme, un film, un dibattito interessante. Il
più delle volte sono loro a decidere. Ma si discute.

In molte famiglie si vorrebbe fare così, ma non
sempre c’è tempo. Gli adulti hanno altro da fare. E allora spesso
non resta che abbandonarli davanti alla tv?
Capisco, ma io dico di no. Quando non ho tempo di stare con loro
davanti alla televisione sapete che faccio? La spengo. Perché è
ovvio che loro finiscono per fare zapping e trovarsi a guardare
programmi totalmente deficienti e che li inonderebbero di idee cretine.
Secondo me è indispensabile, se la televisione è accesa con davanti
dei bambini, che un adulto stia lì intorno, guardi, ascolti e risponda
in modo intelligente alla TV. Così si educa al discernimento, aiutiamo
i bambini a crescere e anche noi stessi a cogliere idee in circolazione,
a capire quel che si dice e si pensa. Se si riesce a vivere la televisione
in questo modo, può anche arricchire la cultura. Altrimenti, è solo
il trionfo della volgarità.
E come mai non trionfa la buona televisione, ma quella volgare?
Ma perché c’è una propensione dei bambini verso il linguaggio e
le situazioni scurrili, che umiliano la persona. Suppongo che il
motore sia la curiosità. E’ qualcosa in sé abbastanza naturale;
tra i 6 e i 12 anni i bambini sono attratti da queste cose. Per
questo è sbagliato e nocivo lasciarli soli davanti allo schermo,
perché da soli non possono coltivare il discernimento, il gusto;
sono troppo piccoli, non hanno una griglia raffinata capace di selezionare.
Succede anche quando insegno ai bambini un’altra lingua: se su cento
termini nuovi una è una parolaccia, a una velocità fantastica e
con assoluta sicurezza acchiappano sempre la parolaccia. E funziona
così anche per la scelta dei programmi.
Qualche parolaccia e volgarità: per i bambini è inevitabile in
una certa fase, poi passa. Non è detto che sia un dànno così grave.
Ma la televisione fa li fa in qualche modo addormentare, li fa diventare
inerti come oggetti, che stanno lì e subiscono, non li aiuta a diventare
persone, non li stimola a interagire, non li fa diventare capaci
di autolimitarsi il tempo della tv. Io non sono del tutto soddisfatta,
visto che devo ancora chiudere la stanza della televisione a chiave.
Vuol dire che discernimento e responsabilità non sono ancora maturati
abbastanza. Una mia amica ha un altro metodo: all’inizio della settimana
fa una gran discussione con i figli con davanti ai programmi della
tv. Discutono e decidono: questo si vede, questo no. Poi si rispettano
le decisioni.
E’ il contrario dello zapping, saltare distrattamente di qua
e di là.
E’ forse la scelta più intelligente, perché la fai con loro, li
costringi a prendersi una responsabilità nell’impiego del proprio
tempo, discuti le ragioni delle scelte, perché questo sì e perché
quell’altro no. Imparano a ragionare e a fare scelte coscienti.
Non diventa mai un no categorico o un sì totale, ma in quel modo
si riesce ad adoperare la tv nell’unico modo intelligente.
E l’alternativa di eliminare la televisione del tutto?
Una grande parte delle mie amiche ha fatto così; non ha la televisione
in casa. Se i loro bambini vogliono veramente vedere un programma
devono andare da amici o parenti. Quando facevamo i weekend in campagna,
fuori Parigi, dove non c’era la televisione, era stupendo vedere
che il problema di limitare la visione si era dissolto. I bambini
non si annoiavano mai, c’era sempre qualcosa da fare. Questo esperimento,
che chiunque può fare - stare semplicemente senza tv in casa - dimostra
che la televisione è un polo molto disturbante, anche se a me non
sembra giusto far crescere ragazzi completamente privi della realtà
televisiva. La mia regola è anche questa: sotto gli otto anni è
completamente inutile far vedere la tv a un bambino, dopo gli otto-dieci
anni devono confrontarsi con la tv, perchè fa parte della società,
in certo senso anche della realtà della scuola.
Una educazione secondo questo metodo esclude dunque la tv per
i più piccoli. Ma questo non indica una differenza sociale: ai ricchi
il privilegio di stare senza tv, ai poveri la bambinaia elettronica?
Forse quella di togliere o limitare la tv ai bambini è una scelta
elitaria, ma non è una questione di classi sociali o di soldi, perché
ci sono delle famiglie estremamente agiate che hanno un televisore
per ogni camera dei figli, e ci sono dall’altra parte famiglie disagiate
che non hanno la televisione. Quindi non è una questione di ricchezza,
ma una scelta di vita. Le persone che eliminano la televisione dalla
casa sono genitori che decidono - anche perché certo possono farlo
e si sforzano di farlo, ma soprattutto perché lo vogliono
- di dare del loro tempo ai figli, di dare attenzione. Il che è
segno, se vogliamo, di un'altra ricchezza. Si tratta della qualità
del tempo che dài ai tuoi figli. E’ una questione di responsabilità.
Come vogliamo chiamarla altrimenti?
E’ un impegno, è difficile, faticoso. Non c’è solo il lavoro,
c’è che a un certo punto i genitori sono stanchi e cedono.
Ma non devono mai dimenticare che quando cedono li lasciano diventare
oggetti passivi della televisione. Lasciare un bambino lì davanti
al televisore vuol dire renderlo oggetto. Lo sappiamo che questo
risultato non è voluto da nessun genitore. Eppure l’abbiamo fatto
tutti qualche volta. Ogni tanto accade, pazienza, ma se diventa
un sistema, alla lunga il nostro bambino, fateci caso, diventa un
oggetto anche lui.
Un genitore perfetto, abbiamo capito dunque, secondo lei non
deve mai mollare sulla televisione, se non per qualche raro e occasionale
cedimento da stanchezza. Ma è terribilmente faticoso. Che consiglio
vuole dare ai genitori?
I genitori andrebbero aiutati in questa loro fatica. La società
subisce le conseguenze di un circolo vizioso, perché i genitori
vivono nell’ansia di riuscire, di apparire, di vincere nei giochi
sociali, di guadagnare di più, di essere ovunque. Con questa ansia
addosso non hanno mai abbastanza tempo da dare ai figli. L’aiuto
principale che la società potrebbe dare ai genitori sarebbe quello
di onorarli di più in quanto tali. E’ difficile fare un mestiere
così poco onorato, riverito, rispettato. Nessuno là fuori cerca
un padre o una madre come immagine guida. La pubblicità, la comunicazione,
lo spettacolo rendono omaggio all’uomo d’affari, alla donna con
strepitose forme, e mai a una gran figura di padre o di madre, mai
alla bella figura di un patriarca, o una solida donna di famiglia.
E perché? Se i padri e le madri si identificassero in un ruolo gratificante
quello della televisione diventerebbe un problema secondario. Se
continuiamo a onorare immagini che sono antagoniste a quelle di
genitori, saremo tutti meno bravi in questo ruolo. Finirà che non
lo sapremo più fare.
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