Aspettando de Sade
Laura Pasetti con Antonia Anania
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Cos’è
l’anoressia?
L’assente provoca sempre infinite discussioni, nel bene e nel
male. Si discute di lui, di come ci si rapporta a lui, di come si
cresce in sua assenza; lo si vezzeggia o si dilania, ma lo si può
anche vedere con occhi colmi di gratitudine, perché si è avuto il
tempo di riconoscere e assorbire eventi condivisi. Questo tipo di
assenza confina con l’attesa, perché prevede o spera un ritorno o
un’apparizione.
Ma anche in questa circostanza le cose possono complicarsi. Di
questo (e altro) parliamo con Laura Pasetti che, dopo vari lavori
con Giorgio Strelher (Le Baruffe Chiozzotte, Faust) e
Luca Ronconi (l’ultimo è Il sogno di August Strindberg),
iin tournèe in questi mesi (vedi calendario a fine articolo) con Madame
de Sade di Yukio Mishima, diretta da Massimo Castri.

Nel testo del ‘69 dello scrittore giapponese, il
grande assente è il marchese Alphonse de Sade, il famoso libertino
francese, e colei che attende è Renée, la moglie, di cui non molti
sono a conoscenza e che, sempre fedele e devota al marito per anni
malgrado i nefandi tradimenti e le continue incarcerazioni di lui,
proprio alla fine decide di non volere passare la vecchiaia insieme
a quest’uomo.
Insieme a lei, altre cinque donne: la madre Signora di Montreuil, la
sorella minore Anne-Prospère, la Contessa di Saint-Fond, la
Baronessa di Simiane, e Charlotte, cameriera di casa Montreuil.
Sulla scena, le cinque donne stanno in attesa e conversano per vent’anni
(i tre atti si sviluppano tra il 1772 e il 1790) a proposito del “fantasma”,
in un giardino labirintico di alberi e piante costruito da Maurizio
Balò. Un testo e uno spettacolo dunque al femminile, dalla parte di
chi attende.
Qual è il punto di partenza di Madame De Sade? E qual è
la prima impressione che si ha di questa donna?
Tutto inizia perché Madame de Sade ha una capacità d’amore
incredibile che la spinge ad andare sempre avanti imperterrita come
un carro armato, superando tutti i suoi limiti e a tutte le sue
incongruenze, per capire l’amore che prova per il Marchese, un
libertino che viene incarcerato per fatti e misfatti di perversione
ma che con lei si è sempre comportato come marito. Madame de Sade
è una donna che ragiona per sentimento, che deve capirsi
continuamente.
Se le dicessi che l’attesa è uno stato tipicamente femminile,
e che la forza di questo testo sta proprio nell’assenza di quest’uomo,
lei che cosa mi risponderebbe?
Nel caso di Madame de Sade l’attesa è pazienza. Una battuta
bellissima dice che “La felicità è come un ricamo; con le ansie,
le noie, le solitudini e le tristezze si ricama una piccola rosa”,
cioè si fa una cosa minuscola, quasi impalpabile, apparentemente
senza grandezza. L’attesa è lo spazio di tempo che permette a
Renée di riconoscere e comprendere sé, quello che è avvenuto e ha
fatto, per poi andare avanti, prima del ritorno di de Sade. Vuole
comprendere quanto è capace d’amare. E le donne - come Massimo
Castri continuava a dirci durante le prove - sanno amare in modo
molto più profondo degli uomini, perché hanno la capacità di
contenere all’interno l’amore sia in senso fisico che emotivo e
psicologico.
Ma dopo anni di lotte e attese per ottenere la scarcerazione del
marito, al momento del suo arrivo, la Marchesa non vuole più vedere
de Sade. Marguerite Yourcenar a riguardo si è posta mille domande:
“Che cosa è avvenuto? (…) non vuol più saperne di questo
grassone sfasciato? Crede più saggio (…) ritirarsi in un convento
per pregare a distanza? Oppure, molto semplicemente, ha paura, ora
che le sbarre non la separano più da lui?”. E scrive che “Su
Madame de Sade il mistero si richiude più fitto di prima”. Lei
che sta impersonando adesso questa donna, quale giustificazione dà
alla sua decisione?
Mi piace questo dilemma, questo finale che Mishima così come
Castri hanno lasciato aperto. Quasi alla fine del terzo atto,
Mishima aveva scritto un lungo monologo esplicativo di Renée che
nel nostro adattamento è stato tagliato perché risultava
incomprensibile a livello drammaturgico.
Secondo me Madame de Sade non va spiegata con la logica e le parole,
è una donna ‘per sentimenti’, agisce con il corpo e nel momento
in cui torna il marchese non ha più bisogno di lui perché ormai lo
ha assorbito dentro di sé; ha compreso nell’essenza il grande
amore e quindi l’incredibile turbolenza di sentimenti che ha
vissuto.
In quel momento riconosce che l’uomo de Sade vecchio e grasso non
ha importanza, non serve più. E del resto de Sade, un uomo che
attraverso il sadomasochismo ha cercato di possedere le donne,
davanti a una donna come la marchesa diventa veramente piccolo, un
uomo da ridere.
Che cosa ha voluto Massimo Castri dalle sue attrici e soprattutto
da lei? E quali sono stati alcuni dei pregi di questa messinscena?
Innanzitutto il lavoro di adattamento teatrale di un testo che
drammaturgicamente non è perfetto, anzi ha delle lacune notevoli.
Poi l’altra grande bravura di Castri è stata scegliere le sei
attrici che impersonassero sei donne, che con le loro
caratteristiche differenti fossero facce della stessa donna intesa
come universo femminile e che dunque si compenetrassero l’una nell’altra.
Soprattutto da me, ha voluto che ricercassi anche nel mio interiore
la profondità necessaria per dare corpo al personaggio, che non mi
aggrappassi soltanto a delle tecniche o a un mestiere ma che facessi
un percorso di crescita insieme a Renée, perché non si può
affrontare un personaggio del genere senza guardarsi dentro e porsi
delle domande come donna e come attrice.
E dunque in che modo è cresciuta interpretando questo
personaggio?
E’ stata una grande scoperta vedere quante possibilità di
donna aveva e cercare di interpretarle tutte. Madame de Sade cambia
moltissimo dall’inizio alla fine del testo: nel primo atto è una
ragazzina che ha ancora in bocca le parole della sua educazione, la
virtù, la fedeltà, che usa anche impropriamente per giustificare e
significare il suo amore in tutti i modi.
Nel secondo atto ormai è andata in fondo, ha sperimentato il mondo
di de Sade, anche subendo tutte le fantasie del Marchese, in parte
descritte nel testo. Come è suo solito fare, ha completamente
assorbito queste esperienze. E soprattutto si è resa conto che
qualunque cosa si fa, si fa perché lo si desidera. Va fino in fondo
e accetta - cosa difficile per qualsiasi essere umano - di dire “Io
l’ho fatto perché lo volevo”.
Il suo era un amore assoluto che al di là dell’aspetto erotico io
non avevo mai vissuto; grazie a lei ho scoperto questa capacità che
porta a fare cose impensabili e improbabili tanto che la madre le
dice: “Ma dov’è il tuo orgoglio di donna?”. Quindi mi sono
immersa in un mondo femminile completo e incredibilmente vasto che
potrebbe essere riassunto nel verso: “Questa bestia intrattabile
che viene chiamata donna”, che mi ha fatto pensare molto a che cos’è
e può essere una donna - una continua scoperta.
Un percorso di crescita anche interpretativa: ascoltando la
registrazione dello spettacolo (andata in onda su Teatri Sonori,
radiotre venerdì 9 novembre c.a., n.d.r.) ho notato che nel secondo
atto il suo modo di recitare è molto cadenzato, o meglio trattenuto
in certi frammenti del colloquio con la madre. C’è un motivo?
E’ stata una scelta del regista. Nel testo di Mishima a quel punto
c’è quasi uno scontro tra madre e figlia, che Castri ha pensato
di non far scoppiare. Perché in realtà - e in effetti l’operazione
è molto interessante - Madame de Sade provoca la madre ma non la
prende di petto anche perché l’attesa non è stata ancora
elaborata, e cioè non ha avuto ancora il tempo di elaborare tutto
quello che la madre le sputa addosso di aver fatto né ha avuto
ancora modo di rivedere de Sade.
Si trova per un attimo sotto shock. Reagisce come una drogata che si
rifiuta di dialogare, continua sulle proprie azioni e ripete come un
automa: “No - non ha importanza - non mi interessa - non voglio
sapere”. Affronta la madre attraverso la provocazione, mostrandole
in faccia anche brutalmente quello che lei è diventata, e
parlandole della felicità e della vergogna, le dice che tutto
quello che ha fatto, lo ha fatto con piacere.
Nel terzo atto invece le cose cambiano e così anche la sua
recitazione.
Nel terzo atto sono risoluta e rilassata, perché ho già fatto la
mia scelta, che sarà detta con un tono minimale perché non ha
bisogno di trombe e retorica. Anche qui c’è la volontà del
regista perché laddove Mishima tende ad abbondare in parole o
immagini, Castri ha mirato a sfrondare e soprattutto nel finale ha
voluto l’essenzialità: in quel momento Renée non ha più bisogno
di fronzoli, non ha più bisogno di niente, e soprattutto non ha
più bisogno di de Sade.
La madre di Renée è interpretata da Lucilla Morlacchi. Che cosa
ha ammirato in questa grande attrice? Ha notato delle differenze tra
la scuola di recitazione di oggi e la sua esperienza? E che cosa le
ha insegnato?
Ho ammirato la modernità con cui tutte le sere recita; riesce
veramente a comunicare dalla scena in un modo che forse molte
attrici della sua età e del suo calibro non sarebbero in grado di
fare. Ho ammirato il suo talento e la bravura che superano qualunque
scuola. E ancora, di Lucilla mi è piaciuta molto la sorprendente
capacità di vedersi come attrice. Una volta mi ha detto: “Voi
giovani dovete cercare di capire qual è quello che non serve più
del nostro modo di recitare e rubare quello che invece serve ancora,
anzi farlo fruttare di più”.
Una domanda frivola, tra donne: quale dei vestiti che cambia da
un atto all’altro preferisce? E perché?
Quello del secondo atto. Intanto perché è l’atto che preferisco,
quello che ogni sera mi dà la possibilità di capire qualcosa in
più di Renée e di impossessarmi meglio del suo stato d’animo.
Quindi il vestito che indosso è quello che sento più mio. Poi per
una ragione pratica: è più corto di quello del primo atto,
ingombrante, difficile da gestire e facile da pestare per noi che
abituate a muoverci nei jeans, purtroppo abbiamo perso l’eleganza
e lo stile che poteva avere Maria Antonietta. E poi perché amo il
colore di questo vestito, il marrone bruciato dell’autunno, che
ricorda l’inquietudine e in qualche modo le turbolenze di Renée,
il colore del fango e la felicità che vi si può trovare.

Madame de Sade racconta di sensibilità
femminili. Come si pone uno spettatore uomo davanti a questo
spettacolo?
Credo che da parte di tutti gli spettatori ci sia la difficoltà
iniziale di riuscire a capire il senso del testo, che parte
immediatamente con dei discorsi complessi. Dunque sin dall’inizio
gli spettatori sono molto attenti e tesi nei confronti di questo
spettacolo che fa riflettere sia uomini che donne. Si esce da teatro
discutendo e chiedendosi chi mai fosse veramente questa donna.
Il Teatro Stabile di Torino e il Teatro Metastasio Stabile della
Toscana presentano Madame de Sade di Yukio Mishima,
traduzione di Lydia Origlia, regia di Massimo Castri, interpretato
da Lucilla Morlacchi (Signora di Montreuil, madre di Renée),
Laura Pasetti (Renée, marchesa de Sade), Elena Ghiaurov (Contessa
di Saint-Fond), Francesca Inaudi (Anne-Prospère, sorella
minore di Renée), Cinzia Spanò (Baronessa di Simiane),
Olga Rossi (Charlotte, cameriera di casa Montreuil). Scene e
costumi di Maurizio Balò, suono di Franco Visioli, luci di
Giancarlo Salvatori.
Il calendario della tournée 2001/2002:
Fino al 02.12.01, Cesena, T. Comunale Bonci, P.za Guidazzi,
1,
04.12/05.12.01, Urbino, T. Sanzio, C.so Garibaldi, 84,
07.12/09.12.01, Macerata, T.Comunale Rossi, P.za Libertà, 18,
11.12/21.12.01, Genova, T. Della Corte, Via E.F.Duca Aosta,
08.01/13.01.02, Perugia, T.Morlacchi, P.za Morlacchi, 19,
16.01/20.01.02, Prato, T.Metastasio, L.go Cairoli, 59/61,
23.01/27.01.02, Modena, T.Storchi, L.go Garibaldi, 15,
29.01/10.02.02, Milano, T.Studio, V. Rivoli, 6,
12.02/13.02.02, Alba, T.Sociale, P.za V.Veneto,
15.02/17.02.02, Novara, T.Coccia, V. Frat.Rosselli, 47,
20.02/24.02.02, Ferrara, T.Comunale, C.so Martiri Libertà, 5.
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