Memorie di un ex-portiere
Massimo Negri
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Memorie di un ex-portiere
A 43 anni può capitare di sentire risuonare nella mente le parole di
una canzone di De Gregori "e qualcosa rimane fra le pagine chiare
e le pagine scure" e di associare la "dolce Venere di
Rimmel" anzichè al cuore di una ragazza ai pali di una porta di
calcio. Nel fluire dei ricordi personali, tipici dell'età di mezzo,
qualcosa rimane fra le pagine chiare di una passione giovanile e le
pagine scure di una salute imperfetta causa maggiore di ciò che
avrebbe potuto essere (una se pur modesta carriera) ed invece non è
stato.
Oggi, guidato dalla maturità, provo a trasferire l' emozione di quei
ricordi in queste pagine nell' ingenuo tentativo di conferire alla
scrittura un compito non solo di conservazione della memoria ma, in
una certa misura, pure di risarcimento dei successi mancati
dall'ex-portiere che sento ancora vivere in me.
L' arco dei ricordi si estende dai 10-14 anni nei quali ho cominciato
a parare nel campetto dell' Oratorio di Vicomoscano (CR) ai 15-19 anni
nei quali ho frequentato diversi campi della provincia di Mantova
militando nelle giovanili del Viadana Calcio. L'intermezzo merita l'
appunto. Finite le Scuole Medie, siccome il campo parroc- chiale era
spelato e più quadrato che rettangolare, ogni tanto, in compagnia di
alcuni amici, si saliva in bicicletta per andare a Quattrocase a fare
"dei tiri in porta", in un altro Oratorio dotato di un campo
erboso e la cui larghezza permetteva di fare "dei bei
cross". Orgogliosi, riservavamo a quelle occasioni l' uso del
pallone di cuoio che io cercavo in ogni modo di bloccare o di
respingere perchè non finisse alle mie spalle, in quella rete che era
poi la siepe che separava dal fosso e da cui si udiva il gracidare
delle rane.

Un giorno, a fare dei tiri in porta, si unisce a noi
il Signor Pellizzola, per hobby terzino titolare del Viadana, serie
Promozione. "Mi sembra che pari bene, quel ragazzo", confida
al bar del paese. A 4 anni di distanza da quel giudizio quando il
Viadana vinse, per la prima ed unica volta, il campionato ('77/'78)
per la serie D, qualche volta, in panchina, sedevo io, a disposizione,
giusto una gran soddisfazione unita alla opportunità di ammirare da
vicino un modello locale di numero 1 tra i pali, tal Guido Bellelli.
A compensare le cose, io quella maglia la indossavo al mattino della
Domenica, in un altro genere di campionato, minore ma non per questo
meno gratificante. Non grandi eventi, s' intende. Ma, come dire, certe
sensazioni sono "dentro", soprattutto quando accompagnate da
certe rabbie riguardanti il proprio cuore che inibiva un po' lo
sviluppo di quella che, con un po' di enfasi, chiamo "l' arte di
stare tra i pali". Sapendo che non potevo giocare, finivo col
giocare lo stesso pur se "a risparmio con me stesso".
Questione di controlli medici, all'epoca alquanto scadenti. Ci sta
pure un piccolo baro. Non è da me, ma se un tal pomeriggio del '73
fossi salito sul pulmino per andare a fare il controllo medico della
squadra allievi forse adesso non starei scrivendo dei miei ricordi.
Ma, mancato rigore di quegli anni, le visite erano quel che erano con
l' aggravante che chi non le faceva anzichè esservi riportato quelle
visite finiva col non farle.
Magari solo per la complicità di quel buon uomo che fu il mio primo
allenatore. In fondo, un po' l' avevo informato del mio soffio al
cuore. Lui, consapevole della mia passione, contribuiva ad un suo
moderato esercizio, risparmiandomi un po' le corse con gli altri per
"fare fiato" tenendo, piuttosto, a quegli "allenamenti
per i portieri" che a me piacevano tanto. Diceva, il Signor
Orlandelli, che avevo una "buona presa" e che davo
"sicurezza alla difesa". Apprezzamenti di cui sono ancora
fiero.

Non bastassero i difetti del cardiogramma a
complicare gli eventi di questo sofferto ma esaltante primo
campionato, sopraggiunge da Cizzolo tal Bontempi che ha, dalla sua, un
anno di età in più, un pizzico di spavalderia e l' amicizia col
capitano. L'allenatore non sapendo decidersi su chi tra noi fosse il
migliore, per non scontentare nessuno dei due, scioglie il rebus
salomonicamente : una domenica a me, un' altra al rivale. La regola
dell' alternanza non pregiudica il mio rendimento. Ricordo il
tabellino : 9 partite giocate, 3 reti subite. Mica male !
La finisco dicendo che quell' anno ci piazziamo secondi, dietro al
Suzzara. Pertanto, entrambe le squadre maturano il diritto alla finale
da disputarsi, grande onore, allo Stadio Martelli di Mantova. La
parentesi esige l' annotazione dei pareggi nelle sfide coi cugini
suzzaresi. All' andata 1 a 1 a Viadana (gioco io). Al ritorno 1 a 1 a
Suzzara (gioca Bontempi). Che risultato si sarà avuto al Martelli
nella finale del campionato allievi ? Neanche a dirlo un altro 1 a 1,
almeno a stare ai soli tempi regolari. Ma, e qui sta l' interessante,
cosa decide il buon Orlandelli riguardo al dilemma tra Negri e
Bontempi ?
Per la solita coincidenza delle cose e dei numeri la domenica prima
era stato titolare Bontempi e dunque oggi parte Negri pur chiarendo
subito che per il prolungarsi del "criterio della domenica
ciascuno" il secondo tempo lo gioca Bontempi. Ma può non essere
finita qui ed, infatti, qui non finisce. Vado in campo molto caricato.
Sento la responsabilità ma, come sui banchi di scuola, nei momenti
topici so mantenere un certo grado di freddezza. Rimane che gioco per
la prima (ed unica) volta in uno stadio vero, un sogno che vale un
volo nel senso del settimo cielo ma pure di certi voli cui a volte
ricorrevo. Ho in testa ancora una fotografia che mi fece mio cugino
Giuseppe a Romeno (TN).
La porta non è una porta ma fa abbondantemente il suo dovere. La
traversa è un filo dove stendere la biancheria ed i pali sono di
ferro da una parte, di legno dall' altra. La foto vede il portiere
orizzontale a una certa altezza per prendere la palla lanciatagli da
Luciano, l' altro cugino con cui trascorrevo le vacanze estive coi
nonni in montagna. Ho tutto nel cuore ma è come se, quella
fotografia, la stessi guardando davvero. Curiosità : indosso un paio
di jeans, il mio capo preferito.
Più che azzardare un americano che sento poco, mi piacciono per
quello che sono: un capo semplice, essenziale che poi sa fare la sua
bella figura se ben accompagnato. E pur non volendo arrivare all'
ex-portiere che va a specchiarsi in un paio di jeans per via di un
volo in montagna a cercare di afferrare un pallone, vi aggiungo che i
jeans li metto sempre volentieri anche adesso perchè alle ragioni
dette sopra si aggiunge il fatto che sanno andare in lavatrice e non
in lavanderia. Doppia convenienza: relativamente economici all'
acquisto e poi all' uso. Tale valutazione - per restare al genere di
letture dei tre cugini in montagna - ha forse un suo capostipite : zio
Paperone.
Salta fuori anche lui con le sue pepite d' oro. Mica stupido quel
vecchio taccagno. Mi è sempre stato simpatico. Anche lui faceva dei
tuffi, nei suoi dobloni. Col senno di poi, ci vedo l' onesto
attaccamento ad una cosa tangibile, concreta. Era lui che, in fondo,
prendeva in giro e con qualche proposito quel farfallone di Paperino
che pensava solo a deridere lo zio e a giocare con Qui Quo e Qua.
Troppo facile, caro Paperino. Anche tu mi eri simpatico ma zio
Paperone stava oltre. Non a caso finivi spesso nel suo sacco. Chiudo
la digressione ricordando un quadretto che comprai nel '79 in un
mercatino sotto i portici di Bologna. Esso vede un dondolo in
sostanziale equilibrio. Da una parte c' é seduto zio Paperone mentre
dall' altra parte c' é un sacco dei suoi amati dobloni.
Qualcuno può vietarmi di vedere in quel sacco un cumulo di cultura,
di idee? Torniamo allo stadio Martelli. Già detto che inizio io la
partita. Segue che disputo un ottimo primo tempo. Una difficile
deviazione sul palo di destra, qualche buona uscita e la consueta
sicurezza al reparto. Cosa va a pensare l' Orlandelli? Va a cambiare
la regola. Mi premia. Forse nel suo cuore sono il prediletto e vuol
darmi soddisfazione o forse, più probabilmente, vede il mio stato di
forma e non vuole sostituirmi.
L'accidente vuole che si metta a piovere e che io infili un paio di
guanti di lana, all' epoca gli unici disponibili. Verso la metà del
secondo tempo parte un cross dalla mia sinistra che indirizza il
pallone a filo della traversa. Io allungo le mani ma anzichè deviare
come dovevo in angolo cerco la mia maledetta "presa",
neanche credessi di essere Zoff. Quella palla cui tento la presa,
complice il bagnato, scivola sulla traversa e ricade nell' area
piccola giusto l' arrivo di un avversario per il comodo tocco in rete.
Guaio è che eravamo pure in vantaggio e che dunque causa mia siamo
stati raggiunti. Deluso, l' Orlandelli mi spedisce anzitempo negli
spogliatoi. La partita termina 1 a 1 pure dopo i tempi supplementari.
Si va ai rigori. Orlandelli qui vorrebbe quello che il regolamento non
consente. La serie delle prove infrasettimanali dice, infatti, che il
più bravo ai rigori sarei io che però sono ormai fuori gioco. Il
Mister doveva pensarci prima : o non mi metteva in campo per il
secondo tempo o non doveva togliermi per via della "papera".
La statistica, in questo caso, non mente. In porta c' è Bontempi che
non ne piglia una. A Mantova, la finale allievi del '74 la vinse il
Suzzara per 6 a 5. Chapeau! Qualche anno dopo, ad una visita sportiva
finalmente seria, mi fu diagnosticata una insufficienza aortica di
grado medio-lieve.
Il medesimo referto che mi costringeva ad abbandonare con dolore il
calcio mi dispensava con sollievo dal servizio militare. Ora le uniche
attività fisiche sono le passeggiate ed i giri in bicicletta con la
famiglia. Confesso però che quando incontro un campo sportivo l'
occhio corre subito ai pali della porta. Avverto un brivido lungo la
schiena mentre col pensiero provo ancora qualche parata.
(Massimo Negri - Casalmaggiore (CR), agosto 2001)
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