La mia tribù
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A ventiquattro anni è padre di due bambini, Alice e
Tommaso, ed è marito di Alexandra, figlia del celebre scrittore
Raffaele La Capria. E’ figlio di Simona Izzo e di Antonello Venditti.
Dopo la separazione dei suoi genitori ha vissuto con la madre. Fa l’attore
e lavora col nonno materno nel doppiaggio.
Chi dunque meglio di Francesco Venditti avrebbe potuto farci il
ritratto di una famiglia italiana allargata? La sua, ovviamente che,
tiene a precisare, “è una maxi-famiglia allargata perché ai pranzi
di Natale mi ritrovo accanto a persone che non hanno il mio stesso
sangue, che non sono nate nella mia stessa casa, né cresciute nel mio
stesso ambiente, ma che sono comunque legate a me da rapporti intensi”.
Quando era bambino come ha vissuto la sua vita familiare?
Dopo la separazione dei miei, ho visto girare per casa diversi
"zii" perché tra fidanzamenti e matrimoni non andati in
porto, mi trovavo anche a distanza di due e tre anni con persone nuove
in casa, fino a quando mia madre non ha trovato Ricky (Tognazzi, nda).
Anche mio padre ha avuto relazioni con diverse donne.

Capivo che non tutte quelle storie avrebbero avuto
un lieto fine perché non sempre le cose possono andare bene, perché
con una persona ci si può trovare meglio che con un’altra, però mi
dispiaceva allontanarmi dai compagni di mia madre ai quali mi ero
affezionato di più.
Ho cercato di non rimpiangere persone che non ho potuto più vedere o
che magari ho frequentato al di fuori della famiglia. Era una
situazione normale per un ragazzino come me, figlio di genitori
divorziati. Una situazione che si è andata ad appianare, tanto che
ora siamo una grande famiglia che conta gli stessi componenti da circa
dieci, quindici anni. E questo tipo di esperienza può anche essere
piacevole, per esempio quando trascorriamo insieme le vacanze, o
organizziamo mega pranzi di Natale in cui siamo circa quaranta tra
grandi e bambini.
Che cosa può essere spiacevole invece?
Che più gente c’è, più incomprensioni e dicerie nascono. E
poi non si è mai soli, o allo stesso tempo ci si può sentire soli
anche in mezzo a tantissima gente perché si vuole un’ora di pace e
non si riesce a trovarla. Inoltre è quasi inevitabile non avere una
vita privata reale perché sempre filtrata da un minimo di cinque
persone che se da un lato sono quelle sulle quali potrò sempre
contare e che mi aiuteranno sempre, dall’altro si intromettono in
situazioni e vicende che invece vorrei risolvere da solo, come padre
di famiglia.
Con i compagni di sua madre si è sentito più figlio o figliastro?
Mi sono sentito sempre figlio. In maggior modo con Ricky perché
io ero più grande e mi trovavo bene con lui, non solo perché avevamo
argomenti dei quali parlare, visto che volevo fare il suo stesso tipo
di lavoro, ma anche perché è una persona intelligente, aperta, che
mi ha aiutato spesso.
In famiglia avete un vostro lessico o parole in codice?
No, e meno male perché ci mancherebbero le parole in codice e
potremmo creare una setta, tanto siamo coalizzati! A volte penso che
mi piacerebbe regalare a tutti un anello con l’iniziale della
famiglia, poi ci ripenso perché non è facile trovare un’iniziale
che metta d’accordo i cognomi di tutti, Venditti, Izzo, Tognazzi e
via dicendo. Sarebbe bello e divertente però che a ogni riunione
ognuno di noi indossasse quest’anello che sta a significare che
facciamo parte di questa grande famiglia.
Allo stesso tempo la cosa più pericolosa di una famiglia allargata è
che non è facile uscirne, con la conseguenza che al di fuori ci si
può trovare in difficoltà, perché una famiglia grande e quindi “forte”
ha sempre agevolato i propri figli
E i suoi bambini come vivono questa grande famiglia?
Capita che mia figlia voglia stare con le cugine piuttosto che con
le sue compagne di scuola e il mio compito è quello di farle capire
che non esistono solo i familiari, ma anche le amichette, perché
altrimenti quando sarà più grande, non sarà capace di sviluppare
rapporti di amicizia al di fuori delle mura domestiche.
Da piccolo qual era il suo eroe in famiglia? E che rapporto aveva
con lui?
I miei eroi erano nonno Renato il papà di mia madre e nonno
Vincenzo, il papà di mio padre, ma in modi diversi: nonno Vincenzo
era l’eroe vero e carismatico, che era stato sei anni in prigionia
durante la seconda guerra mondiale e mi mostrava la medaglia d’argento
che aveva meritato in guerra.
Con mio nonno materno ho ancora un rapporto intenso anche perché
lavoriamo insieme e ci consigliamo. Mi piace soprattutto quando sono
io a consigliare lui, portandolo, diciamo così, verso cose “moderne”.
Il fatto di lavorare insieme mi aiuta a stargli sempre vicino ma può
avere anche il suo lato negativo: non si finisce mai di parlare di
lavoro, non solo con lui ma con tutti i parenti che fanno questo
mestiere.
Con mio nonno paterno c’era un rapporto strano; oserei definirlo
telepatico, simile a quello che ho con mio padre: non erano necessarie
le parole, bastava uno sguardo e mio nonno riusciva a capire tutto
quello che volevo dirgli e viceversa.

Le ricerche sociologiche hanno notato che dopo una
separazione o un divorzio, se si rimane con la madre, il figlio rimane
legato più ai nonni materni che a quelli paterni. E’ stato così
anche per lei?
Sì, è vero, verissimo. Io ho vissuto parecchio con i miei nonni
materni, quando mia madre era fuori per lavoro. Ancora oggi quando c’è
una ricorrenza, tutti i pranzi si fanno da loro. E ogni occasione è
buona per andare a trovarli.
Da ragazzo invece quanto è stato forte il conflitto generazionale?
Tanto, e tuttora lo sento. Credo che non finirà mai perché a
generazioni diverse corrispondono visioni diverse. E lo noto anche al
di fuori della mia famiglia, con i ragazzi che sono di una generazione
dopo o prima della mia, con gli amici.
A volte anch’io a ventiquattro anni mi sento “indietro” rispetto
al diciottenne, so che sei anni in più sono solo una mezza
generazione, ma noto comunque tante differenze con i miei diciottanni.
A quell’età io pensavo solo alla squadra della Roma (anche adesso
in verità) e in piazza andavo solo per divertirmi con gli amici, non
per manifestare come fanno i diciottenni di adesso, che cercano un’ideologia
che il ventiquattrenne perlomeno come me non ha. Così quando succede
di confrontarmi con loro, devo ammettere che provo un certo complesso
di inferiorità.
Ritornando invece ai conflitti familiari, com’erano quelli con
sua madre, Simona Izzo?
Terribili. Ci capita sempre di litigare, anche ieri. Adesso è una
nonna affettuosamente impicciona e si litiga sull’educazione che
bisogna dare ai miei figli; prima si litigava perché io volevo andare
alle trasferte della Roma, perché non andassi sul motorino degli
amici o senza casco, per il motorino che avevo comprato di nascosto: c’è
una lista interminabile di litigi e di conflitti.
Lei è sempre stata brava con me, però quello che le rimprovero e
rimproveravo spesso è che non mi faceva mai dare la capocciata, mi
teneva sempre all’erta, come dire: “Se vai avanti c’è il muro e
ti fai male”. Certe volte invece io volevo batter la testa perché
capivo che altrimenti quando sarei uscito di casa sarebbe stato un
macello: avrei visto che nella vita c’erano tanti muri che mia madre
non mi aveva facetto incontrare per agevolarmi, e di fronte ai quali
avrei potuto fare delle scelte sbagliate.
Sua madre ha scritto e diretto film "familiari" come Maniaci
sentimentali: vede delle somiglianze con la sua famiglia?
Sì, anche perché penso che lei abbia scritto e girato quel film
proprio perché influenzata dalla sua esperienza personale. Credo
comunque che sia difficile poi trasportare completamente nel cinema
quello che avviene nella vita reale, si può parlare di
verosimiglianza, ci possono essere degli elementi nei quali ogni
spettatore si può identificare: aneddoti, stati d’animo, frasi.
Ricorda qualche battuta del film che secondo lei può essere stata
pronunciata all'interno di qualsiasi coppia italiana?
Più che una battuta, è una situazione che accade in tutte le
famiglie: quando uno dei due va a letto e l’altro si gira da una
parte, offrendo la schiena. Comunque tengo a precisare che secondo me
il bello del cinema è che ogni sceneggiatore e regista e attore possa
raccontare in un film la storia di un astronauta pur non essendo mai
salito su un’astronave, non limitandosi all’ambiente da cui
proviene o il proprio iter psicologico familiare. Se così non fosse,
il cinema sarebbe limitativo e limitato.
Secondo lei, a padri borghesi corrispondono ancora figli
rivoluzionari e viceversa?
Sì, perché è sempre troppo “energizzante” andare contro, e
pensare che se, per esempio, mio padre è nero, io vado fuori a fare
il rosso. Il piacere di fare quello che è proibito ci accompagna sin
da piccoli, quando andiamo dove ci dicono di non entrare perché c’è
il babau. A volte conoscendo questo meccanismo può capitare che un
genitore ci dica di non leggere un certo libro, proprio perché in
realtà vuole farcelo leggere.
Data la sua esperienza di bambino, che cosa racconta ai suoi figli?
Partendo dal presupposto che io conosco loro e loro non conoscono me,
sento la necessità di raccontare ai miei figli quello che io facevo
da piccolo e soprattutto che vorrei rifacessero. Per loro sono una
specie di modello e spesso se dico che da piccolo facevo qualcosa che
a loro non piace, poco dopo si apprestano a farla.
E i suoi bambini chi chiamano nonno?
Tutti, anche quelli che non lo sono per legame di sangue ma lo
sono diventati. Sanno benissimo che mio padre è Antonello e non Ricky
ma io spiego loro che il "nonnigno" vuole loro tantissimo
bene. Allo stesso modo chiamano zii i non zii, e cugini i non cugini.
Forse faccio male a non spiegare tutte le differenze tra l’uno e l’altro
ma sento che loro le capiscono, e spesso hanno intuizioni che mi fanno
rimanere a bocca aperta.
Ha mai rimpianto di non avere avuto una famiglia cosiddetta
regolare?
No. Credo però che una famiglia regolare mi avrebbe dato una
visione univoca della vita o un’ideologia più costruita. La
famiglia allargata al massimo è talmente grande che può dare così
tante idee, tanti credi e consigli che a volte il risultato è un po'
di confusione.
Quali sono i suoi progetti per il futuro come padre?
Credo che insieme a mia moglie crescerò Alice e Tommaso e per il
momento non farò altri figli: due bastano, soprattutto in una
famiglia affollata come la nostra.
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