Reset/Ma quanti genitori ho?
Agnès Fine
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Questo articolo è apparso sul numero
66 di Reset
I cambiamenti relativi alla famiglia sopraggiunti negli ultimi trenta
anni nelle società occidentali sono in gran parte collegati all’evoluzione
dello status delle donne e al nuovo ruolo della volontà individuale
nella creazione della genitorialità. Il ruolo delle donne nella
decisione relativa al divorzio è ben noto, esso è parimenti
determinante nella costituzione della discendenza. Oggi è possibile
scegliere il numero dei propri figli e il momento della loro nascita;
è possibile diventare genitore con un nuovo congiunto, senza
congiunto, diventare genitore pur essendo sterile o omosessuale. Dato
che - forse ancora più che nel passato - la maternità è costitutiva
dell’identità femminile1, stiamo registrando un accresciuto ricorso
alla procreazione assistita oppure all’adozione in caso di
sterilità, processo nel quale, ancora una volta, la volontà delle
donne è predominante. Va sottolineato che queste due modalità che
consentono di diventare genitori sono caratterizzate dalla messa in
gioco di altri genitori. È quanto accade, seppure in altro modo,
nelle famiglie di nuova composizione dopo un divorzio, dove il bambino
ha spesso a disposizione un padre e un patrigno, una madre o una
matrigna. Alcuni genitori sociali vengono quindi ad aggiungersi ai
genitori di sangue, tanto che si può ormai parlare di
plurigenitorialità. L’approccio antropologico consente di
comprendere come queste plurigenitorialità entrino in contraddizione
con i fondamenti del nostro sistema di filiazione; è conseguentemente
possibile capire le particolari difficoltà che le nostre società
registrano nel momento in cui tentano di integrare mutamenti di questa
importanza. Ricordiamo prima di tutto i principi che governano il
sistema di filiazione occidentale, per analizzare poi le risposte che
le nostre società forniscono agli interrogativi sulle questioni
attinenti alle varie forme di plurigenitorialità.

Il sistema di filiazione europeo,
un “modello genealogico”
A noi sembra che la filiazione attraverso cui viene definita l’appartenenza
ad un gruppo di genitori e i diritti che ne conseguono (successione,
eredità) abbia un fondamento biologico: è ovvio che siamo
imparentati nello stesso modo con nostro padre, nostra madre, i nostri
quattro nonni paterni e materni. Ebbene, questa rappresentazione della
filiazione, che coincide con le leggi della genetica, è in realtà
una scelta culturale: altre società raccordano i figli ad un unico
sesso genitoriale (filiazione unilineare), il padre o la madre
(filiazione matrilineare e patrilineare). I legami di consanguineità,
come sembrerebbe indicare l’etimologia del termine, sono invece dei
legami riconosciuti socialmente. Certo, alcune nostre istituzioni
riconoscono questo dato, ad esempio l’adozione plenaria che fa dell’adottato
il figlio dei propri genitori adottivi e gli vieta di sposare sua
sorella. Tuttavia, il nostro sistema di filiazione ci porta ad
equiparare il concetto di procreazione con quello di filiazione.
Parliamo cioè di “vera” madre riferendoci alla donna che ha messo
al mondo il bambino adottato e ricorriamo alla tecnica delle impronte
genetiche per identificare il “vero” padre di un bambino. Ci
stupisce quindi l’esistenza di società che distinguono
completamente queste due nozioni. Il nostro sistema di filiazione è
caratterizzato sia dalla bilateralità (la filiazione viene trasmessa
dalle due branche, paterna e materna) che dall’ideologia del sangue,
essendo quest’ultimo considerato il vettore di trasmissione dei
caratteri specifici, fisici e morali, di un unico lignaggio. In
effetti, l’adozione è scomparsa dal diritto di famiglia occidentale
dall’alto Medioevo fino all’inizio del 19° secolo, ed entra
veramente nei costumi solo intorno agli anni ’20.
Fino alla fine del primo quarto del 20° secolo, le nostre società
hanno quindi poca esperienza della condivisione delle funzioni
genitoriali nei confronti dello stesso bambino da parte di diversi
genitori2. Le cose sono molto cambiate negli ultimi decenni dato che,
come lo abbiamo sottolineato, i legami elettivi nella genitorialità
occupano un posto sempre più importante e valorizzato - come avviene
specificamente nel caso dell’adozione. Ciò ha provocato importanti
cambiamenti nelle rappresentazioni del nostro sistema di filiazione,
inserito oggi in una “vera e propria tensione tra due poli, da una
parte quello del sangue, dall’altra quello dei legami puramente
sociali”. Esso è fondato su quello che l’antropologa originaria
del Quebec, F.R. Ouellette3, chiama un “modello genealogico”, vale
a dire un modello in base al quale ogni individuo prende origine da
due altri individui di una generazione ascendente e di sesso diverso,
che all’inizio lo avrebbero procreato congiuntamente, suo padre e
sua madre.
Questo modello non veicola solo l’idea che la filiazione è un fatto
di natura. Esso fa riferimento soprattutto ad una norma, quella dell’esclusività
della filiazione, vale a dire che ogni individuo è messo in posizione
di figlio o di figlia solo in rapporto ad un unico uomo e ad un’unica
donna. Si spiegano così le contraddizioni in cui si dibattono le
nostre società nel caso in cui coesistano diversi genitori per uno
stesso bambino. Che fare dei genitori “in eccedenza”?
Una prima risposta è stata l’esclusione giuridica dei genitori
naturali e/o il segreto sulla loro identità. Nelle nostre società,
dove i bambini hanno solo un padre e una madre, in caso di sterilità
la tendenza è di eliminare i genitori naturali per dare una maggiore
solidità alla genitorialità sociale. Da questo punto di vista si
comprende meglio la logica che sottende l’elaborazione delle regole
di funzionamento dei centri di studio e di conservazione dello sperma
(Cecos) che, dal 1973, in Francia, praticano l’inseminazione
eterologa in caso di comprovata sterilità del padre e l’impianto di
embrioni provenienti da ovociti donati da altra donna, in caso di
sterilità femminile. Affinché la finzione funzioni perfettamente, l’operazione
avviene in segreto e l’anonimato del donatore viene garantito con
assoluta certezza. Questa regola di funzionamento dei Cecos è stata
ritenuta necessaria in primo luogo dal punto di vista pratico, in
quanto l’assenza di anonimato rischiava di scoraggiare gli eventuali
donatori. E la legge del 29 luglio 1994 sulla bioetica erige l’anonimato
del donatore al rango dei grandi principi qualificati di ordine
pubblico. Il donatore non ha esistenza giuridica, egli non è una
persona, ma solo un produttore di sostanze, gameti o ovociti. Questo
segreto legale favorisce il segreto familiare sulle circostanze della
nascita, a cui i Cecos contribuiscono nella loro pratica. Quindi l’équipe
medica interviene solo su richiesta di coppie (sposate o conviventi)
e, nel caso in cui si proceda all’inseminazione di una donna,
vengono forniti i gameti di un donatore le cui caratteristiche fisiche
sono per quanto possibile simili a quelli del padre, affinché la
nascita sembri “naturale”.
L’incubo della concorrenza
e il trionfo della sostituzione
Le pratiche relative all’adozione di minori nelle società
occidentali mettono in luce la stessa rappresentazione esclusiva della
filiazione4. Apparsa nella maggior parte dei paesi occidentali negli
anni ‘20, dopo la grande guerra, l’adozione è stata presentata
come un’opportunità per dare una famiglia agli orfani di guerra e
una discendenza a coppie sterili. Dal momento in cui veniva
perfezionata l’adozione, il bambino poteva essere allevato e
accudito dai suoi genitori adottivi come fossero i suoi genitori di
sangue. Per molto tempo l’adozione è stata praticata in segreto, e
gli stessi bambini ignoravano di essere stati adottati. Il segreto
sull’adozione è comparso prima di tutto negli Stati Uniti, e ciò
non stupisce, dato che quel paese è stato all’avanguardia sia nel
predisporre la legislazione relativa all’adozione dei minori, sia
nell’organizzare concretamente i servizi sociali necessari. Gli
altri paesi europei hanno registrato, in successione, un processo
analogo. Esso non si sarebbe radicato con tale forza al di qua e al di
là dell’Atlantico se non avesse risposto dovunque ad una profonda
aspettativa degli interessati. In questo modo è stato possibile
nascondere la stessa adozione, a lungo considerata una filiazione di
seconda scelta, oltre che la sterilità femminile, particolarmente mal
vissuta, soprattutto nel momento del baby-boom, periodo in cui si
sviluppò una mistica della maternità e in cui crebbero in modo
esponenziale le richieste di adozione di neonati. Il segreto
presentava inoltre il vantaggio di nascondere l’illegittimità del
bambino ma, soprattutto, consentiva ai genitori adottivi di rimanere
sicuramente al riparo da qualsiasi concorrenza, e favoriva quindi la
tendenza a costruire un rapporto duraturo con i loro figli.
La legislazione francese ha protetto a lungo le prerogative dei
genitori naturali fino a quando, nel 1966, è stata votata una nuova
modalità giuridica, la cosiddetta adozione plenaria, che interrompe
completamente i legami del bambino con la sua famiglia d’origine. Il
bambino perde il suo nome d’origine, entra in un altro lignaggio, e
può perdere anche il suo nome di battesimo. Nell’adozione plenaria,
lo stato civile del bambino viene modificato e l’estratto del suo
atto di nascita afferma che egli è “nato” dai suoi genitori
adottivi, favorendo in questo modo la finzione della nascita naturale.
Si presume quindi che il bambino adottato non conosca l’identità
dei suoi genitori biologici. L’adozione semplice, che consente di
mantenere la filiazione d’origine, continua ad esistere in Francia,
ma è utilizzata molto poco, mentre nella maggior parte dei paesi
occidentali questa forma di adozione cumulativa non esiste. D’altro
canto, in Francia vige un istituto normativo originale che organizza
legalmente il segreto sull’identità dei genitori: il parto sotto
anonimato5, l’espressione più compiuta del modello che si rifà all’esclusività,
dato che la filiazione del bambino non viene accertata. Il diritto
francese non impone un collegamento automatico tra il bambino e i suoi
genitori, quindi il bambino viene adottato nel minor tempo possibile e
ha una sola famiglia, la sua famiglia adottiva. In sintesi, per molto
tempo nelle società occidentali l’ideale ricercato nell’adozione
è stata l’assenza di un qualsiasi contatto tra genitori di sangue e
genitori adottivi, o addirittura l’ignoranza della reciproca
identità.

Al contrario, le famiglie di nuova composizione dopo un divorzio
sembrano mettere in difficoltà il nostro modello di esclusività,
dato che, in questo caso, la plurigenitorialità svolge un ruolo assai
importante. Dopo la separazione della coppia, la configurazione
familiare più frequente è quella in cui il bambino viene dato in
custodia alla madre e al suo nuovo marito o compagno. Nella
quotidianità il bambino vive quindi con sua madre e il suo patrigno,
eventualmente con fratelli e sorelle nati dalla seconda unione, mentre
in alcuni periodi limitati, durante i week-end e le vacanze, va a
vivere nella casa paterna, dove eventualmente si trova a frequentare
una matrigna. Il patrigno affidatario assume a volte una funzione
putativa ed educativa di tipo paterno nei confronti del bambino al cui
accudimento partecipa, in via di principio, con il padre e la madre.
Le indagini sociologiche ed etnologiche hanno analizzato come la
condivisione dei compiti educativi, sempre problematica, sia assunta
dagli adulti in un clima di concorrenza e di rivalità più o meno
accesa, con una prevalenza di questo aspetto tra le donne (la madre e
la matrigna). Eppure, gli status di padre e patrigno, di madre e
matrigna sono in via di principio chiaramente distinti, almeno in
diritto, il quale si esprime ancora una volta nel senso dell’esclusività:
solo i genitori di sangue sono i genitori agli occhi della legge, e il
patrigno è colpito da inesistenza giuridica. Numerosi autori hanno
segnalato le difficoltà di questa lacuna, nella misura in cui il
patrigno, pur svolgendo un ruolo educativo e di accudimento, non
detiene né autorità genitoriale né alcuna possibilità di
trasmettere un giorno i propri beni a quel bambino, considerandolo un
estraneo qualsiasi.
Se le cose sembrano chiare da un punto di vista giuridico, esse sono
ben lungi dall’esserlo altrettanto dal punto di vista pratico. Le
inchieste rivelano in effetti che, in una prima fase, essendo le
famiglie di nuova costituzione percepite in modo negativo, i servizi
sociali e gli attori della ricomposizione hanno favorito l’instaurarsi
di un modello sostitutivo, nel quale il patrigno è stato invitato a
prendere il posto del padre assente. Questo modello, ancora molto
diffuso nelle famiglie socialmente svantaggiate, trova la sua
espressione ultima nell’adozione del figlio da parte del nuovo
congiunto, suggellando in questo modo, anche sul piano giuridico, l’esclusione
del padre. Questo tipo di adozione costituisce la grande maggioranza
delle adozioni intrafamiliari in Francia, in Canada e negli Stati
Uniti. In Francia è stato posto un limite alla possibilità di
utilizzare l’adozione plenaria ma in altri paesi, essendo a volte l’unica
forma giuridica di adozione, essa produce un allontanamento definitivo
del bambino dalla sua famiglia paterna, compresi i nonni, i fratelli e
le sorelle, i cugini e le cugine. In questa scelta della madre e del
patrigno si evidenzia la volontà di ricostituire una nuova entità
familiare conforme alla norma dell’esclusività, e di fare in modo
che tutti i bambini che sono stati allevati insieme siano fratelli e
sorelle uguali tra di loro. Questa decisione di fatto elimina la
multigenitorialità e fa coincidere la filiazione legale con la
realtà di ciò che, ai nostri occhi, è costitutivo dei rapporti tra
genitori e figli.
Queste soluzioni individuate per rispondere alle situazioni di
plurigenitorialità, sempre considerate instabili e minacciose,
esprimono una grande coerenza: vanno tutte nel senso della
sostituzione, per uniformarsi al modello dell’esclusività.
Chi è genitore?
Queste genitorialità condivise pongono in effetti addirittura il
problema della definizione della categoria di genitore. Chi è
genitore? Colui che fornisce i propri geni o colui che dà la vita?
Colui che si prende cura del bambino e lo alleva? Colui che gli dà il
proprio nome e gli trasmette i propri beni? Sono queste altrettante
componenti della genitorialità che in altre società ritroviamo
dissociate ma che, fino a poco fa, nelle nostre società si
sovrapponevano. Questo aspetto è apparso evidente agli etnologi delle
società extraeuropee che lavorano sulla circolazione dei bambini tra
le famiglie, particolarmente presente in alcune società africane o
oceaniche6. Mentre, nelle nostre società, il bambino “appartiene”
ai suoi genitori, in quei luoghi i doni di bambini rispondono
generalmente ad una sorta di diritto della parentela ascendente o
collaterale (consanguinea e imparentata) sul bambino. Donare un figlio
conferisce inoltre al donatore un prestigio sociale inconcepibile
nelle nostre società. Tali doni vengono per la gran parte destinati a
tutori, a loro volta in grado di donare i loro bambini ad altri. La
nozione di proprietà del bambino e i diritti che essa conferisce ai
genitori nei confronti della eventuale “captazione” della loro
progenie da parte di altri è stata oggetto di numerose analisi che si
soffermano la forza dei diritti esercitati su un bambino da persone
che non siano i suoi genitori: i suoi potenziali “nuovi soci”. Si
registra quindi una frammentazione del ruolo genitoriale, così come
viene interpretato nelle società occidentali. L’antropologa inglese
Esther Goody7, dal canto suo, scompone la genitorialità (parenthood)
in cinque elementi distinti: concepire e mettere al mondo, dare un’identità
alla nascita (elemento giuridico) nutrire, allevare e garantire l’accesso
del bambino allo status di adulto (accesso ai beni, a un mestiere, al
matrimonio). La seconda funzione genitoriale, la trasmissione della
filiazione, non è oggetto di condivisione nelle società studiate
dall’antropologa, mentre gli altri attributi della funzione
genitoriale possono essere dispersi in diversi luoghi e tra diversi
individui. La studiosa dimostra anche come sia possibile assistere ad
una reciproca frammentazione dei doveri del bambino nei confronti di
coloro che lo hanno allevato.
Con le nuove plurigenitorialità delle società occidentali, ci
veniamo a trovare in un mondo molto diverso, ma l’analisi di E.
Goody ci stimola a precisare la natura delle funzioni genitoriali
condivise. La condivisione della residenza, della funzione di
accudimento tra padre e patrigno, madre e matrigna, nelle famiglie di
nuova composizione dopo un divorzio sono state recentemente analizzate
in questa prospettiva8. Non ci stupiremo quindi di vedere che le
problematiche più complesse riguardano la condivisione del processo
di concepimento e di messa al mondo, tenuto conto di quanto abbiamo
detto in merito al nostro sistema di filiazione. Che cosa è un padre,
che cosa è una madre nelle procreazioni assistite e nell’adozione?
Abbiamo esaminato nello specifico le risposte fornite dal diritto.
Nelle nostre società, in effetti, è l’istanza giuridica che
definisce la filiazione. Le definizioni giuridiche della paternità e
della maternità non si fondano unicamente sulla realtà genetica, ma
anche sulla finzione e la realtà delle situazioni sociali. Il
matrimonio trasforma ad esempio il marito nel padre dei bambini che
sua moglie mette al mondo, anche se essi non sono effettivamente
concepiti da lui. La dichiarazione volontaria, nel caso del
riconoscimento di paternità naturale, ha gli stessi effetti. Il
diritto protegge in particolare le filiazioni volontarie che sono la
paternità e la maternità adottive e la paternità dell’uomo che ha
acconsentito all’inseminazione della propria compagna o di sua
moglie. Tuttavia, da alcuni decenni, in particolare da quando è stata
votata la legge del 1972 relativa alla ricerca di paternità, il
riferimento implicito è la ricerca della verità, in questo caso
della verità biologica. Le sue applicazioni giurisprudenziali fanno
sì che oggi, la filiazione non sia più una costruzione postulata in
funzione di un legame istituzionale (il matrimonio) o di un atto
giuridico (il riconoscimento): essa diventa una realtà dimostrabile.
Essa si colloca ormai sotto il predominio della verità, sia dal punto
di vista biologico che sociale9.
Fare sottotitolo
La nostra società ha quindi un duplice riferimento nel campo della
filiazione, come sottolinea F. Héritier-Augé10, e questo
contribuisce ad indebolire ancora di più i legami di filiazione11.
Tuttavia, anche nel caso in cui il diritto sentenzi con chiarezza e
senza ambiguità, nei fatti persistono chiaramente forti tensioni tra
il sangue e la volontà. Ecco quindi che nelle famiglie nate da
inseminazione artificiale eterologa - forma di accesso allo status
genitoriale preferita all’adozione, proprio perché conserva almeno
un legame di sangue su due, quello che unisce la madre e il bambino -
la categoria di padre diventa l’oggetto di discorsi molto
conflittuali. In una minoranza di casi questi padri rivendicano
chiaramente la loro paternità sociale, ma molto spesso esprimono un
atteggiamento confuso di valorizzazione della paternità biologica,
tanto più che essi non vivono in modo luttuoso la loro sterilità.
Essi vengono invitati ad affermare la loro paternità sociale per
meglio conservare la maternità biologica della loro donna. Gli
incontri avuti da Corinne Trouvé-Piquot12 con alcune madri inseminate
rivelano anche in questo caso una situazione conflittuale. Seguendo la
volontà esplicita dei Cecos, che tendono a spersonalizzare il “donatore”
designandolo con un termine che l’associa a questa unica funzione,
alcune donne fanno propria questa rappresentazione, tanto che una di
esse ha affermato, ad esempio, di vedere il donatore più come un “insieme
di spermatozoi” che come un individuo”, mentre un’altra
affermava che “non è qualcuno, è piuttosto qualcosa”. Tuttavia,
la maggioranza delle donne parla di lui come di una persona, da un
lato, perché egli è colui che le ha rese madri e si sentono in
debito nei suoi confronti (“senza di lui, non avrei avuto mia
figlia, quindi lo sentivo presente quanto mio marito nel momento del
parto”, oppure: “nel momento della nascita, lo avrei baciato,
aveva un grande posto…”); dall’altro, perché i genitori tendono
ad interrogarsi costantemente sulle questioni inerenti l’eredità
fisica13 e morale de loro bambino. Non disponendo del termine di
procreatore, utile ai ricercatori in scienze sociali per la sua
precisione, queste madri utilizzano quello della lingua corrente che
assimila concepimento e paternità, tanto che questa doppia paternità
può essere descritta solo in termini di concorrenza. “Se
conoscessimo il donatore ci troveremmo veramente di fronte a due padri”,
dice una donna, mentre l’altra spinge la confusione al massimo
quando dichiara:
Se le dico (a sua figlia) che suo padre era un donatore vorrà forse
conoscerlo e, dal momento che è anonimo, incomincerebbe a porsi delle
domande inutilmente (…). In ogni modo è lui (suo marito) il padre.
Penso che non serva a niente dire a un bambino che, in realtà, lui
non è suo padre, mentre l’altro, in fin dei conti, non sarà mai
suo padre.
In Francia, la concorrenza in caso di adozione viene scongiurata dal
segreto sull’identità dei genitori e, soprattutto nell’adozione
internazionale, dalla distanza e dall’inesistenza di contatti
diretti con i genitori di sangue. La situazione di rivalità
fantasmatica viene vissuta più intensamente dalle madri che non dai
padri, perché è la maternità ad essere comunemente associata al
parto e perché non si parla quasi mai del padre di sangue nel
procedimento di adozione. Tra le donne che hanno adottato un bambino
molte ci hanno confessato che preferiscono non conoscere quelle che
loro stesse chiamano le “vere” madri, e che hanno provato un misto
di malessere e di sollievo nel momento in cui si sono trovate sull’aereo
di ritorno, con il bambino adottato in braccio; malessere perché,
riferiscono alcune di loro, avevano l’impressione di commettere una
sorta di rapimento; sollievo perché sapevano che da quel momento non
dovevano più temere che il bambino venisse loro portato via. L’anonimato
e l’assenza di contatti consentono di rappresentare un bambino senza
legami: non tanto quello di una madre quanto quello di un brefotrofio
di un paese straniero. Questa immagine consente di spostare il
problema dell’origine genealogica del bambino su quello della sua
origine geografica14. Verranno quindi conservate sistematicamente le
tracce del paese d’origine del bambino, in mancanza della
possibilità di mantenergli la sua filiazione di nascita,
simboleggiata dal suo nome e dal suo cognome.
Verso un riconoscimento
della plurigenitorialità?
Nell’adozione, sembra chiaro che l’oggetto di concorrenza tra
genitori di sangue e genitori adottivi non è tanto lo status
giuridico di genitori (riconosciuto dalla legge e dai genitori di
sangue a favore dei genitori adottivi, senza alcuna ambiguità) quanto
il riconoscimento, incarnato dalla presenza reale di persone
conosciute, di una duplice forma di procreazione di cui né l’una
né l’altra coppia è l’unica protagonista. Emerge così tutta l’importanza
che potrebbe assumere un riconoscimento simbolico della
plurigenitorialità nell’adozione, o almeno il riconoscimento dell’esistenza
di genitori successivi, se mantenessimo, oltre il patronimico dell’adottante,
anche il primo patronimico del bambino, come avveniva nell’adozione
greca e romana e nell’adozione francese fino al 1939. In questo
senso possiamo anche valutare l’assoluta straordinarietà
rappresentata dall’adozione aperta negli Stati Uniti e in Canada.
In effetti, da alcuni anni, soprattutto negli Stati Uniti e in Canada,
assistiamo alla nascita di un movimento che va nel senso del
riconoscimento legale di situazioni di plurigenitorialità. E’
questo il risultato dell’azione di gruppi di pressione a favore dell’interesse
del bambino, al quale vengono riconosciuti nuovi diritti: il diritto
ad essere allevato da buoni genitori pur conservando legami con la sua
famiglia naturale, il diritto al mantenimento del suo livello di vita
e dei suoi legami elettivi, o quello di conoscere le proprie origini.
Poniamo prima di tutto la questione del rispettivo posto del padre e
del patrigno nelle famiglie di nuova composizione dopo un divorzio.
Nei paesi anglosassoni si cerca di individuare delle soluzioni
giuridiche che consentano al bambino di conservare dei legami con i
suoi due genitori biologici, pur allacciando nuovi legami con il
genitore aggiuntivo. Nel Regno Unito, il Children Act del 1989
(diventato esecutivo nel 1991), fondato sulla nozione di “responsabilità
genitoriale”, assegna al genitore aggiuntivo che si occupa
quotidianamente di un bambino da almeno due anni diritti e doveri
legalmente riconosciuti, fino al sedicesimo anno di età del bambino.
Questi diritti e questi doveri non rimettono in discussione quelli dei
due genitori legali del bambino. Del resto, dopo aver constatato che
nella società americana sempre più spesso hanno fine anche le
seconde unioni e che numerosi bambini vengono a subire un danno
materiale dall’allontanamento del patrigno che sopperiva al loro
mantenimento, alcuni giuristi propongono di attribuire a quest’ultimo
lo status giuridico di genitore de facto, status che creerebbe per lui
degli obblighi specifici, proporzionali al periodo in cui ha sopperito
materialmente ai bisogni dei bambini in questione. Sarebbe un modo di
riconoscere che la durata della convivenza e la situazione di padre
putativo creano una sorta di parentela tra adulto e bambino, parentela
che deve essere riconosciuta e, in una certa misura
istituzionalizzata, nell’interesse del bambino.

In Francia, le
proposte che Irène Théry15 fa al governo sostengono, al contrario,
la necessità di mantenere la responsabilità specifica del padre, ma
tendono a consentire al patrigno l’esercizio nei confronti del
figliastro di alcune funzioni parentali relative alla vita quotidiana
e la possibilità di lasciargli i propri beni in via preferenziale
(eliminando i prelievi fiscali sulle donazioni tra estranei).
Il riconoscimento della plurigenitorialità non è solo legato alla
presenza sempre crescente delle famiglie di nuova composizione nella
nostra società. Esso è anche il frutto della crescente
consapevolezza della problematica identitaria, che ha assunto la forma
di rivendicazione del diritto del bambino adottato o di quello nato
dalla procreazione assistita di conoscere le sue “origini”. Negli
Stati Uniti, le associazioni di adottati e le associazioni che
raggruppano genitori naturali che hanno abbandonato i loro figli e che
lottano per “ritrovarli”, hanno fatto pressione sull’opinione
pubblica e hanno ottenuto cambiamenti significativi, in particolare
per quanto riguarda la legislazione sull’adozione e la sua
realizzazione pratica. Da ormai uno o due decenni, negli Stati Uniti e
in Canada, l’adozione è in effetti passata da un modello “chiuso”,
fondato sulle idee guida di rottura totale del legame di filiazione,
anonimato delle parti implicate e segreto assoluto delle pratiche di
adozione così come degli atti di stato civile originali, ad un
modello “aperto” conosciuto oggi come open adoption. La Francia,
contrariamente all’Inghilterra e alla Germania, rimane
provvisoriamente in disparte rispetto a questa evoluzione benché, da
una decina di anni, il fiorire di numerose associazioni di lotta per
il diritto alle origini lasci presagire un’evoluzione nello stesso
senso.
L’open adoption consiste nel favorire la reciproca conoscenza tra
genitori di sangue e genitori adottivi nelle forme più varie, che
vanno dalla semplice informazione sulla loro rispettiva identità alla
frequentazione regolare (con il diritto di visita riconosciuto),
grazie ad un contratto negoziato tra i partner. Al di là dell’obiettivo
implicito - evitare i problemi di confusione identitaria per l’adottato
nel momento dell’adolescenza - questo movimento di apertura ha un’altra
funzione più nascosta: frenare la diminuzione del numero di bambini
adottabili, conservando un ruolo più significativo per le madri
naturali. La possibilità da parte di queste ultime di scegliere i
genitori adottivi del loro figlio e di non spezzare definitivamente
qualsiasi legame con lui favorirebbe in effetti la decisione di
acconsentire alla sua adozione. La maggior parte delle adozioni di
neonati avvengono negli Stati Uniti attraverso agenzie private sulla
base di questa apertura, particolarmente ricercata da parte dei
genitori naturali, mentre le agenzie pubbliche, che lavoravano
essenzialmente con l’adozione tradizionale, hanno dovuto chiudere l’una
dopo l’altra. Per il momento, la legislazione è molto diversa da
uno Stato all’altro: alcuni Stati, tra cui la California e la
Virginia, esigono che tutte le parti scambino alcune informazioni
relative all’identità, mentre nella maggior parte degli Stati le
modalità della reciproca conoscenza vengono lasciate alla
discrezionalità delle parti.
Nel campo delle procreazioni assistite esiste un movimento d’opinione
che va nello stesso senso. In Francia, ad esempio, da alcuni anni gli
psicologi che sostengono le coppie che richiedono un’inseminazione
eterologa le invitano a non mantenere il contesto familiare e il
bambino stesso nell’ignoranza relativamente alla sua origine. L’anonimato
del donatore o della donatrice di ovociti sembra essere in
contraddizione con l’affermazione da parte della Convenzione
internazionale dell’Aia del diritto dei bambini di conoscere la loro
origine. L’attuale dibattito sulla materia fa prevedere, su questo
punto, una modifica della legge del luglio 1994 sulla bioetica. Mentre
in Francia ci si irrigidisce sul segreto, gli Stati Uniti sperimentano
- alcuni direbbero che giocano a fare gli apprendisti stregoni -
autorizzando pratiche che vanno nella direzione opposta a quella
seguita dalla logica del nostro sistema. La pratica delle madri
portatrici della gravidanza, autorizzata in diversi Stati, rende
impossibile l’eliminazione delle genitrici. Alcune inchieste
televisive ce le mostrano nel momento del parto, circondate dalla
coppia a cui hanno promesso il bambino e, dopo la nascita, le vediamo
a volte intrattenere rapporti di amicizia con la famiglia che hanno
contribuito a formare.
Infine, i recenti dibattiti promossi dalle coppie omosessuali che
rivendicano il loro diritto all’adozione hanno messo in luce le
diverse forme di co-genitorialità che si stanno sperimentando oggi.
Benché in Francia non siano molto numerose, la loro grande diversità
costituisce senza dubbio oggi uno dei “terreni” di osservazione
più ricchi da questo punto di vista, in quanto, in questo caso, le
situazioni di plurigenitorialità sono, per definizione, la regola,
dato che la genitorialità e la situazione di coppia non coincidono
quasi mai16.
Nel caso in cui i bambini siano nati da un’unione eterosessuale
precedente e che uno dei genitori viva attualmente con una persona
dello stesso sesso, la questione dello status del “patrigno” o
della “matrigna” rispecchia quella delle famiglie di nuova
composizione, pur ponendo delle problematiche specifiche. Quando i
bambini sono adottati da un’unica persona (come consente la legge)
ma vengono allevati e a volte voluti da due persone dello stesso sesso
si pone il problema dello status di “cogenitore”, regolato in
alcuni paesi seguendo il criterio del genitore adottivo. Quattro
persone possono essere all’origine della nascita di un bambino: una
coppia di genitori biologici, composta da una madre lesbica e da un
padre gay, e i loro rispettivi partner. Questa co-genitorialità
spesso praticata negli Stati Uniti, pone il problema del ruolo di
ciascun protagonista, della costruzione delle diverse genitorialità,
del concetto di filiazione di sangue e della problematica della
convivenza.
Genitorialità e filiazione
Infine, alcuni bambini nascono anche grazie a gravidanze assistite o
al ricorso a madri portatrici. Questo accade soprattutto all’estero,
dato che, in Francia, la legge vieta le gravidanze assistite a persone
non sposate o omosessuali, oltre che il ricorso alle madri portatrici.
Ma questa pratica è già relativamente diffusa in alcuni Stati degli
Stati Uniti ed è oggetto di alcuni primi studi in scienze umane e
sociali. Anche qui si tratta di situazioni che pongono il problema del
ruolo rispettivo di tutti gli adulti che concorrono al concepimento,
alla nascita e all’educazione dei bambini, sul versante legislativo
e su quello pratico.
La richiesta da parte delle famiglie omosessuali di poter adottare dei
bambini e i dibattiti relativi ai rapporti
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