Solidarietà e diversificazione
Chiara Saraceno con Antonia Anania
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ne parla con Chiara Saraceno, ordinario di Sociologia della famiglia
presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino.
Da un trentennio la nostra interlocutrice studia i mutamenti dei
nuclei familiari e dei ruoli di uomini e donne fuori e dentro la
coppia.
Tra i suoi ultimi studi, oltre Mutamenti della famiglia e politiche
sociali in Italia (Il Mulino,1998) ha scritto e curato insieme a
Marzio Barbagli Separarsi in Italia (1998) e Lo stato delle
famiglie italiane in Italia, (1997, sempre per i tipi de Il
Mulino). Durante i governi precedenti è stata consulente del Ministro
della solidarietà sociale su temi di politiche contro la povertà e
per la famiglia.

Professoressa Saraceno, quali sono le parole che ci possono far capire
quale sia lo stato attuale della famiglia italiana?
La prima è diversificazione. Oggi in Italia come in altri
Paesi ci sono diversi modi di essere famiglia :ci sono famiglie con e
senza figli, famiglie in cui i figli adulti si trattengono a oltranza,
famiglie costituite da anziani che vivono soli. Questa
diversificazione dipende in larga misura dal fatto che una famiglia
può subire vari mutamenti durante il suo ciclo di vita, proprio come
succede ad ogni singolo individuo.
La seconda è solidarietà. La costante che si può riscontrare
nelle famiglie italiane così come in generale in quelle mediterranee
è che, comunque sia, i legami di solidarietà sono forti e duraturi,
per motivazioni culturali ma anche per necessità. Nel senso che oggi
nel nostro Paese le aspettative che la famiglia -i genitori nel caso
dei figli, i figli nel caso di genitori molto anziani - faccia fronte
in caso di bisogno, sono molto più forti e consolidate, e non solo
nella cultura individuale ma anche nelle politiche e aspettative
sociali. Perché questo tratto culturale è fortemente rafforzato e
quasi imposto dall’assenza di una modalità di accesso più
individualizzata alle risorse.
Possiamo fare qualche esempio?
Si pensi al fatto che un giovane difficilmente ha accesso a un’indennità
di disoccupazione. O al fatto che esistono pochi servizi domiciliari
per gli anziani. O che una giovane coppia più difficilmente riesce ad
avere accesso alla casa se i genitori di lui o di lei o di entrambi
non aiutano a comprarla. O al fatto che un giovane che vuole mettere
su un’impresa difficilmente ha accesso a un credito se non ha i
genitori alle spalle.
Per concedere il prestito d'onore si richiede che il giovane che lo
richiede possegga qualcosa come garanzia e dato che raramente succede,
è la famiglia a fornire il necessario per ottenere il prestito. Così
figli, nonni, parenti contano molto sul fatto che la famiglia sia
solidale con loro, a prescindere dal fatto che lo voglia essere e che
lo faccia per affetto.
Papà o mamma: l’eterno dilemma, qual è oggi la figura dominante
in famiglia?
Intanto ci sono fortissime differenze regionali per esempio molto
dipende dal fatto che siano più influenti i parenti di lei o di lui.
Si dice che in generale, per quanto riguarda i paesi occidentali,
nella gestione quotidiana ed educativa dei figli contino di più le
donne, ma si tratta semplicemente di una conseguenza della divisione
del “lavoro di coppia”. Le decisioni su dove abitare per esempio
dipendono di solito dal lavoro e dalla carriera del marito.
Oggi comunque si riscontra una maggiore parità di ruoli: nelle coppie
più giovani, le donne lavorando hanno più da dire anche nelle
decisioni che riguardano il dove abitare. Quindi nella misura in cui
aumenta il tasso di occupazione femminile aumenta il potere negoziale
delle donne, altrimenti molto del potere che le donne hanno in casa
deriva dal fatto che l’altro non è fisicamente presente; ed è
quindi un potere sui generis.
Si discute molto su quale sia la nuova famiglia italiana, e si parla
spesso di famiglia allargata o ricostituita. Ci può spiegare che cosa
si intende con questi termini?
In termini tecnici le famiglie allargate sono quelle in cui, oltre
alla coppia con eventuali figli, del nucleo fanno parte anche altri
parenti, ad esempio un genitore di lui o di lei. Questo tipo di
famiglia prevale più al Sud, o in quelle zone dove sta diminuendo la
prassi normale che quando i figli si sposano vadano a vivere per conto
proprio. In generale però in Italia prevale la famiglia nucleare già
da moltissimo tempo, più che in altri Paesi.
La famiglia ricostituita invece è quelal che si costituisce in
seguito a separazioni e divorzi precedenti, che nel nostro Paese sono
in aumento, malgrado i tassi di instabilità coniugale siano più
ridotti che altrove, perché il divorzio arriva più tardi (se
arriva), a causa delle difficoltà legislative.
Quali sono i problemi che incontrano più frequentemente queste
famiglie?
Le cosiddette nuove famiglie hanno problemi di confini molto
diversi da quelli delle famiglie tradizionali, di appartenenza. Di
fatto vedono più spesso i figli di primo letto di lei che non i figli
di lui perché l’affidamento dei figli va prioritariamente alla
madre. E quindi i figli di primo letto di lui stanno più facilmente
da un’altra parte e fanno i pendolari da una coppia all’altra, o
vanno dal padre solo durante le vacanze.
E’ più facile che vivano sotto lo stesso tetto i figli di primo
letto di lei e i figli comuni della nuova famiglia, quelli che un
tempo si chiamavano tra loro fratellastri, cioè mezzi fratelli. Sono
rare invece le convivenze sistematiche in cui sia i figli di lei che
quelli di lui che quelli comuni vivono tutti i giorni insieme: queste
convivenze si vedono solo nei film, nella realtà non esistono, o
esistono in maniera occasionale.
Abbiamo parlato di film: nel 1987 qualche famiglia italiana andava
al cinema e si poteva riconoscere (naturalmente con le dovute
differenze) nella lunga storia patriarcale de La famiglia di
Ettore Scola. Oggi invece le famiglie si riconoscono più facilmente
in film come Maniaci Sentimentali (1994) di Simona Izzo, dove
varie famiglie ricostituite si riuniscono in una sola casa in
occasione di una prima comunione.
Se un tempo era ovvio che i figli fossero legati alla coppia, perché
la coppia coniugale coincideva con la coppia genitoriale, oggi questo
succede sempre meno; per cui all'interno di una famiglia o rispetto a
una coppia, i figli possono collocarsi in posizione molto
differenziata tra di loro, sia quelli che vivono con la coppia sia
quelli che vanno e vengono periodicamente. Dal punto di vista dei
figli, può essere molto più complesso definire la propria
appartenenza rispetto alla coppia coniugale con la quale di volta in
volta si confontano.
Secondo lei è anche questo uno dei motivi per cui si moltiplicano i
corsi per diventare bravi mamma e papà?
No, non credo. I corsi per genitori hanno di solito un’altra storia:
quella della percezione, da parte dei genitori, di una perdita di
controllo sul contesto in cui crescono i propri figli. La domanda dei
genitori è: “non capisco cosa devo fare”. C’è la televisione,
ci sono gli amici, i genitori sentono di non potere più trattare i
propri figli autoritariamente, ma sanno che anche l’eccesso di
permissività non va bene. I messaggi sono molteplici e molto
complicati, e non è facile interpretare i segnali del disagio che
provengono dai propri ragazzi.
Anche nelle famiglie ricostituite i nuovi compagni e compagne non
hanno sempre chiaro il loro status, non possono essere considerati in
un modo omogeneo. C’è un secondo marito o una seconda moglie che
vorrebbero tanto fare il padre o la madre ma devono anche considerare
che esistono anche un altro padre e un’altra madre, quindi nascono
conflitti tra figure adulte. I figli devono capire chi è l’autorità
e quando e come, i nuovi compagni dicono: “Non sono io il genitore,
al massimo posso fare lo zio o l’amico più grande". In altre
parole non vogliono, non ritengono opportuno, assumersi il ruolo di
genitori. Forse siamo di fronte a una genitorialità più allargata in
cui più figure adulte assumono parti del ruolo genitoriale ma in
maniera ancora poco elaborata.
Quindi la figura del padre e quella della madre si frammentano?
Sì, o per meglio dire si articolano. Oggi questo è più vero per
i padri perché solitamente non vivono con i propri figli dopo la
separazione, e devono fare i conti con il fatto che il loro figlio
possa vivere più a lungo e più sistematicamente con un altro uomo,
che non con loro.
Un altro uomo che verrà chiamato padre, patrigno o in quale altro
modo?
Dipende moltissimo dall’età che ha il figlio quando comincia la
convivenza col nuovo compagno della madre e dalla presenza e dal
rapporto affettivo che il figlio ha con il proprio padre naturale.
Quanto più questo padre è presente tanto più è difficile che il
nuovo compagno della madre venga chiamato papà, se invece il padre è
assente o delega molto accade il contrario. Non c’è un unico modo,
e credo che sia anche sbagliato dare dei nomi fissi. Alcuni chiamano
il proprio patrigno "papà" aggiungendo però il nome
proprio - ad esempio papà Marco - mentre il papà senza nome proprio
è il vero padre, o viceversa. Dipende.
Dalle testimonianze e dai dati che lei ha raccolto durante le sue
ricerche, si riscontra un “lessico famigliare”, delle parole
tipiche o curiose in famiglia?
Per rimanere sull’argomento di prima, devo dire che i ragazzi fanno
fatica a nominare i genitori acquisiti: qualche volta li chiamano
"il mio patrigno" o "la mia matrigna", che però,
come "figliastro", sono parole "brutte" che
vengono dalle favole. Tant'è vero che figliastro o figliastra,
sorellastra o fratellastro, non si usano mai. Piuttosto si ricorre a
complicati giri di parole oppure si usano i termini di parentela
tipici di una famiglia normale.
In inglese per indicare queste nuove figure familiari si utilizzano
termini molto più neutri e descrittivi, come stepfather e stepmother
e cioè che stanno un passo a fianco dei genitori di sangue. La lingua
italiana invece è molto familistica: la famiglia è tutto, e se ne
parla sempre, di quella dalla quale si proviene o di quella che ci si
crea. Poi però mancano le parole per designare rapporti che sono
familiari ma che non sono quelli della famiglia col timbro.
Allo stesso modo però c’è una grande innovazione linguistica
soprattutto tra i bambini. Una bambina parlava del proprio patrigno
come di “il mio papà di plastica”, altri chiamano lo chiamano “il
papà nuovo”.
E i nonni?
Senza parlare della famiglia ricostituita in particolare,
innanzitutto oggi ci sono molti più nonni, perché gli anziani vivono
più a lungo, e quindi i ragazzi oggi crescono vivendo la presenza dei
nonni nella loro rete familiare come una ovvietà, molto più naturale
e duratura.
Si diventa grandi, ci si sposa avendo ancora in vita i nonni e questa
è una innovazione all'interno della famiglia. Sono molto meno
nominati nel folklore, però in compenso sono molto più presenti e
molti nonni sono anche bisnonni assai presenti nella vita affettiva
dei loro bisnipotini.
In più il fenomeno delle famiglie ricostituite segnala che anche tra
i nonni si complicano e si ridisegnano i rapporti, perché può
succedere che al momento della separazione i nonni del genitore non
affidatario spesso vengano trascurati anche se prima erano molto
presenti. E dall’altra parte ci sono nonni acquisiti che a volte
hanno il problema di come trattare il figlio di primo letto della
moglie del loro figlio. Ci sono nonni che sviluppano strategie di
inglobamento per non fare differenza tra un bambino e l’altro. E da
qui nasce la cosiddetta “parentela allargata” in conseguenza dell’ampliamento
dei rapporti.
In questo allargamento familiare quanto sono forti e quanto
influiscono i conflitti generazionali?
In realtà se uno guarda in particolare alla famiglia italiana direbbe
che non incidano molto o perlomeno che non siano molto agiti. A questo
proposito bisogna notare che sono in aumento i figli ultraventenni che
stanno a casa pur lavorando, soprattutto nel Nord, per cui si parla
spesso di “famiglia lunga del giovane adulto”. Ciò implica
chiaramente che se questi giovani adulti rimangono in famiglia a
lungo, vanno negoziati diversamente i loro rapporti coi genitori, le
loro responsabilità, i loro spazi di libertà.
In Italia come all’estero alcuni studi affermano che sono in aumento
le coppie dink, double incom no kids, e cioè i trentenni che
dopo essere stati a lungo in famiglia fanno coppia lavorando,
guadagnando ma non volendo figli: lei che ne pensa?
In realtà in Italia non sono in aumento tanto quelli che non fanno
nessun figlio, ma quelli che rimandano. Anche negli altri Paesi ci si
sposa tardi, ma solo nel nostro Paese, sposandosi più tardi, si resta
in famiglia più a lungo, e questo vale anche per i maschi trentenni.
Negli altri Paesi invece dopo i 24 anni nessuno vorrebbe (o potrebbe)
farsi trovare a casa dei propri genitori, appena possibile i giovani
vanno a vivere da soli o in coppia o con amici.
In Italia spesso poi la decisione di avere un figlio viene posticipata
per il fatto che l’ingresso stabile nel mercato del lavoro è
posticipato, che anche le donne delle giovani generazioni devono
entrare nel mercato del lavoro e stabilizzarcisi prima di mettere al
mondo un figlio. Tutto questo credo procurerà dei problemi negoziali
ancora più delicati, perché è difficile cambiare la propria vita a
35 anni.
Ritorniamo alle famiglie ricostituite: quali sono le leggi che
mancano riguardo a queste nuove famiglie?
Innanzitutto credo che andrebbe riformata la legge sul divorzio
per togliere l’assurdo requisito che si debba aspettare tre anni
dopo la separazione legale per creare una nuova famiglia, che per le
donne diventano quattro perché dopo il divorzio devono aspettare
ancora dieci mesi, la cosiddetta “attesa vedovile”, per essere
sicuri che un eventuale figlio non sia del precedente matrimonio.
Così come credo che occorra modificare le norme di affidamento dei
figli per renderle più amichevoli nei confronti della
co-genitorialità, nel senso che oggi si parla di decidere su quale
dei due genitori è più adatto a tenere con sé i propri figli:
perché mentre erano sposati i genitori venivano considerati entrambi
"adatti" e poi dopo la separazione uno diventa più
"adatto" dell’altro? Io non sono favorevole all’affidamento
congiunto per obbligo, perché so che spesso i matrimoni finiscono in
modo così conflittuale che è meglio non obbligare i genitori a
cooperare, però bisogna ammettere che l’affidamento congiunto
sarebbe la soluzione più ovvia e normale, e che non si dovrebbe
attuare solo quando provoca ulteriori conflitti.
Bisognerebbe incentivarlo, perché se un figlio sapesse che i suoi
genitori continuano a essere fortemente corresponsabili di lui, e ogni
genitore sapesse che deve negoziare con l’altro, le nuove famiglie
che si formano dopo la separazione sarebbero certamente più
permeabili l’una nei confronti dell’altra, almeno per quanto
riguarda il figlio, che forse crescerà in modo più solido e
articolato e con un minore senso di abbandono e di squalifica. E’
una situazione complicata, ma è una complicazione che in un certo
senso è più neutrale rispetto alla situazione odierna.
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