Recensione/Chocolat
Paola Casella
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Per godersi Chocolat, bisogna ricordarsi che stiamo assistendo
ad una favola. Diversamente, passeremmo il tempo a rilevare
anacronismi e manipolazioni estreme della realtà. E denunceremmo
senza pietà l'eccessiva melensaggine e la perfetta circolarità della
vicenda.
Sarebbe un peccato: perché, accettato nei suoi termini, Chocolat
è un film riuscito, o meglio, un cioccolatino ben confezionato. Come
il cioccolato, è eccessivamente zuccheroso, quasi stucchevole, e allo
stesso tempo, è una festa dei sensi: goderne è un peccato veniale.

La storia è quella di una madre single, Vianne (Juliette Binoche),
che vaga per il mondo senza mettere radici trascinandosi dietro la
figlia Anouk (Victoire Thivisol) del cui padre non sappiamo nulla,
salvo che era irrilevante. Vianne si mantiene grazie alla sua arte:
quella culinaria, e in particolare dolciaria. E' infatti una vera
esperta di cioccolato, visto non solo come supremo piacere del palato,
ma anche come veicolo di istinti passionali e come cartina di
tornasole del proprio io nascosto. Vianne si assume infatti il compito
di interpretare, attraverso una rapida lettura "psicologica"
dei suoi clienti, quale particolare tipo di cioccolato si adatti
maggiormente alle loro esigenze segrete.
Attraverso un lungo flashback, Vianne rivela di essere per metà
francese e per metà maja. La sua doppia origine serve a giustificare
il suo particolare mix di grazia raffinata e istinti selvaggi, estremo
controllo estetico (del suo aspetto, delle sue creazioni
gastronomiche, della composizione delle sue vetrine) e completo
disprezzo delle apparenze.
I problemi nascono dal fatto che Vianne ha scelto come terreno di
conquista un paesino della provincia francese degli anni Cinquanta,
dove l'io nascosto degli abitanti è spesso un alter ego mai esposto
agli occhi dei concittadini, e dove la presenza di Vianne funziona da
detonatore di innumerevoli libidini represse.

Alcuni, come l'infelice e abusata Josephine (interpretata da Lena Olin,
nella realtà moglie del regista di Chocolat, Lasse Hallstrom),
o come Armande (Judi Dench, candidata all'Oscar per questo ruolo),
l'anziana e scorbutica proprietaria dei locali dove Vianne impianta la
sua chocolaterie, trovano nella nuova arrivata la forza e il
coraggio di cambiare la loro vita.
Altri invece, forse proprio perché non hanno in sé quella stessa
forza e quel coraggio, cercano di epurare Vianne dal villaggio: è il
caso del sindaco, il conte di Reynaud (l'attore ispanico Alfred Molina,
che anche nell'aspetto fisico ricorda il personaggio del gerarca di La
vita è bella, letto qui in chiave appena un po' più buonista -
leggi "americana"), e della vedova Caroline (Carrie-Ann Moss,
reduce da Matrix e Memento), che non a caso nutre
istinti passionali proprio nei confronti dello sposato (anche se
abbandonato) conte.
Ci sono poi due personaggi estremi, e perciò esterni alla comunità
locale: Serge (Peter Stormare), il marito di Josephine, che appare al
di là di ogni redenzione, al punto che suscita la nostra pietas anche
se è un bruto che picchia le donne; e Roux (Johnny Depp), uno zingaro
con occhiali da beatnik (tanto di moda adesso, guarda caso) e
la capacità di suonare la chitarra "come Django Reinhardt"
(vedi articoli collegati).
In fondo, Serge e Roux sono due facce della stessa medaglia, e due
contraddizioni rispetto alle apparenze. Serge, l'oste locale sposato
da una vita, può sembrare un cittadino modello, mentre Roux, nomade
che vive di espedienti, appare infido e potenzialmente pericoloso.
Ovviamente, invece, Serge è la vera mina vagante del villaggio,
mentre Roux si rivela onesto, affidabile, e persino dotato di quella
abilità per il fai-da-te domestico che gli americani identificano
come caratteristica innata (e molto yankee) del bravo padre di
famiglia.
Ma nella loro dimensione di outsider, almeno una cosa li accomuna: su
entrambi, le sottili arti di Vianne, che sembra più una maga (o una
strega, a seconda dei punti di vista) che una gourmandise,
possono alcunché. E se nei confronti di Serge Vianne opporrà
resistenza anche fisica, davanti a Roux cederà proprio fisicamente,
imparando una lezione di umiltà che farà bene non solo a lei ma per
via indiretta anche alla figlia, costretta da sempre a seguire la
madre nelle sue inquiete peregrinazioni alla ricerca del cioccolatino
giusto (ci vorrà Roux a farglielo scoprire, o meglio, riconoscere).

Di tutti i personaggi della storia, è infatti Vianne la più piena di
sé, malgrado la sua dichiarata tolleranza nei confronti del resto del
mondo - una tolleranza gesuitica, elargita con la magnanimità di chi
si sente superiore ai suoi simili, e simile a nessuno. Come Pinocchio,
alla fine anche Vianne diventa di carne, ed esce così dalla
solitudine nella quale aveva confinato se stessa e la figlia, arrivata
a inventarsi un canguro come amico immaginario. La conclusione della
storia, con la scomparsa del canguro, è la perfetta chiusura di un
cerchio narrativo nel quale ogni personaggio raggiunge la sua piccola
catarsi, ogni filo viene riannodato, ogni passione veicolata, se non
spenta.
Il tutto in salsa hollywoodiana, con quella completa genuflessione
agli standard etici ed estetici d'oltreoceano (non c'è una frase che
non sia politically correct e il femminismo radical delle
sue protagoniste, inconcepibile nella Francia provinciale degli anni
Cinquanta, è opportunamente compensato dall'aggraziata femminilità
di Juliette Binoche e Lena Olin, amiche ben più trasgressive ne L'insostenibile
leggerezza dell'essere) che solo un regista europeo trapiantato
nella Mecca del cinema sa compiere.
Lo svedese Lasse Hallstrom, che alterna storie genuinamente commoventi
come La mia vita a quattro zampe e Buon compleanno Mr. Grape
a imbarazzanti celebrazioni del sentimentalismo d'oltreoceano come
Ancora una volta e Qualcosa di cui sparlare, trova qui
la via della favola, che in qualche modo lo assolve dalla debordante
implausibilità: non è un caso che Chocolat sia ambientato in
un paesino uscito dritto dritto da Disneyland (in particolare, dal
cartoon La bella e la bestia), dove persino gli attori sembrano
personaggi creati da nonno Walt. E allora tanto vale godersi questo
piccolo peccato di gola, che risponde perfettamente alla definizione
americana di eye candy, cioé "dolcetto per gli
occhi".
Il sito ufficiale del film:
http://www.miramax2000.com/chocolat/index.html
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