Il discorso/L'Europa casa di
tutti
Giovanni Agnelli
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L'Europa casa di tutti
Se dovessi indicare qual è l’impegno di maggiore rilievo
politico e culturale che i popoli e le nazioni europee devono proporsi
per il XXI secolo non avrei esitazioni: è l’impegno di portare a
compimento quel processo di unificazione dell’Europa che ebbe inizio
all’indomani della seconda guerra mondiale.
Nell’ultimo decennio del Novecento questo processo ha ricevuto
grande impulso; e oggi il progetto di costruzione dell’Europa appare
più completo e ambizioso, anche se resta indubbiamente difficile. Con
la fine dei governi comunisti in Russia e nei paesi dell’Europa
centrale e orientale si è aperta la possibilità di costruire un
quadro politico più in sintonia con la dimensione geografica, storica
e culturale in cui si è sviluppata nel corso dei secoli la civiltà
europea.
Alla sfida dell’integrazione europea si deve oggi guardare avendo
sempre in vista l’obiettivo finale: quella compiuta unità - in una
dimensione che, personalmente, auspico federale - che permetta all’Europa
di competere economicamente e di dialogare politicamente da pari a
pari con le altre grandi entità continentali del mondo.
Se questo è l’obiettivo, è mia opinione che due siano le
condizioni per proseguire nel cammino dell’integrazione. In primo
luogo, l’Unione Europea non può permettersi di rinunciare alla
storica e forte partnership con gli Stati Uniti, sia dal punto di
vista della sicurezza, sia sotto il profilo economico e tecnologico.
La seconda condizione è quella di saper assorbire senza traumi l’allargamento
ai paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica. Per quanto
difficile e non priva di rischi, la costruzione di un’Europa più
ampia si impone come passaggio obbligato in uno scenario
internazionale in cui si rafforzano le tendenze all’integrazione.
Gli stessi conflitti che da un decennio dilaniano l’ex Jugoslavia
possono trovare una composizione duratura solo all’interno di una
compagine europea che li integri in un quadro unitario e impedisca
così pericolose deviazioni di carattere nazionalistico. Diverso e
forse ancor più impegnativo è il discorso della Russia. Per le sue
stesse dimensioni geografiche, per il suo rilievo politico, per le sue
risorse economiche, la Russia non pare oggi integrabile in una
struttura politica quale l’Unione Europea. Tuttavia, il contributo
che quel paese può dare alla costruzione di un’Europa più coesa
può essere molto importante.
E’ dunque necessario sviluppare con la Russia rapporti nuovi e
costruttivi capaci, pur nella reciproca indipendenza politica, di
attirarla stabilmente nell’area della democrazia e del mercato.
Spetta soprattutto a noi europei occidentali la grande responsabilità
di facilitare il radicamento di questi principi, stabilendo forti
legami con quelle forze culturali russe che più compiutamente
esprimono i valori della libertà e dello Stato di diritto.
Occorre, infatti, riconoscere che i legami di natura solo economica,
finanziaria o politica non bastano più. Essi possono consolidarsi
soltanto se saranno sostenuti da una riflessione culturale in grado di
esprimere in modo rinnovato un sistema di valori comuni e un modello
europeo di società e di cittadinanza. Per questa ragione ritengo
molto importante il problema di riformulare un’identità europea
condivisa, che sia espressione dei valori fondamentali che la civiltà
del nostro continente ha storicamente sviluppato e che si ritrovano in
tutte le culture nazionali.
Le recenti discussioni sulla Carta europea dei diritti fondamentali
vanno in questa direzione, anche se gli stessi diritti per essere
efficaci devono poggiare su una più approfondita consapevolezza
culturale, che sappia riscoprire le radici più feconde dell’umanesimo
europeo. Su questa linea si è posto il Premio della Fondazione per il
Dialogo fra gli Universi Culturali, nella sua edizione del 2001.
La ricerca di una comune identità europea deve, peraltro, muovere dal
riconoscimento della ricchezza e del pluralismo di espressioni
culturali che sono proprie della nostra storia. Deve muovere, inoltre,
dalla consapevolezza delle fratture profonde e drammatiche che hanno
attraversato l’Europa determinandone la divisione in due parti, che
sono giunte a percepirsi come estranee, direi come ostili.
Una tale estraneità solo in parte affonda nel passato, nella
separazione tra un Oriente ortodosso e un Occidente
cattolico-protestante. Essa ha raggiunto un livello patologico con la
«cortina di ferro» imposta dall’ideologia comunista, che ha
sbloccato nel XX secolo lo sviluppo di rapporti convergenti tra i
paesi europei.
Se la «cortina di ferro» è caduta sul piano politico, dobbiamo oggi
fare ogni sforzo per impedire il sorgere di una nuova «cortina» sul
piano culturale. Occorre guardarsi dal rischio che si affermino
visioni esclusiviste di ispirazione opposta, ma pericolosamente
alleate nel prefigurare un’Europa che sarebbe ancora divisa.
E’ un rischio reale perché corrisponde a correnti di pensiero che
sono presenti sia in Europa occidentale quanto in Russia. Mi
riferisco, da un lato, a coloro che tendono a escludere l’ortodossia
dal patrimonio culturale europeo, facendolo coincidere con la sola
tradizione occidentale. Ma penso anche a quanti, dall’altro lato,
sottolineano talmente la specificità dell’ortodossia o di un
determinato carattere nazionale da isolarlo, erroneamente, dal comune
alveo culturale europeo.
L’impegno culturale di Sergej Averincev è diretto ad evitare queste
derive pericolose. Ribadisce il fondamento spirituale ed etico comune
della civiltà europea. In questo senso il suo contributo
intellettuale ha una immensa attualità.
Nel momento in cui l’Europa - di fronte alle sfide dell’unificazione,
della globalizzazione, delle migrazioni internazionali - è alla
ricerca della sua identità più profonda, Sergej Averincev suggerisce
che questa è storicamente caratterizzata da un grande pluralismo di
espre ssioni culturali e politiche, ma anche dalla convergenza su una
serie di valori fondamentali. Sono i valori sui quali ricostruire e
radicare il dialogo intra-europeo in questo avvio di Millennio.
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