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Tra la lepre e la tartaruga



Giovanni Berlinguer con Claudia Hassan



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Genoma, clonazione, fecondazione artificiale, test genetici. Di fronte a questi progressi scientifici e tecnologici l'etica tradizionale è inadeguata. La bioetica, nuova frontiera della ricerca, tenta di dare delle risposte a domande inedite e complesse. Caffè Europa ha incontrato Giovanni Berlinguer, presidente del Comitato nazionale di bioetica e autore del libro Bioetica quotidiana (Giunti)

"E' naturale che vi sia una sfasatura temporale tra il progresso tecnico-scientifico e il pensiero etico", afferma Berlinguer. "Soltanto i dogmatici pretendono di avere già pronte categorie mentali con cui affrontarle. C'è però una giusta preoccupazione per il fatto che i due ritmi di crescita corrispondano al rapporto tra la lepre (scienza) e la tartaruga (etica). Parlo di etica come sistema teorico, e più ancora come regole di comportamento, morali prima che legali, che dovrebbero consentire a tutti di compiere consapevolmente le proprie scelte. L'Italia in questo campo vede la crescita di nuovi organismi (i comitati etici e i centri di bioetica), un maggiore interesse per la bioetica nelle Università e un intenso dibattito teorico."

Quali sono le differenze nel nostro Paese a livello teorico e politico?

Nel Comitato nazionale di Bioetica su temi molto delicati - come regole e rischi dei test genetici, psichiatria, moratoria per gli xenotrapianti, brevettazione del genoma e degli embrioni - i pareri sono stati approvati all'unanimità, non sulla base di un compromesso, ma come sintesi ragionata delle diverse opinioni. In Italia invece c'è la sensazione che prevalga lo scontro. Una spiegazione c'è, e deriva dal fatto che la Chiesa cattolica vorrebbe influire direttamente sulla formulazione delle leggi, oltre a esprimere le proprie posizioni morali, com'è suo diritto.

Ne derivano critiche e resistenze anche da parte di quella popolazione cattolica che nella pratica quotidiana si discosta dai valori propugnati dalla Chiesa, specie riguardo a sessualità e riproduzione. Inoltre nel dibattito politico, quando si tratta di bioetica, le ragioni degli uni e degli altri sono usate più per distruggere e disgregare alleanze che per trovare intese comuni. Il risultato, spesso, è la paralisi dell'attività legislativa.


Che ruolo hanno in questo campo, così centrale per la vita di ognuno di noi, l'informazione e l'educazione?

Un ruolo importante, se pensiamo che quotidianamente siamo alle prese con problemi che riguardano la bioetica, che si propone di aiutarci a capire i rapporti tra scienza e vita, e le scelte dell'uomo fra bene e male, anche attraverso una riflessione critica sul contesto sociale e tecnologico. I giovani crescono nell'era delle biotecnologie, della trasformazione della natura e di noi stessi per mezzo delle scienze biomediche. Nella scuola la bioetica può coinvolgere molte e diverse discipline e aprire il confronto tra le conoscenze e le opinioni dei docenti e quelle degli studenti.

In questa direzione il Ministero dell'Istruzione e il Comitato nazionale per la Bioetica hanno firmato un accordo impegnandosi a sviluppare iniziative comuni. Vorrei aggiungere che uno Stato fondato sulla libertà e il pluralismo non può farsi portatore di una sola etica, ma deve accrescere la consapevolezza e la capacità di ognuno di compiere le proprie scelte personali coniugando libertà e responsabilità.

Con la mappatura del genoma si sta attuando una vera e propria rivoluzione. L'Italia ha partecipato solo nella fase iniziale a queste ricerche. Perché e qual è l'attuale stato dei finanziamenti?

Che sia una rivoluzione non c'è dubbio. Il fatto di "conoscere noi stessi", o meglio ciò che di noi stessi ha radici essenzialmente biologiche, può svelare molti misteri della nostra vita e prospettare molti vantaggi pratici. L'Italia non ha partecipato solo nella fase iniziale al progetto genoma, infatti le ricerche in questo campo sono state notevoli. Solo da poco, però, il governo ha aumentato i finanziamenti e avviato un'opera di coordinamento.

Quali sono i rischi del sequenziamento del genoma? Alcuni hanno parlato di schedatura della vita.

Potrei rispondere: nessun rischio. La conoscenza in sé è tutta positiva. L'uso che se ne fa può essere negativo se porta a schedature, se implica un'appropriazione privata dei dati genetici, se apre la via a discriminazioni. Anche l'Organizzazione del Genoma Umano (HUGO) riconoscendo i rischi connessi alle possibili distorsioni dell'uso della conoscenza del genoma umano ha indicato quattro principi etici fondamentali: il riconoscimento che il genoma umano è parte di un "patrimonio" comune all'umanità; l'adesione alle norme internazionali sui Diritti dell'uomo, il rispetto per i valori, le tradizioni, la cultura e le integrità di chi è oggetto di ricerche genetiche, l'accettazione e la rivendicazione dei principi della dignità umana e della libertà. Tali princìpi sono stati sviluppati dal CNB nel documento "Progetto Genoma Umano" (1994) e più recentemente nel parere "Orientamenti bioetici per i test genetici" (1999).

L' Inghilterra ha deciso di brevettare gli embrioni umani clonati fino allo stadio rappresentato da 140 cellule. Cosa ne pensa?

Sono contrarissimo a questo, come ad ogni altro brevetto che riguardi non già le tecniche e gli strumenti bensì la vita umana in sé, il corpo nelle sue diverse parti e nelle diverse fasi del suo sviluppo. Alla reificazione e alla commerciabilità del corpo umano e delle sue parti ho dedicato il capitolo "Il corpo umano: dalla schiavitù al biomercato", de mio ultimo libro, Bioetica quotidiana. I brevetti sono uno strumento di tutela giuridica della creatività umana. Tuttavia la tendenza attuale è quella di cancellare ogni distinzione tra l'invenzione di una procedura o di una tecnica e la scoperta che consegue da una conoscenza. La mancanza di tale distinzione fa sì che i geni umani in quanto tali rischino di diventare una fonte di lucro.

Di qui il potere delle case farmaceutiche….

Si, non è mai stato così grande. Questo potere condiziona pesantemente le decisioni dei governi e delle istituzioni internazionali, tende ad inglobare nel sistema dei brevetti ogni conoscenza, compresa quella sul Dna umano, e impone per i farmaci prezzi inaccessibili a gran parte del mondo. Voglio ricordare che Sabin rifiutò di brevettare il suo vaccino contro la poliomielite, e che questo consentì ovunque di ridurre e di debellare la malattia. Oggi molti scienziati, oltre che alla ricerca scientifica, pensano subito alla ricerca del profitto.

Quali sono i problemi più impellenti che il Comitato nazionale di bioetica sta affrontando?

Già dall'ottobre 2000 avevamo approvato un documento sull'impiego terapeutico delle cellule staminali, che, di fatto, anticipava le conclusioni cui è giunta poi la Commissione Dulbecco, istituita dal ministro della Sanità. Argomento delicato e attualissimo dopo le decisioni del governo Blair. Abbiamo affrontato recentemente anche il tema della salute mentale, con un vero e proprio decalogo sui diritti del paziente e attualmente vari gruppi, composti da membri del CNB e da consulenti esterni, stanno lavorando su "Equità e salute", "Scopi, limiti e rischi della medicina", "Bioetica interculturale", "Fine vita: problemi bioetici", "Violenza, media e infanzia". Infine un gruppo misto con il Comitato nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie si sta occupando di biotecnologie.

Può esistere una bioetica comune tra i vari Stati, cioè un minimo di regole da rispettare, nonostante le differenze culturali?

Il problema si pone nel rapporto fra gli Stati, ma anche all'interno di ogni nazione o comunità. Le "regole morali", come e più di quelle che si sono già consolidate nei secoli intorno ai problemi della vita, devono corrispondere contemporaneamente a due criteri. Uno è consentire e facilitare scelte consapevoli e autonome delle persone, essere cioè basate sul rispetto del pluralismo. L'altro è creare un "senso comune" liberamente condiviso, in modo che la società non sia frantumata dall'impatto della scienza in comunità morali, non comunicanti tra loro. Se ciò accadesse, la convivenza sarebbe resa difficile e gli individui potrebbero divenire preda di fondamentalismi (antiscientifici, religiosi, ma anche monetari) o di poteri forti, estranei ai loro interessi.

La clonazione ha posto molti problemi di natura etica. L'utilizzo di cellule staminali per finalità terapeutiche ha diviso il mondo cattolico. Qual è la posizione del Comitato?

Bisogna distinguere due aspetti della clonazione. Quella di esseri umani, consistente nella riproduzione di individui geneticamente predeterminati, è condannata quasi da tutti. Nel protocollo sulla clonazione umana del Consiglio d'Europa del gennaio '98, è proibita la creazione di un essere umano geneticamente identico a un altro, sia esso vivente, che morto. E non è ammissibile nessuna deroga. Per quel che riguarda la clonazione di cellule embrionali per finalità terapeutiche anche all'interno del Comitato c'è stato un ampio dibattito che ha evidenziato una differenziazione delle posizioni etiche.

Ci sono regole per i centri di procreazione assistita? L'Italia è in ritardo su questi problemi?

Com'è noto in Italia in questa legislatura c'è stato un aspro dibattito politico intorno a un testo di legge sulla fecondazione assistita che però non è stato approvato dal Parlamento. Il risultato paradossale oggi è che, per imporre molti divieti e mettere troppi steccati, siamo in una situazione di totale mancanza di regole. C'è una disparità tra centri pubblici in cui è ammessa la sola fecondazione omologa e centri privati dove, a pagamento, si può ottenere anche quella eterologa.

Ognuno può fare ciò che vuole, tranne la clonazione umana: divieto imposto con un'ordinanza reiterata ogni sei mesi dal ministero della sanità. In attesa di una legge sarebbe però importante un regolamento che imponesse ai centri già catalogati che si occupano di procreazione assistita, garanzie di qualità tecniche e scientifiche, comportamenti conformi su tutto il territorio nazionale e norme a tutela della salute delle donne. E il ministro Veronesi si è già impegnato in questa direzione.

Uno dei temi più discussi: lo statuto dell'embrione.

Ritengo che l'embrione non sia soltanto un grumo di cellule, è un progetto unico e irripetibile di vita umana. Come tale merita rispetto. È perciò che la Convenzione bioetica europea ha vietato di creare embrioni a scopo di ricerca. Sono però restio a ritenere che l'embrione sia già persona. La questione è molto complessa sul piano sia scientifico che filosofico, e può diventare rischioso attribuire "diritti positivi" all'ovulo fecondato, pari a quelli garantiti a chi nasce.

Qual è il limite al principio di libertà della scienza?

Alla scienza non deve essere posto alcun limite. La normativa che la riguarda, soprattutto nel campo umano, non ha, infatti, posto dei limiti alla scienza in sé, ma a monte (e cioè alla scelta dei soggetti e ai metodi della ricerca) e a valle (agli orientamenti e alla selezione delle applicazioni) della ricerca scientifica. Spesso le regole sono percepite come restrizioni che frenano la scienza, mentre in realtà essa non ha mai avuto così ampia legittimazione morale agli occhi dei cittadini come da quando riconosce l'esigenza di trasparenza, di controllo e di rispetto degli esseri umani e di tutti i viventi.

Le biotecnologie (anche in campo alimentare) possono offrire grandi opportunità, ma lo sviluppo al di fuori di un controllo pubblico può essere pericoloso?

Le biotecnologie rappresentano una grande innovazione nel rapporto con la natura e con il nostro corpo. Tuttavia possono dare frutti molto differenti in base alle concrete applicazioni, agli interessi, alle finalità e agli effetti sull'uomo, sugli altri viventi e sull'ambiente. Proprio in quanto si tratta di bilanciare valutazioni, criteri e considerazioni di ordine differente, come efficienza economica, giustizia sociale e tutela dei diritti individuali, è necessario prevedere la definizione di regole giuridiche ed etiche da parte di organismi pubblici che possano rappresentare tutti gli "interessi" in gioco.

Lei distingue tra bioetica quotidiana e bioetica di frontiera. Ci può spiegare questi due concetti?

Insieme con la bioetica d"attualità", quella per intenderci provocata dall'enorme progresso della scienza e della tecnologia (procreazione assistita, trapianti d'organo, sopravvivenza artificiale, creazione di nuove specie viventi) esiste una bioetica "antica" e più vicina all'esperienza delle persone nella vita di tutti i giorni, nella cura della salute e del corpo. Si tratta dell'insieme di riflessioni morali sulla nascita, sul rapporto fra gli uomini e fra questi e gli animali, sul trattamento dei malati, sulla morte.

Le nuove frontiere della scienza quanto incidono nella vita di ciascuno di noi?

Incidono già oggi in modo notevole: sulla vita pratica; su nascita, malattia e morte, sul modo di pensare e di vedere il mondo, sulle nostre scelte morali. Le nuove frontiere della scienza incideranno sempre di più, con ritmo accelerato. Il dramma più grave è che gran parte del genere umano è sempre più esclusa dai vantaggi del progresso scientifico. In assenza di un'azione politica conseguente, questa situazione rischia di accrescere le diseguaglianze nel mondo.

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