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Un poeta anarchico



Francesco Moroni



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Questo articolo è apparso su Wema .

Se i morti di Spoon River dormono tutti sulla collina, l'anima salva di Fabrizio De André riposa senz'altro sul fondo del Sand Creek, in Via del Campo, nel torrente in cui scivolò Marinella, in tutti quei posti in cui "Faber" abbia restituito dignità alle puttane, ai suicidi, ai transessuali, ai drogati, ai diseredati che affollano il palcoscenico della commedia umana. C'è la vita, nelle sue poesie in musica, la cruda materialità dell'esistenza, dominata dai capricci del destino. Storie, ritratti, avventure e tragedie, a comporre il mosaico della vita, in cui ogni piccola tessera è un frammento di verità, che De André illustrava con commossa partecipazione. Non era un atteggiamento morboso, il suo, né il compiaciuto sguardo che da intellettuale borghese di ottima famiglia poteva gettare sul mondo degli ultimi. No, in quei personaggi balordi, marginali, sbandati e poveri cristi il cantautore genovese ritrovava il segno dell'autenticità ("Se tu penserai, se giudicherai/ da buon borghese/ li condannerai a cinquemila anni, più le spese/ ma se capirai, se li cercherai/ fino in fondo/ se non sono gigli/ son pur sempre figli/ vittime di questo mondo", La città vecchia).


A due anni dalla sua scomparsa, resta enorme il debito di riconoscenza verso un artista che ha umanizzato le vicende di Gesù, ispirandosi ai Vangeli apocrifi (La buona novella), ha trasportato nell'attualità l'umanità dolente di Spoon River (Non al denaro, non all'amore, né al cielo), ha interpretato con feroce ed amaro sarcasmo la fine delle utopie e la vittoria dell'establishment e del consumismo capitalista (Le nuvole). Il Nostro è riuscito a coniugare musica popolare e testi colti, densi di riferimenti ai suoi modelli letterari e musicali: Brassens, Cohen, Dylan, passando per i primi "angry young men" della storia della poesia, François Villon e Cecco Angiolieri. Le sue storie, tra madrigali, ballate, tarantelle, valzer ed ironiche giave, parlano di antimilitarismo (La guerra di Piero, La ballata dell'eroe), amor profano (Bocca di rosa, Via del Campo), infanzie strappate, minoranze perseguitate, re sporcaccioni, giudici nani e spietati, beghine pavide, bombaroli maldestri, pastori solitari.


Refrattario com'era ad ogni tipo di celebrazione, De André ha sempre rifiutato l'excensus honorum; da anarchico individualista, steineriano, è stato comunque il cantore degli altri, dei "diversi", di tutti coloro che, a carissimo prezzo, scontano la morte vivendo. In un'epoca di cattivi maestri, è stato un ottimo maestro, che ci ha insegnato a ragionare con la nostra testa, ricordandoci che è la mancanza di pietas, umana e civile, che trasforma la vita in un cammino di morte; non quella fisica, ma quello scarso attaccamento alla vita che caratterizza troppi nostri simili. Non sempre è stato capito, De André, per certe scelte solo apparentemente azzardate, come quella di mettere in scena la storia della predicazione di Cristo all'epoca della contestazione studentesca (poi ripresa nella Canzone del Maggio qualche anno dopo), o di trasportare nella Barbagia la persecuzione e la solitudine degli indiani d'America, suscitando scandalo tra i benpensanti borghesucci per aver detto, dopo l'amara esperienza del rapimento, che i veri prigionieri erano i suoi sequestratori.


Ha saputo circondarsi di meravigliosi collaboratori: De Gregori, Fossati, Bubola, Pagani, Piovani. Grazie a loro, ha creato felici alchimie compositive, ampliando il suo orizzonte poetico, polemico e musicale. Con De Gregori e Bubola si orienta verso una scrittura metaforica e visionaria, con Pagani riscopre pasolinianamente il dialetto, lingua dell'angiporto e dei caruggi, e realizza un album di musica etnica (Creuza de ma) ricco di suggestioni e sonorità mediterranee. Le nuvole è un disco amaro, che segna la fine delle utopie e l'avvento della grande normalizzazione, descritta con il furore visionario del moralista civile ne La domenica delle salme; Ottocento e Don Raffaè, sotto una veste musicale popolare e grottesca, sono due dichiarazioni di sconfitta, che tradiscono la sua insofferenza per il mito dell'efficienza, della professionalità, dell'iperproduttività, lui, Oblomov di fine millennio, che riusciva, con la sua intelligenza sorniona, a cantare civilmente l'odio per un tempo incivile. Anime salve è la chiusura del cerchio, il raggiungimento di una totale maturità poetica e musicale. I temi sono quelli tradizionali: gli emarginati, i transessuali (Prinçesa), i migranti (Khorakhanè). E' un disco che tronca ogni possibile discussione sui confini tra canzone d'autore e poesia: possiamo leggere i testi senza la musica, ma la musica trasforma le storie di questo sublime testamento artistico in qualcosa di più ricco ed intenso. Fino alla piccola sinfonia che chiude Smisurata preghiera (da liriche di Alvaro Mutis), innalzando al cielo l'estrema invocazione di pietà: "Ricorda, Signore, questi servi disobbedienti/ alle leggi del branco/ non dimenticare il loro volto/ che dopo tanto sbandare/ è appena giusto che la fortuna li aiuti/ come una svista/ come un'anomalia/ come una distrazione/ come un dovere".

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Discografia essenziale:

Volume 1 (1967); Tutti morimmo a stento (1968); La buona novella (1970); Non al denaro, non all'amore, né al cielo (1971); Storia di un impiegato (1973); Volume VIII (1975); Rimini (1978); Fabrizio De André (1981); Creuza de ma (1984); Fabrizio De André (raccolta, 1986); Le nuvole (1990); Concerti (live, 1991); Anime salve (1996); De André in concerto (live,1999).



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