I
lettori scrivono
Da: libero <claudio-resta@libero.it>
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Data: Venerdì, 28 luglio 2000 17:37
Oggetto: Scuola
pubblica versus scuola privata
L'articolo "Soldi pubblici per creare offerta privata?" di
Nadia Urbinati è una delle più moderate ed equilibrate
rappresentazioni delle ragioni della parte che vuole opporsi al
finanziamento pubblico della scuola privata. Del resto, anche se mi
pare che l'autrice abbia nobilmente glissato sul particolare, la
stessa Costituzione, come tutti sanno, sancisce, appunto questo
principio, cioé che il finanziamento alla scuola privata debba
avvenire senza oneri per lo Stato. E, a parte questo particolare
imbarazzante per tutti coloro i quali hanno un'idea di libertà più
ampia di quella prevista dalla Costituzione, anch'io sarei propenso a
convenire con l'autrice sui punti fondamentali del suo discorso
piuttosto che adeguarmi passivamente al dettato costituzionale come
sarebbe tuttavia imperativo fino a quando uno "jure" più
avanzato venga "condito"(mi si passi il latinismo).
Ma..., per mia disgrazia, sono un uomo di visioni, utopie e financo
profezie. Così, mentre riconosco le ragioni (valide) dell'autrice,
nello stesso le rimprovero di fermarsi all'esistente per fotografarlo
e fissarlo nel tempo senza voler aprire la porta di altri mondi
possibili, cioé, quelli che si potrebbero dischiudere ed inverare se
si trovasse il coraggio di cambiare la legge e la realtà.
Certo l'esperimento è rischioso come diceva quel tale ma vigilando
con attenzione e sorretti da una fede nelle capacità umane che
ritengo necessaria alla vita stessa si potrebbe far nascere una scuola
privata che ancora non c'é. Anzi parafrasando Che Guevara dieci,
cento, mille scuole private; perché questo è punto: la necessità
della pluralità perché vi sia autentico pluralismo. Una competizione
non tanto economica quanto di qualità.
E una varietà sostanziale tanto di forme che di contenuti. E abolire
il valore legale del titolo di studio che, del resto sopravvive già
oggi come una ipocrita convenzione, essendo già, di fatto, vanificato
nella sostanza. O forse si vuol sostenere che chi consegue il diploma
dell'esame di Stato abbia ricevuto ovunque una preparazione omogenea
ed equivalente come se già non vi fossero nell'ambito,si badi delle
scuole statali, scuole (e professori) mediocri ma anche scuole (e
professori) eccellenti. E' necessario riconoscere l'ineluttabilità
della disomogeneità tanto dell'istituzione educativa quanto della
docenza, altrimenti siamo fuori dal mondo, dalla realtà o dalla
verità.
Chi obiettasse che, in fondo con l'autonomia scolastica, si va in
questa direzione, non mi trova d'accordo perché solo in teoria ed in
un senso velleitario si può credere che questa riforma imposta
dall'alto e da un centro lontano anzi remoto, che pretenderebbe di
trasformare chi per cultura e prassi oprativa è un burocrate (cioé
il preside) come per magia in un manager,in un homo oeconomicus; possa
dare ad una scuola tuttora organica ad un sistema statale e quindi
gigantesco, burocratico, ordinato gerarchicamente e rigidamente
l'agilità e l'autonomia che solo una azienda piccola ed indipendente
può avere! Ciò a cui penso non ha nulla a che vedere con le scuole
religiose tradizionali organiche ad un'istituzione che non è lo Stato
ma la Chiesa. Absit iniuria verbis. Semplicemente una piccola nuova
azienda di nuovo tipo: una scuola privata, magari in forma cooperativa
oppure no.
Claudio Resta
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