Un Papa che divide, anche
i cattolici
Antonio Carioti
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"Ministro di tutte le menzogne", "metro cubo di
letame", "canchero nel cuore d'Italia": ecco tre
coloriti epiteti riservati da Giuseppe Garibaldi a Pio IX, ultimo
pontefice monarca della storia. Dall'altra parte della barricata si
rispondeva per le rime: "masnadiero di strada" era
l'espressione più cortese usata dalla "Civiltà Cattolica",
prestigioso organo dei gesuiti, per definire il generale in camicia
rossa. La stessa rivista non nascondeva la sua soddisfazione per la
morte del conte di Cavour, nella quale scorgeva "l'impronta di
una vendetta celeste". E bollava tutta la civiltà liberale come
"la vera prostituta dell'Apocalisse, adoratrice nefanda della
gran bestia tartarea".
Ci voleva la beatificazione di Pio IX, con tutte le polemiche che ne
sono seguite, per riaprire un capitolo di storia poco frequentato,
oggi per molti versi imbarazzante. Canonizzare il Papa che aveva
scomunicato il Risorgimento e condannato nel "Sillabo" tutte
le libertà moderne, imponendo poi ai credenti di sabotare le
istituzioni dell'Italia unita, è parso a molti laici una scelta
inutilmente provocatoria. E non hanno gradito neppure gli ebrei,
ricordando l'episodio del bambino israelita Edgardo Mortara, sottratto
alla famiglia dagli sbirri dell'ultimo Papa re, per essere educato
alla fede cattolica, dopo che una domestica l'aveva clandestinamente
battezzato.

Per giunta, alla vigilia dell'apoteosi di Pio IX, il Meeting riminese
di Comunione e Liberazione ha offerto ai suoi visitatori una mostra in
cui l'Unità d'Italia veniva presentata come il frutto di un
delittuoso complotto massonico, ordito da loschi personaggi, con la
complicità della potenza protestante britannica, per distruggere
l'anima religiosa del nostro popolo. Toni che hanno suscitato
l'indignazione di firme autorevoli come Indro Montanelli e Mario
Pirani. Perfino il ciellino di ferro Antonio Socci, strenuo avversario
di ogni laicismo, ha preferito dissociarsi dalle colonne del
"Foglio".
Poi, la sera prima della cerimonia di San Pietro, due adunate di segno
opposto hanno animato la notte romana, quasi a segnare il ritorno di
antichi steccati. Da una parte mazziniani, anticlericali, ebrei,
protestanti, comunità cristiane di base hanno espresso il loro
dissenso nel luogo dove due patrioti furono ghigliottinati, nel 1868,
per aver compiuto un attentato contro le truppe pontificie. Dall'altra
la nobiltà nera della capitale e i tradizionalisti cattolici hanno
celebrato Pio IX con una veglia di preghiera.
Eppure si ha la netta impressione che il vero fulcro della faccenda
non fosse questo. La ferita aperta nel 1870, con la cancellazione
dello Stato pontificio, è stata sanata in tre tappe da lungo tempo:
prima la Conciliazione del 1929, voluta dal fascismo; poi
l'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, con l'assenso
del Pci togliattiano, nel 1947; infine il nuovo Concordato del 1984,
siglato da Bettino Craxi. Anche se non mancano motivi di contrasto tra
laici e cattolici, la "questione romana" è definitivamente
chiusa
Come negare del resto che la perdita del potere temporale abbia
giovato alla Santa Sede? Godrebbe oggi il Papa di tanto prestigio se
dovesse governare un proprio Stato, che avrebbe necessariamente
caratteri assolutistici e teocratici? Non è molto più conveniente,
per il Vaticano, approfittare dell'assoluta disponibilità mostrata
dalle autorità italiane e romane, fin troppo prone ai suoi voleri? Le
vicende del Giubileo in corso non lasciano in proposito alcun dubbio.

Insomma, le ragioni della beatificazione di Pio IX non vanno certo
ricercate in una presunta volontà pontificia di delegittimare il
Risorgimento. Infatti Giovanni Paolo II ha tenuto a distinguere tra la
statura spirituale del suo predecessore e le scelte politiche da lui
compiute. I criteri in base ai quali la Chiesa eleva una persona
all'onore degli altari sono ovviamente ben diversi da quelli su cui si
fonda il giudizio degli storici.
Per spiegare quanto è accaduto bisogna piuttosto guardare ai delicati
equilibri interni al vertice ecclesiastico, partendo dal dato,
apparentemente paradossale, dell'abbinamento tra Pio IX e Giovanni
XXIII. Canonizzare insieme il Papa della chiusura e quello
dell'apertura nei confronti della modernità significa mantenere un
bilanciamento tra progressisti e conservatori. E serve soprattutto ad
affermare una forte continuità tra il Concilio Vaticano I, voluto da
Pio IX per sancire l'infallibilità papale in materia di fede, e il
Concilio Vaticano II, indetto da Giovanni XXIII per aggiornare il
messaggio della Chiesa.
Illuminante, da questo punto di vista, il commento critico di Alberto
Melloni, uno studioso cattolico di tendenza progressista, comparso sul
"Corriere della Sera" il 3 settembre. A suo avviso la
simultanea canonizzazione dei due pontefici è stata
"un'astuzia" per incastrare tra loro i due concilii e negare
così l'identità specifica e la portata innovativa del Vaticano II.
Aggiunge tuttavia Melloni che "circoscrivere papa Giovanni e il
suo concilio col beato Mastai [Pio IX] è facile come incartare la
basilica di San Pietro con un foglio di giornale. La beatificazione
roncalliana si stacca, perché la vita e le linee del suo pontificato
stanno nel futuro".
Da queste parole polemiche si ricava la sensazione che, se il giudizio
su Pio IX può ancora far litigare laici e cattolici sul passato, il
significato della sua beatificazione nel contesto attuale riguarda un
conflitto, molto aspro, che divide la Chiesa al suo interno. E sul
quale, come ha notato Marco Politi di "Repubblica", si
giocheranno probabilmente le sorti del conclave da cui uscirà il
successore di Karol Wojtyla.
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