Evoluzionismo e Società   
         
        Stephen J. Gould con Piero Corsi   
         
          
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        Evoluzionismo e Società 
        Chi è Stephen J. Gould 
         
         
        Questa intervista fa parte dellEnciclopedia multimediale delle scienze
        filosofiche, unopera realizzata da Rai-educational in collaborazione con
        lIstituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dellUnesco,
        del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio
        dEuropa. 
         
        L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme despressione
        e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel
        suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea. 
         
        Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it   
         
        Qual è l'effettivo contributo che la paleontologia ha dato alla biologia evolutiva? E
        quali sono i legami fra la paleontologia e la biologia evolutiva? 
         
        Darwin considerava i documenti fossili più come un impaccio che come un aiuto per la sua
        teoria dell'evoluzione. Ne L'origine delle specie ci sono due capitoli dedicati alla
        geologia, ma si trovano in quella sezione del libro che parla delle difficoltà di
        accettare la selezione naturale e l'evoluzione. Ora, il problema principale con i
        documenti fossili è costituito dalla loro estrema imperfezione. Al punto che, nonostante
        sia certamente visibile uno scenario della vita che si trasforma, molte connessioni non si
        riescono a scorgere. Darwin ha contribuito a diffondere un argomento classico che spiega
        questo fatto: i documenti fossili sono così imperfetti che una transizione lineare e
        continua attraverso un migliaio di stadi intermedi viene registrata sotto forma di
        pacchetti discontinui. Perciò, secondo una metafora prediletta, la testimonianza fossile
        è come un romanzo di cui ci restano poche pagine; se di 1000 gradini, abbiamo il gradino
        1, abbiamo perso i 999 intermedi, e passiamo direttamente al gradino 1000, è evidente che
        l'apparenza di un cambiamento improvviso deriva dal fatto che si sono perse le forme
        intermedie.  
         
        C'è, però, un'altra argomentazione che ha a che fare con un errore rilevante imputabile
        allo stesso Darwin. Egli era molto legato alla nozione di gradualismo impercettibile,
        lento e continuo. Sosteneva che bisogna collegare ogni progenitore e ogni discendente
        attraverso quelli che chiamava gli stadi intermedi più sottili e progressivi. Oggi,
        tuttavia, si è raggiunta la convinzione che l'evoluzione non sempre funziona in questo
        modo. Rispetto alla scala dei tempi umani può darsi che ci sia quella continuità, ma le
        cose stanno diversamente se si suppone una transizione attraverso stadi intermedi su una
        scala di un migliaio di anni - una distanza che, nel linguaggio geologico, rappresenta un
        istante, un secondo, un intervallo di tempo praticamente non misurabile: ciò che accade
        in mille anni finisce su un singolo strato geologico, senza distribuirsi su livelli
        geologici diversi. Perciò, se si prende una transizione lineare della durata di un
        migliaio di anni, la sua manifestazione geologica sarà un salto improvviso. La maggior
        parte di questi salti apparentemente improvvisi sono quindi in realtà un riflesso del
        modo in cui avviene l'evoluzione, non dell'imperfezione dei documenti fossili.  
         
        Sono del parere che Darwin confuse la difesa dell'evoluzione con il fenomeno del
        cambiamento lento e graduale. Ciononostante, anche tenendo conto di questi due argomenti -
        in primo luogo che i documenti fossili sono molto imperfetti e, in secondo luogo, che la
        velocità del cambiamento evolutivo è molto variabile e spesso così rapida che non può
        essere risolta su una scala temporale geologica -, i documenti fossili restano ancora
        un'importante fonte di sostegno per l'evoluzione perché, dopo tutto, sono la sola
        testimonianza diretta che abbiamo dell'effettivo scenario dei cambiamenti che
        rappresentano la storia della vita. Vorrei citare un esempio: si fa un gran parlare oggi
        della possibilità di ricostruire le sequenze evolutive misurando le differenze nel DNA
        fra organismi moderni. In effetti, si può misurare il grado di differenza di DNA, la
        cosiddetta differenza molecolare, fra uno scimpanzè e un uomo e ricavarne la probabile
        distanza di tempo dall'antenato comune, basata su indici di mutamento delle due forme che
        risultano andare dai 6 agli 8 milioni di anni. Tuttavia, quella prova molecolare non
        potrà mai dirci a chi assomigli l'antenato, in quanto ci sarebbe di nuovo bisogno della
        testimonianza diretta dei fossili. I fossili sono dunque il solo archivio disponibile
        degli eventi effettivi della storia della vita. 
         
        Se, contrariamente a quanto pensava Darwin, le forme di vita possono variare piuttosto
        rapidamente, quale teoria, oggi, è in grado di rendere conto di questo fatto? 
         
        Thomas Henry Huxley, il più importante sostenitore di Darwin, comprese l'esistenza di
        questo problema nella formulazione darwiniana: egli riteneva che Darwin avesse fatto
        troppo affidamento sulla gradualità del cambiamento per difendere l'evoluzione in
        generale. Subito dopo aver letto L'origine delle specie - di cui aveva ricevuto una copia
        in anticipo - Huxley scrisse una lettera a Darwin in cui di essersi "gravato di una
        difficoltà non necessaria adottando così senza riserve Natura non facit saltum".
        Huxley stava avvertendo Darwin del rischio di andare incontro a grosse difficoltà nel
        convincere la gente dell'ipotesi della selezione naturale. Il problema era quello di
        legare tale ipotesi a una credenza non necessaria e falsa nell'impercettibile gradualismo
        di lungo periodo del cambiamento. Nel 1972, io e Niles Eldredge proponemmo una teoria che
        chiamammo degli "equilibri punteggiati" (punctuated). 
         
        In base a tale teoria, sostenemmo che in effetti, sebbene il cambiamento sia continuo
        rispetto alla scala della nostra vita (cioè da una generazione all'altra), le concezioni
        correnti sulla natura della speciazione e la teoria evoluzionistica suggeriscono una
        visione più articolata: infatti, poiché le nuove specie sorgono di solito dalle
        scissioni di piccole popolazioni alla periferia della zona abitata dal ceppo d'origine, la
        maggior parte delle specie ha avuto origine in piccole popolazioni isolate su una scala
        temporale che, anche se lunga rispetto alla durata delle nostre vite, sarebbe istantanea
        nella percezione geologica. Questo fa sì che la maggior parte delle specie finisca per
        comparire improvvisamente nei documenti fossili. A mio parere molti paleontologi, pur non
        avendo accolto del tutto questa teoria, riconoscono almeno che si tratta di un fenomeno
        che si verifica molto di frequente nei documenti fossili. Ritengo quindi che sia stato un
        argomento vincente e che abbia aiutato a risolvere molti enigmi dei documenti fossili che
        risalgono fino a Darwin. 
         
        Si può dire che, in pratica, lei accoglie le idee della moderna sintesi evoluzionista
        su come nascono le nuove specie, ma sottolinea nello stesso tempo che questa forma di
        speciazione avviene in periodi di tempo determinati e isolati l'uno dall'altro. E' così? 
         
        Devo dire che, per quel che rigiuarda le modalità di speciazione nel tempo ecologico,
        io concordo con la concezione di Ernst Mayr. In effetti, la teoria degli equilibri
        punteggiati non fa che prendere la teoria di Mayr e tradurla opportunamente nella
        prospettiva geologica. L'errore che si commetteva in passato consisteva nel non tener
        conto dell'effetto di scala. Di primo acchitto, sembrava che bastasse modificare la teoria
        tradizionale interna alla moderna teoria della speciazione (che parlava di una speciazione
        lenta in termini umani - migliaia di anni), traducendola sul piano geologico in
        trasformazioni lente e continue: questo approccio si è rivelato insostenibile. Occorre,
        per di più, tener conto che lo spazio temporale di alcune migliaia di anni in quasi tutte
        le condizioni geologiche costituisce un momento, un singolo strato geologico: è una
        transizione irrisolvibile. La novità del modello degli equilibri punteggiati, a mio
        avviso, consisteva nell'operare una traduzione corretta della teoria ordinaria della
        specie nel tempo geologico.  
         
        Ora, una volta fatto questo, ne scaturiscono alcune implicazioni teoriche radicali
        riguardanti la comprensione dei modelli evoluzionisti di lungo periodo all'interno della
        concezione uniformista o "estrapolazionista" di Darwin: secondo tale concezione,
        qualunque cosa accada all'interno di una popolazione in un dato momento può essere
        facilmente estrapolato dal tempo per ottenere delle tendenze. In base a un'affermazione di
        Darwin, a me molto cara, la selezione naturale esamina ogni giorno e ogni ora tutte le
        variazioni, seleziona quelle buone ed elimina quelle cattive, e noi non vediamo i
        risultati del suo lavoro fino a quando la lancetta del tempo non ha percorso un lungo
        intervallo di anni. Per Darwin è molto importante che una tendenza evolutiva sia vista
        come l'accumulazione lenta e continua di un semplice cambiamento. Ma è evidente che se la
        teoria degli equilibri punteggiati è vera non si può spiegare una tendenza in questo
        modo.  
         
        Una tendenza non è una popolazione che lentamente e progressivamente si adatta attraverso
        immensi periodi di tempo. Una tendenza è piuttosto il successo differenziale di certi
        tipi di eventi di speciazione istantanei e, pertanto, va spiegata a partire dal successo
        differenziale di alcune specie nella speciazione, ossia nel loro ramificarsi più spesso
        di altre. È una tesi molto diversa da quella del perfezionamento adattivo della forma del
        corpo. Se una tendenza è potenziata dal successo nella speciazione, che cosa ha a che
        fare tutto ciò con la selezione naturale di Darwin all'interno delle popolazioni? Non
        molto, credo. Ed è questa la tesi più radicale suggerita dal modello degli equilibri
        punteggiati. 
         
        Le scoperte dei fossili provano che i tipi di vita, o almeno la morfologia -
        l'organizzazione principale, come si diceva nel XIX secolo - mostrano una complessità che
        pone dei problemi nel razionalizzare quello che oggi conosciamo sulla vita? 
         
        E' vero. La concezione tradizionale è legata a un forte pregiudizio, tipicamente
        occidentale, consistente nel vedere la storia della vita come una crescita progressiva di
        complessità.. Secondo il punto di vista tradizionale, si comincia con alcune stirpi che
        rappresentano i precursori primitivi di forme che verranno più tardi e la storia della
        vita si espande poi lentamente verso l'alto e verso l'esterno, crescendo in complessità e
        diversità di disegno. Ora, da quel punto di vista ci si aspetterebbe che le prime
        creature pluricellulari siano semplici e poche, e rappresentino solo gli antenati di
        gruppi che nasceranno più tardi. La prima storia della vita multicellulare è davvero
        peculiare e non risponde affatto a quella aspettativa: le scoperte fatte a questo riguardo
        sono state fra le cose più eccitanti della mia professione di paleontologo. Innanzitutto
        la vita è molto vecchia: sulla superficie terrestre, essa ha tre miliardi e mezzo di
        anni. Tuttavia, per i cinque sesti di quel tempo abbiamo a che fare solo con la storia di
        creature monocellulari e di alcune alghe pluricellulari.  
         
        Gli animali pluricellulari, invece, cominciarono ad emergere all'incirca solo
        cinquecentocinquanta milioni di anni fa: quando emersero lo fecero con notevole velocità,
        nello spazio di quei pochi milioni di anni che caratterizzano ciò che i geologi chiamano
        "esplosione cambriana", durante la quale apparvero - come sappiamo dai documenti
        fossili - tutti i disegni degli organismi moderni. Grazie a una fortunata conservazione di
        fossili di molluschi, rinvenuti principalmente in una famosa località chiamata Burgess
        Shale, nel Canada occidentale, siamo a conoscenza del fatto che la gamma di diversità
        anatomiche riscontrate in questi primi organismi pluricellulari è molto più ampia di
        quanto si sia mai creduto. È esattamente il contrario di quanto comunemente pensiamo. 
         
        Mi sembra di capire che, mentre un certo pregiudizio tradizionale assume che le prime
        forme debbano essere dei semplici e primitivi precursori, in realtà, la documentazione
        fossile ha mostrato che i primi animali pluricellulari, sebbene non includano molte
        specie, abbracciano una gamma di diversità anatomiche molto più grande di quella
        mostrata dagli organismi di oggi. E' così? 
         
        Direi di sì. Oggi vi sono molte più specie, ma sono ordinate in pochi gruppi anatomici
        stereotipi. Un esempio: il principale gruppo di animali sulla terra, oggi, non è quello
        dei vertebrati e degli umani, ma quello degli insetti, o artropodi. Ci sono
        fondamentalmente tre gruppi di artropodi: il gruppo che comprende gli insetti, quello
        degli aracnidi, che comprende i ragni e gli scorpioni, e il gruppo degli artropodi marini
        chiamati crostacei - aragoste, gamberi e simili. Ora, nei fossili rinvenuti a Burgess
        Shale ci sono altri venti tipi di artropodi che non sono sopravvissuti; il che mostra come
        vi fosse una gamma di disegno assai più vasta a quel tempo. Oltre a quelli di Burgess
        Shale, vi sono poi dieci o quindici tipi di organismi talmente strani che non sappiamo
        come classificarli: essi, in definitiva, rappresentano gli esperimenti conclusi con un
        fallimento. Certo, si potrebbe dire che anche questi elementi suffraghino l'idea di
        progresso, nel senso che le tre specie sopravvissute erano ovviamente superiori ed erano
        destinate a sopravvivere, mentre le altre diciassette erano inferiori e furono chiaramente
        condannate.  
         
        Tuttavia, quanto più i paleontologi studiano queste creature tanto meno possono
        giustificare questa concezione. Non sembra, cioè, che quelli che perirono fossero in
        nessun senso "inferiori" - in nessuno dei significati che possiamo attribuire al
        termine. Quanto si è verificato sembra più simile ad una lotteria che al risultato di
        una selezione basato su un criterio di superiorità biologica. Forse ciascuno di questi
        venti gruppi acquistò un biglietto di una lotteria e i vincitori furono i più fortunati
        piuttosto che i meglio dotati: una simile ipotesi, ovviamente, significa che, se si
        potesse far scorrere di nuovo il nastro della vita a partire da quel periodo, ne verrebbe
        fuori ogni volta un insieme differente di sopravvissuti. In questo senso ogni stirpe
        presente oggi sulla terra non è il prevedibile risultato di una crescente complessità,
        ma il caso fortunato della sopravvivenza della sua stirpe. Ora, nel record fossile di
        Burgess Shale, troviamo il primo cordato, che è il primo membro del nostro phylum, un
        animale chiamato "pikaia". È una creatura molto poco appariscente, molto rara.
        Se allora ci fosse stato un paleontologo non credo che avrebbe predetto il suo successo;
        d'altra parte, se questo animale fosse morto, nessuno di noi vertebrati sarebbe qui oggi. 
         
        In effetti, la biologia evolutiva e la paleontologia non solo hanno mostrato la
        mancanza di un piano, ma le loro ricerche hanno anche dato al termine "caso" un
        significato più ampio. Lo stesso Darwin aveva avuto a che fare con il concetto di caso,
        ma probabilmente non si rese conto di quanti tipi di casualità vi fossero. 
         
        Questo è un punto importante. In effetti, il caso è un fenomeno molto importante in
        Darwin ma non ha niente a che fare con la direzione del cambiamento evolutivo. Nel
        darwinismo classico il caso è solo una fonte che fornisce un materiale rozzo. Il caso
        produce variazioni e poi la selezione naturale deve convertire quella variazione in
        cambiamento: il caso è materiale rozzo, ma il cambiamento è prodotto da un processo
        direzionale chiamato selezione naturale. Al contrario, la reinterpretazione dei fossili di
        Burgess Shale suggerisce anche che il caso è una componente importante nel determinare
        l'effettiva direzione di ciò che accade. Tutto ciò ci allontana parecchio dal
        darwinismo. 
         
        Non voglio dire che il successo di un certo phylum è accidentale in senso tecnico. Penso
        che i gruppi vivano o muoiano per delle ragioni, ma sono ragioni locali - ad esempio, lo
        stagno in cui vivono può prosciugarsi. Si tratta di ragioni locali non traducibili nella
        prevedibilità basata sulla complessiva superiorità del disegno anatomico. Un pesce, per
        quanto molto ben progettato, morirà se lo stagno si prosciuga: la selezione naturale può
        averlo reso il pesce migliore che ci sia mai stato, ma esso morirà comunque di fronte a
        una catastrofe ambientale. Ci sono quindi delle ragioni locali che spiegano perché alcuni
        scompaiono e altri sopravvivono, ma non penso che siano traducibili a un livello più alto
        nel successo prevedibile basato sulla superiorità anatomica o su un qualsiasi criterio
        standard di progresso convenzionale: è in questo senso che entra in gioco la fortuna.
        Ciò che accade ha un senso ed è il risultato finale della storia della vita; i gruppi
        che ora ci circondano sono creature ben disegnate le cui storie hanno certamente un senso,
        tuttavia non era affatto prevedibile dall'inizio quello che sarebbe accaduto e se si
        potesse riavvogere il nastro e azionarlo di nuovo si otterrebbe un risultato completamente
        diverso, che avrebbe anch'esso un senso. Questa è la natura della contingenza storica
        nella storia della vita. 
         
        Pertanto, ritengo che la paleontologia abbia molte affinità nei suoi modelli esplicativi
        con il lavoro degli storici. Non voglio dire che non vi sia un'ampia gamma di
        prevedibilità nella storia della vita: ad esempio, posso prevedere che, comunque vadano
        le cose, vi saranno predatori e prede, o animali bilateralmente simmetrici; e sono anche
        disposto ad ammettere che, ad esempio, l'occhio conoscerà ancora nuove forme di
        evoluzione, dal momento che ha già conosciuto venti o trenta forme di evoluzione. 
         
        Tutto questo riguarda il dominio della contingenza storica e in questo senso è vero che i
        nostri metodi esplicativi sono più vicini a quelli degli storici. Affermare che qualcosa
        è contingente non significa dire che è casuale o inesplicabile, significa semplicemente
        dire che ciò che accade è così irripetibilmente complesso, talmente dipendente da
        ciascuno dei mille stadi precedenti, ognuno dei quali si sarebbe potuto svolgere in modo
        diverso, che non è possibile prevederne il risultato sulla base di invariabili leggi di
        natura; si può solo conoscerne il risultato dalla serie effettiva degli stadi
        antecedenti. In altre parole, si può spiegare ma non prevedere, ma si può spiegare con
        un rigore maggiore di quello consentito in altre scienze, purché la testimonianza degli
        stadi storici precedenti sia sufficientemente completa. 
         
        Lei si è occupato molto della complessa questione riguardante le relazioni fra fattori
        ideologici e scienze della vita. In particolare, si è occupato del modo in cui è stata
        concettualizzata la storia del genere umano e di come idee apparentemente scientifiche
        sono state utilizzate nella sfera sociale. Può illustrarci alcuni elementi di questa
        riflessione? 
         
        Penso che il grado di incidenza dei fattori sociali nelle diverse scienze vari a seconda
        della forza con cui essi e i loro argomenti influiscono sulle nostre vite. Non credo che i
        dettagli della teoria atomica abbiano necessariamente una componente sociale, anche se i
        suoi risultati - come le bombe nucleari - ne hanno sicuramente una. Tuttavia ci sono certi
        campi, come la biologia evolutiva, che sono fortemente collegati ad argomenti che stanno
        molto a cuore agli esseri umani, la cui storia è sempre stata fortemente legata alle
        preferenze sociali, alle speranze psicologiche, alle pratiche culturali. Dopo tutto è la
        biologia evolutiva che tenta di rispondere, per quanto sia possibile alla scienza, a
        interrogativi quali: perché siamo qui? Perché ci comportiamo in questo modo? Qual è la
        base biologica o di altro genere delle nostre strutture sociali?  
         
        Nessuno può evitare di interessarsi alla biologia evolutiva. Il problema naturalmente
        risiede nel fatto che qualsiasi gruppo di persone sia al potere utilizzerà qualunque
        argomento disponibile per difendere e conservare il potere. Forse è vero che per la
        maggior parte della storia dell'Occidente gli argomenti preferiti sono stati quelli
        religiosi e filosofici, ma la scienza è stata un'istituzione così potente negli ultimi
        tre secoli che gli argomenti scientifici - spesso degli pseudo-argomenti - sono stati più
        volte utilizzati da coloro che erano al potere per conservare i loro privilegi.
        Probabilmente nel mio campo della biologia evolutiva il cattivo uso più diffuso di
        argomenti scientifici negli ultimi due secoli è stato il razzismo "scientifico"
        in un'ampia gamma di varietà, dalle giustificazioni utilizzate dalle potenze europee per
        l'espansione coloniale nel diciannovesimo secolo all'evento più odioso della recente
        storia umana, il tentativo di Hitler di annientare un intero popolo, quello ebraico,
        considerato inferiore e pericoloso. Sfortunatamente è storia vera e non solo un argomento
        accademico: chi aveva il potere si compiaceva di sostenere di averlo in virtù della sua
        innata superiorità, mentre coloro su cui il potere veniva esercitato ne erano privi - si
        sosteneva - a causa di un'inferiorità biologica. E questo argomento è stato utilizzato
        in molte sfere: contro le razze nell'espansione coloniale, contro le donne nei pregiudizi
        sessuali della cultura occidentale, contro i gruppi etnici e in alcune rivolte contro
        l'immigrazione. 
         
        Quali sono, a Suo avviso, gli aspetti della prospettiva tradizionale darwiniana che
        hanno bisogno di essere rivisti o ampliati? 
         
        I problemi principali con il darwinismo sono tre. Iin primo luogo, c'è la sua insistenza
        sul fatto che la selezione naturale funziona su organismi che lottano per il successo
        riproduttivo. Credo che oggi comprendiamo che non è così evidente che la selezione operi
        su organismi: ci sono molte unità e gerarchie in natura. Ci sono i geni, ci sono le
        popolazioni, le specie, e la selezione naturale può operare su tutte queste unità. Non
        è vero, dunque, che tutte le selezioni operino su organismi, giacché la selezione
        naturale può funzionare su una varietà di livelli. La seconda importante critica
        riguarda la teoria dell'adattamento di Darwin: la sua insistenza sul fatto che il
        cambiamento evolutivo sia guidato dagli adattamenti prodotti dalla selezione naturale di
        fronte alle modifiche dell'ambiente circostante. Ora, se è vero che questo succede - ed
        è anche molto importante -, tuttavia Darwin non presta abbastanza attenzione alle
        costrizioni dello sviluppo interno, al fatto che, dato il modo in cui la genetica e
        l'embriologia funzionano, l'organismo può modificarsi solo in un numero limitato di modi
        che rappresentano le costrizioni interne alle loro forme.  
         
        Nel darwinismo c'è una metafora secondo la quale gli organismi sono palle da biliardo che
        vengono colpite dalla stecca della selezione naturale e rotolano dovunque quest'ultima le
        diriga. Nel XIX secolo, però, Francis Galton, cugino di Darwin, fornì un'interessante
        metafora alternativa: gli organismi sono come poliedri che poggiano su una faccia; possono
        ancora aver bisogno della selezione naturale che li spinga, che li metta in movimento,
        tuttavia, in quanto poliedri, potranno spostarsi soltanto in certe direzioni obbligate. Il
        modello del poliedro è una metafora delle costrizioni interne. Gli organismi non sono
        liberi di modificarsi in tutte le direzioni, essi sono fortemente incanalati a modificarsi
        attraverso determinati sentieri; i biologi evolutivi devono studiare lo stato interno
        degli organismi molto più attentamente di quanto fanno adesso. In particolare riacquista
        interesse la biologia dello sviluppo. Il terzo problema è il bisogno di Darwin di
        sostenere che si possa estrapolare questo processo di selezione naturale per adattamento
        continuo e graduale nel tempo, e pertanto prendere le modifiche che avvengono su scala
        generazionale come modelli per le tendenze evolutive di lungo periodo. Purtroppo, non
        risulta che tutto questo accada nell'immensità del tempo geologico. 
         
        Un'evidenza che sembra in particolare contrasto con il gradualismo evolutivo darwiniano
        è rappresentata da un importante fenomeno evolutivo come l'estinzione di un'intera
        specie. Cosa può dirci in proposito? 
         
        Ci sono stati cinque importanti eventi nei quali alte percentuali di organismi
        pluricellulari sono morti molto rapidamente, uno dei quali annientò, circa
        duecentoventicinque milioni di anni fa, più del 95 per cento delle specie marine
        invertebrate. Secondo le stime più attendibili, un altro famoso evento, che ebbe luogo
        sessantacinque milioni di anni fa, ovvero l'estinzione dei dinosauri, fu probabilmente
        provocato dall'impatto di un corpo extraterrestre, un evento dunque assolutamente
        improvviso. E' molto difficile sostenere che la selezione naturale possa decidere chi
        sopravviverà a queste estinzioni di massa, specialmente se vi sono eventi catastrofici
        improvvisi ai quali, in linea di principio, gli organismi non possono essere preparati.
        Pertanto, per sopravvivere a un'estinzione di massa, bisogna avere la fortuna di possedere
        certe caratteristiche sviluppate in precedenza, per altre ragioni, in condizioni di
        normalità. E' solo la buona sorte a permettere di avere la meglio nel nuovo ambiente
        creato da una catastrofe imprevista. Così, se si accetta una teoria della estinzione
        catastrofica di massa bisogna rivedere profondamente le premesse gradualiste e basate sul
        concetto di adattamento proprie del darwinismo classico. 
        La selezione naturale - il meccanismo darwiniano - è potente e agisce certamente
        nell'evoluzione, ma non è così onnicomprensivo come pensava Darwin. Per spiegare
        l'intero scenario dell'evoluzione della vita attraverso il tempo geologico bisogna
        chiamare in causa molti altri princìpi, inclusa una buona dose di fortuna e vari altri
        meccanismi. 
         
        Professor Gould, se - come sostiene una teoria accreditata - la scomparsa dei dinosauri
        deve essere attribuita a una collisione di origine astronomica, l'affermarsi dei mammiferi
        non costituisce più, darwinianamente, l'affermarsi di una specie biologicamente
        superiore, bensì sembra il risultato di un evento fortuito. 
         
        E' così; e ciò apre uno scenario molto diverso da quello immaginato da Darwin. Egli
        sostiene che le faune successive hanno vinto la corsa per la vita, sostituendo quelle che
        le hanno precedute: ecco perché sono più in alto nella scala della vita. Ma se i
        dinosauri furono davvero annientati da una catastrofe imprevista, provocata da una
        collisione astronomica, allora l'interpretazione darwiniana non potrà essere corretta, e
        si dovrà dire che i mammiferi hanno probabilmente avuto la meglio per buona sorte. Prima
        di tutto, non è vero che i mammiferi entrarono in scena più tardi nel regno dei
        dinosauri e ne presero il posto in seguito ad una competizione. Non si è mai ben
        compreso, sebbene sia un fatto importante, che i mammiferi si sono evoluti
        contemporaneamente ai dinosauri. I mammiferi vissero per cento milioni di anni con i
        dinosauri, senza mai avere molto successo nel rimpiazzarli: durante cento milioni di anni
        i mammiferi furono piccole creature che vivevano nei cantucci e nelle fessure di un mondo
        di dinosauri, senza fare alcun progresso nella lotta contro di essi. Le cose sono andate
        così per sessantacinque milioni di anni prima della collisione dell'asteroide. Quindi, se
        non ci fosse stata quella collisione io presumo che i dinosauri sarebbero ancora dominanti
        e i mammiferi sarebbero ancora piccole creature relegate ai margini di quel mondo.  
         
        Ma la cometa colpì, i dinosauri morirono e i mammiferi sopravvissero. Si potrebbe dire:
        è naturale che i mammiferi sopravvissero, dal momento che erano superiori ed erano
        destinati alla sopravvivenza. Non c'è nessuna ragione per pensarla così. Semmai è vero
        il contrario. Come ho detto, i dinosauri hanno avuto la meglio sui mammiferi per cento
        milioni di anni. Non sappiamo in effetti perché i mammiferi prevalsero e i dinosauri
        morirono, ma posso ipotizzare uno scenario che illustri il carattere incerto, non
        progressivo della storia della vita. I dinosauri erano tutti animali di grandi dimensioni
        e i mammiferi tutti di piccole dimensioni - persino il più piccolo dinosauro era più
        grosso del più grande mammifero di quel tempo. Ora, gli animali di grandi dimensioni
        hanno una piccola popolazione - non possono esistere molti brontosauri e devono esserci
        molte più formiche che elefanti. Gli animali di grosse dimensioni tendono a essere pochi,
        gli animali di piccole dimensioni tendono a essere molti. Ne segue che in un'estinzione
        catastrofica di massa il fatto di avere una grande popolazione è una delle migliori
        protezioni contro l'estinzione. È possibile quindi che i dinosauri morirono perché a
        causa della loro taglia la loro popolazione era molto piccola.  
         
        Forse i mammiferi ebbero la meglio perché la loro popolazione era numerosa, come
        conseguenza della loro piccola taglia e questo li aiutò a sopravvivere alla catastrofe.
        Ma perché i mammiferi erano piccoli? Non già perché sapevano che una cometa avrebbe
        colpito la terra dopo dieci milioni di anni e che ciò sarebbe tornato loro utile! Semmai,
        essi erano piccoli per una ragione negativa: e cioè perché i dinosauri avevano avuto la
        meglio su di loro in tutti i tipi di competizione per l'ingresso nello spazio ecologico
        dei vertebrati di grande taglia. In questo esempio quindi i mammiferi sarebbero
        sopravvissuti come conseguenza di una caratteristica negativa rispetto al predominio dei
        dinosauri. E la storia della vita è piena di esempi come questo. 
         
        Secondo alcune concezioni della storia del genere umano, che sono ancora oggi
        prevalenti, il genere umano ha avuto la meglio perché il cervello si è progressivamente
        sviluppato. Qual è la sua idea su questo punto? 
         
        Non voglio negare che il cervello sia la nostra più importante invenzione evolutiva
        ed è quella che ha fatto le nostre città e le nostre civiltà e che può alla fine
        ucciderci dopo una permanenza molto breve in termini geologici su questo pianeta; ma non
        è certamente vero che una volta che comincia a verificarsi un ingrandimento del cervello
        sia inevitabile il passaggio allo stadio umano. Basta guardare alla storia umana: fino a
        duecentomila anni fa eravamo solo una piccola popolazione in Africa che non aveva un
        grande ed evidente successo, per quanto il nostro cervello avesse già iniziato a
        ingrandirsi. Ma, secondo gli ultimi calcoli, è solo all'incirca centomila anni fa che
        l'uomo attuale comincia a diffondersi su tutta la terra. Non voglio negare che il potere
        del cervello costituì un vantaggio molto importante in quella diffusione, ma fino a
        pochissimo tempo fa noi siamo stati una specie piccola e molto trascurabile in Africa.  
         
        A conti fatti, siamo solo una razza che ha da sei a otto milioni di anni: è questa la
        stima più attendibile del momento della separazione della razza umana dagli scimpanzè e
        dai gorilla. Non è un tempo molto lungo. Oggi esiste una sola specie umana, nel senso che
        gli homo sapiens sono tutti membri della stessa specie. In passato ce ne furono tre o
        quattro che vivevano contemporaneamente. Perciò, da questo punto di vista, siamo meno di
        allora, anche se la nostra specie ha avuto una diffusione maggiore e una popolazione più
        numerosa. 
          
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