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Ermelinda M. Campani



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Vi ricordate 'Oltre il giardino'? Quel film di Hal Ashby del 1979 (prima era un romanzo) in cui il protagonista principale, Chance, un giardiniere, confonde le immagini televisive con la realtà e quando si trova a dover confrontare il mondo vero gli succede di tutto? E vi ricordate del signor Truman (Jim Carrey) che nel recente The Truman Show vive inconsapevolmente all'interno di una grande soap opera di cui è spettatore e insieme protagonista principale? La sua realtà, quella che lui crede essere il mondo vero, è un enorme palcoscenico costruito attorno a lui a beneficio di un'audience di voyeur che lo segue dalla nascita e ne spia tutta la vita. Anche a Cannes è stato presentato un film in concorso che riguarda lo stesso tema, quello di realtà e fantasia, di mondo per immagini televisive più reali e convincenti di ciò che abitualmente chiamiamo realtà.

'Nurse Betty' (di Neil Labute) racconta le tragicomiche vicende di una giovane cameriera del Kansas che istituisce un rapporto tutto particolare e patologico con un personaggio televisivo, il fantomatico medico dell'altrettanto fantomatico ospedale Loma Vista, ambiente narrativo di una celebre soap opera che la donna segue appassionatamente ogni giorno. Betty, rimasta vedova (ed essendo stata spettatrice del violento assassinio del marito per questioni di droga), rimuove la realtà a favore di un mondo tutto nuovo, quello della soap opera, appunto, e parte alla volta della California decisa a incontrare il medico che lei ama, David Ravell.

In un batter d'occhio, Betty diventa infermiera e si imbarca in una serie di avventure spassose raccontate con gusto dal bravo regista. Realtà e fantasia, alla fine del film, si fonderanno in un tutt'uno, gli equivoci o, meglio, i nodi verranno tutti al pettine. A sottolineare il motivo del capovolgimento del rapporto tra reale e fantasia è anche un felice sottotesto al film. La donna, nel corso delle sue peripezie alla ricerca del suo amore, è inseguita da due uomini, gli assassini di suo marito, che vogliono ucciderla in quanto testimone scomodissimo del loro delitto. I due portano con se una fotografia di Betty che rappresenta la loro unica risorsa per ritrovare la donna e che, in quanto immagine, farà innamorare perdutamente di lei uno dei due assassini.

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Film nel film, immagine dentro a immagine, il testo, che procede con un ritmo incalzante, è stato accolto con favore dal pubblico di Cannes che a più riprese lo ha applaudito nel corso della proiezione. Commedia un po' dei paradossi, un po' dei sentimenti, 'Nurse Betty' e' destinato al successo di sala e fose anche di critica visto che non manca, come da alcune parti invece è stato segnalato, di quella vena ironica a cui il regista ci ha abituati con i suoi film precedenti, soprattutto il crudelissimo "Nella società degli uomini".

Non si può dire lo stesso di 'Mission to Mars' diretto da Brian DePalma che risulta in un prodotto perfettamente confezionato ma privo di vere emozioni. Diverso e divertente il film interpretato dalla star del momento, George Clooney. "O, brother where are thou" rivisita l'Odissea ambientandola nell'America della Depressione e ci presenta un Clooney che sembra il Clark Gable di 'Via col vento' e non solo per la fissazione, condivisa da entrambi, per la brillantina. Anche questo film dei fratelli Joel e Ethan Coen colpisce per gli effetti visivi (che si devono anche a Roger Deakins). I giochi (tecnologici) di luci e di colori danno alla pellicola l'aspetto di un film degli anni Quaranta e trasformano, quasi trasfigurandoli, in dissolvenza, i corpi, la natura, una certa immagine dell'America.

Il film è superbo quanto a fotografia e al gusto dell'immagine, tanto che le pur divertenti e complicate vicende cui sono sottoposti i personaggi, talvolta finiscono ineluttabilmente in secondo piano. Le peripezie dell'Ulisse americano (Clooney), e dei suoi due amici (Tim Blake Nelson e John Turturro), i loro accenti sapientemente modulati sulla cadenza dell'America del Sud, i modi di dire, le canzoni, e la serie di vicende che capitano ai tre nel corso della loro fuga fanno del testo una sorta di comico road movie dove gli archetipi classici (c'è anche un incontro con le sirene), pur riscritti, rimangono riconoscibili e diventano divertenti gag. Belle due scene madri del film: una è una sorta di balletto, se non fosse che i ballerini in questione sono i membri del Ku Klux Klan; l'altra è un vero diluvio alla Noè che come un battesimo (ce n'era già stato uno nel film) redime e, letteralmente, dona nuova vita ai tre protagonisti.

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Al film manca però una certa coesione visto che la narrazione è fortemente frammentaria e subordinata alle straordinarie immagini. I caratteri sono poco sviluppati (o per niente, come nel caso di Holly Hunter che è la Penelope del film: si chiama Penny, ma resta una comparsa tardiva) e la storia non riesce a coinvolgere completamente lo spettatore perché l'attenzione viene costantemente trasformata in estetica (e ascetica) ammirazione visiva e in parte catturata dai tanti nuovi personaggi che i tre incrociano.

"Fast Food, Fast Women", scritto e diretto da Amos Kolleck, è stato ricevuto entusiasticamente dal pubblico. Anna Thomson è una cameriera, si chiama Bella, vive un amore segreto essendo l'amante di un produttore/regista teatrale e sogna una famiglia sua. La storia è sfruttata e il finale è prevedibile ma il film è riuscito in quanto a dialoghi e battute, e a personaggi. Commedia romantica e romantico intrecciarsi dei destini dei personaggi che la popolano, quella di Kollek è una pellicola che a tratti riesce anche ad appassionare e che riguarda il passare del tempo, l'orologio degli anni che non risparmia nessuno (tanto che riesce persino ad angosciare una trentacinquenne).

Sublime, invece, il documentario dedicato alla vita e alla carriera di Gregory Peck ("A Conversation with Gregory Peck" di Barbara Kopple). Nato nel 1916 (ma si fa fatica a crederlo quando lo si guarda negli occhi e lo si osserva prendere posto nella poltrona del Teatro Lumiere) Peck scopre il cinema a Berkeley durante l'ultimo anno di università. Il documetario della Kopple lo descrive con un occhio onesto e pieno di realismo sia quando parla di lui come padre (depresso dopo il suicidio di suo figlio) e marito, sia quando lo ritrae accanto alle dive con cui ha condiviso la carriera (e talvolta parti della vita), da Ava Gardner, a Audrey Hepburn, a Sophia Loren, a Ingrid Bergman.

E l'assenza di film italiani? Intanto, consoliamoci con la calda accoglienza riservata a "Pane e tulipani" (Soldini) e con i tanti premi che Cannes ha riservato al nostro cinema nel passato; poi, come ha detto Bernardo Bertolucci nel corso di un affollatissimo incontro nel padiglione italiano del festival "l'assenza di italiani non è una tragedia!" tanto più che la stampa nostrana, sempre secondo Bertolucci, ha snobbato un workshop che il regista ha tenuto insieme ad alcuni giovani registi italiani a Cannes dopo la proiezione, nella Settimana della critica, di "Prima della rivoluzione." Viene da chie'dersi, se i nuovi registi italiani non interessano alla nostra stampa, come possiamo aspettarci che siano proprio i francesi ad amarli?



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