Attore teatrale, drammaturgo, sceneggiatore,
regista e romanziere, David Mamet è uno degli artisti americani più
eclettici e ammirati degli ultimi venticinque anni. In Italia il suo
nome è collegato soprattutto al suo primo film da regista, “La
casa dei giochi”, mentre pochi sanno che la sua penna sta dietro a
capolavori come “Gli Intoccabili” e “Il postino suona sempre
due volte”, oltre che ai più recenti “Ronin” e “Sesso e
potere”.
Le sue origini però sono nel teatro:
l’esordio a New York è del 1975, con “Sexual Perversity in
Chicago”, rappresentato in questi giorni nei teatri italiani.
Incoraggiante esordio seguito poco dopo dalla prima vera grande
acclamazione: “American Buffalo”. In questi primi due lavori
appare già l’essenza di tutta la poetica dello scrittore di
Chicago. Che siano i quattro single di “Perversity…” o i tre
piccoli truffatori di “American Buffalo”, i temi ricorrenti sono
sempre quelli dell’impossibilità della fiducia nei rapporti
interpersonali e della conseguente condizione di infelicità e
isolamento come substrato della società americana contemporanea.
Siamo però lontani dall’intellettualismo
dell’“alienazione” alla Antonioni: i personaggi di Mamet
vengono dalla strada e spesso parlano in maniera rozza e volgare
anche se sono furbi e sanno usare il linguaggio come un’arma. E’
infatti attraverso il dialogo che lo sviluppo drammatico si tramuta
in azione, così come nel teatro classico a tragedia è veicolata
dalla parola, mai direttamente rappresentata.
Negli anni successivi la fortuna dei primi
lavori di Mamet sembrava non trovare seguito presso la critica che
tanto lo aveva osannato; questo pare il motivo del suo successivo
avvicinamento al mondo del cinema. Fu Bob Rafelson, regista di punta
della Nuova Hollywood, con film di culto quali “Cinque pezzi
facili” e “Il re dei giardini di Marvin”, a chiedergli di
adattare per lo schermo il classico hard-boiled
“Il postino suona sempre due volte”. Il successo di questo
remake (celebre la scena di sesso tra Jack Nicholson e Jessica Lange)
rilancia Mamet su tutti i fronti: l'autore conquista infatti la
candidatura all’Oscar per la sceneggiatura di “Il verdetto” di
Sidney Lumet e poco dopo rientra trionfalmente a teatro vincendo il
Premio Pulitzer con “Glengarry Glen Ross”.
Da quest'ultima piece, che ad oggi rimane la
più apprezzata di Mamet, venne fuori un film livido, feroce, che
ancora una volta mette sotto accusa l’American
Way of Life. La storia ha luogo tra un ufficio di venditori di
appezzamenti di terreno e il ristorante di fronte. I protagonisti
sono uomini in lotta fra di loro per mantenere il posto: è in corso
una gara di vendite dove gli ultimi verranno licenziati. Grazie a un
cast straordinario (Al Pacino, Jack Lemmon, Kevin Spacey, Ed Harris,
Jonathan Pryce) il film evidenzia i difetti degli “Americani”
(era questo il titolo italiano del film) in un’atmosfera da
tramonto della civiltà.
Dalla metà degli Anni Ottanta in poi
l'impegno di Mamet in campo cinematografico si amplia dalla
scrittura alla regia: è dell’87 il primo film interamente scritto
e diretto in proprio, “La casa dei giochi”. Nuovamente
ambientato nel mondo suburbano dei piccoli truffatori, lancia sullo
schermo Joe Mantegna, attore amatissimo dallo scrittore sin dagli
esordi teatrali. Mantegna è co-protagonista con Don Ameche anche
del successivo “Le cose cambiano”, delicata commedia degli
equivoci sullo sfondo della mafia italo americana. Conclude la
triade che vede l'attore nel ruolo principale “Homicide”,
poliziesco che investe il tema del conflitto con le proprie origini
ebraiche di un ispettore che deve indagare all’interno di una
famiglia sionista.
Gli Anni Novanta vedono Mamet impegnato in
molteplici attività: pubblica due romanzi, diversi saggi, altre
sceneggiature su commissione e nuovi drammi. Il ritorno alla regia
è degli ultimi due anni, quando escono “La formula” e “Il
caso Winslow”. Il primo è un thriller, sulle orme di Hitchcock,
che vede l'attore comic Steve Martin in un insolito ruolo
“serio”. Il secondo è l'adattamento di un cavallo di battaglia
del teatro inglese del Novecento, “The Winslow Boy” di Terence
Rattigan. Entrambi i film hanno ottenuto un sostanziale successo di
critica e hanno allargato il gruppo di ammiratori dello scrittore al
di là della ristretta cerchia di cinefili che lo conosce ormai da
tempo.
Le ultime novità riguardano un...
licenziamento: Mamet avrebbe dovuto curare l’adattamento
dell’atteso quanto temuto sequel
de “Il silenzio degli innocenti”, ma è stato "sollevato
dall'incarico", forse per aver tentato di imporre la propria
personalità nel tentativo di salvare un brutto romanzo dalla
mediocrità degli scrittori-tecnici di Hollywood.
Per chiunque fosse interessato ad
approfondire la conoscenza su David Mamet si consiglia di visitare
il sito:
http://www.mindspring.com/~jason-charmick
/mamet-works/