Questa intervista fa parte dellEnciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche, unopera realizzata da Rai-educational in collaborazione con
lIstituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dellUnesco,
del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio
dEuropa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme
despressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza
della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura
contemporanea.
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Professor Grmek, lei si è interessato della morte non solo come biologo e come medico,
ma anche come storico. Quali sono le ragioni di questo interesse?
Come medico e come biologo mi sono interessato al fenomeno della morte. Come storico me
ne sono interessato perchè la morte è un concetto e non una realtà immediata. Insisto
subito su questo punto. Lidea, il concetto della morte cambia storicamente.
Cè in esso, ovviamente, anche qualcosa di immutabile. La realtà immutabile è il
fatto che una struttura, con le caratteristiche particolari che consideriamo proprie del
vivente, le caratteristiche biologiche del "vivo", ad un certo momento cessa di
essere viva, muore. La morte è il passaggio dallorganismo al cadavere. Questa è la
realtà, ma a ciò si arriva attraverso condizioni che variano storicamente. Questo
passaggio si può interpretare in vari modi, come un evento, come un processo, e queste
interpretazioni costituiscono il concetto della morte. Come biologo mi sono interessato al
processo stesso, come storico mi sono interessato ai mutamenti e alle implicazioni
filosofiche di questi mutamenti.
Dunque la morte può essere considerata sia come evento che come processo. Se noi
definiamo la vita come presenza dellanima nel corpo, come molte antiche civiltà
hanno fatto, la morte si comprende e si definisce facilmente come il momento nel quale
lanima si stacca dal corpo. E un evento che si può datare precisamente.
Cè un attimo nel quale lanima spira, esala lultimo respiro: molto
spesso lanima, come vedremo, è legata al respiro. Così lanima
"parte". Quando si è scoperto che la morte di un organismo complesso può
essere parziale perché una parte delle cellule che compongono un organismo multicellulare
muore senza che muoia il tutto, sono subentrati i problemi della gerarchia della morte,
dell morte a vari livelli ma anche dei passaggi da un livello allaltro. Se noi
definiamo la morte come la fine dellintegrazione delle varie parti che compongono
lorganismo vivente, non si può veramente parlare di "evento". Si tratta
infatti di un processo. Per ragioni pratiche, giuridiche, sociali, però, questo è
inammissibile. Una persona deve giuridicamente morire in un dato momento.
Queste nuove definizioni, dico "nuove" perché effettivamente fino ad un
certo tempo la morte era definita sempre solo come un evento unico, permettono di
considerare come possibile il prelievo di un organo vivo di una persona morta e il
trasferimento di esso ad una persona viva nella quale invece quellorgano è morto.
Se, ad esempio, una persona è considerata clinicamente morta, ma con un rene ancora
funzionante, questo rene vivo può essere trapiantato in una persona che è viva come
"persona", ma nella quale un rene è morto. Sono dei concetti nuovi, impensabili
prima, frutto delle ricerche biologiche dellOttocento epoca in cui si è rivelata la
possibilità della "morte parziale", ma soprattutto degli ultimi eventi in
medicina. Nel 1958-59 i neurologi francesi si sono trovati davanti a casi di persone che
erano ancora vive secondo i vecchi criteri, ma che avevano caratteristiche tali che non si
poteva veramente parlare di vita umana in senso pieno.
Come si decideva in passato che una persona era morta, quali erano i criteri per
valutare la morte? I criteri della morte più antichi erano il respiro, ossia
lassenza del respiro era il segno della morte; poi i battiti del cuore: con
linvenzione di un apparecchio, lo stetoscopio, nellOttocento si considerava
una persona "vivente" fintanto che batteva il suo cuore. Con lintroduzione
di apparecchi che aiutano la respirazione si può arrivare ad una situazione particolare
in cui il corpo respira, il cuore batte, il sangue circola, anche se pensiamo che non ci
sia né coscienza né pensiero, ovvero nessuna reazione del sistema nervoso centrale: il
cervello è distrutto. Quindi, se possiamo considerare che una persona come persona sia
viva anche se un suo organo è morto, allora ovviamente consideriamo come viva una persona
alla quale, ad esempio, è stata tagliata una gamba. Ma è molto difficile immaginarsi e
considerare come viva una persona nella quale il cervello è distrutto. Abbiamo però casi
di questo tipo. Il professor Molarek una volta presentò un paziente, il quale, essendo
collegato ad apparecchi che aiutavano la sua sopravvivenza, dal punto di vista vegetativo
era in vita; tutte le funzioni restavano efficienti, ma il suo cervello era distrutto. Il
professore aveva detto che si trattava di un caso di coma depassé, "coma
irreversibile", ma non si osava dire che la persona era morta e non lo si diceva
perché essa aveva ancora funzioni vitali. Oggi, in questi casi, si parla di "morte
cerebrale" e si considera questa come criterio per stabilire la morte, e ciò accade
per ragioni essenzialmente pratiche.
Possiamo parlare allora di alcuni casi, anche clamorosi, che negli ultimi anni hanno
riguardato la difficoltà di definire la morte ed in particolare la morte cerebrale?
Certamente, però vorrei prima premettere una cosa sullimportanza dei trapianti e
soprattutto sul clamoroso successo del trapianto del cuore. Si sa che nel passato per
molti filosofi e biologi il cuore era la sede dellanima e del pensiero. In tal modo
lidea del trapianto del cuore era impressionante benché sia molto più difficile,
anche teoricamente, il trapianto di fegato o quello del cervello, che per il momento è
inimmaginabile. Scioccante, inoltre, era considerare che il trapianto andava fatto
espiantando il cuore di una persona ancora viva, anche se in coma irreversibile. Era
dunque necessario, psicologicamente, parlare del prelievo di un organo vitale, essenziale
per la sopravvivenza, da un cadavere. Per questa ragione si è passati dalla definizione
di "coma irreversibile" a quella di "morte cerebrale". E non è per
caso che solo dopo i successi di Barnard, dopo le esperienze dei primi trapianti, tanto
lOrganizzazione Mondiale della Sanità quanto lOrganizzazione Mondiale dei
Medici, lHarvard Medical School ed altre istituzioni abbiano dato una nuova
definizione della morte.
Torniamo ora ai casi recenti. Il caso di Poitiers è molto interessante. Questi casi
recenti illustrano molto bene i problemi, le implicazioni pratiche, limportanza
bioetica ed anche filosofica delle definizioni, delle pratiche legate alla
concettualizzazione della morte. Due di questi casi mostrano come le definizioni non siano
mai innocenti. A Poitiers durante un processo il problema era: in che stato si trova una
persona esposta allintossicazione con ossido di azoto, in che modo essa muore? Non
si conosceva la risposta. Questa non si trovava nei manuali di medicina. Un medico allora
ha fatto una sperimentazione. Ha preso una persona nello stato dichiarato di "coma
irreversibile" ed ha mostrato come la morte interviene in questa determinata
situazione. Per dare un peso definitivo, dimostrativo, a questo esperimento, il medico
doveva considerare che questa persona non era morta allinizio dellesperimento
stesso, in quanto si trovava nello stato di coma irreversibile. Si poteva anche dire che
questa persona era già morta, ma, chiaramente, dire ciò non avrebbe dato consistenza
alla dimostrazione.
Immediatamente la reazione fu violenta tanto da parte dellopinione pubblica che
da parte degli organi ufficiali, visto che si trattava di una sperimentazione su una
persona viva, cosa non ammessa. Questo medico avrebbe potuto semplicemente dichiarare
ufficialmente morto questo paziente affinché non ci fosse nulla da ridire. Un altro caso
si è verificato a Pavia. Si trattava di una persona teoricamente e praticamente morta. Ma
essendo incinta di un feto ancora vivente, il quale è stato estratto mediante la
resezione cesarea, non si osava parlare di morte. Tutti i giornali parlavano di coma
benché la persona fosse morta. La cosa, molto grave, si spiega col fatto che non si
accetta di dire che un bambino è nato da una madre morta. E per tale motivo che,
benché la definizione sia stata data in modo chiaro solo di recente, si utilizza il
termine "coma". Vediamo dunque come le parole non siano innocue e quanto siano
importanti i loro significati.
Qual è attualmente, dal punto di vista medico, il criterio per accertare la morte di
un individuo?
Dal punto di vista legale in quasi tutti i Paesi oggi la definizione di
"morte" è semplicissima: "morta" è una persona dichiarata tale da
uno-due-tre medici. Dunque lo Stato, e la maggior parte delle giurisprudenze e delle
leggi, per paura di essere superati dagli eventi, non definiscono più la morte. In tal
modo il peso della responsabilità ricade sui medici. La morte è definita generalmente
come morte cerebrale.Il criterio medico fondamentale per accertare la morte di un
individuo è quindi la mancanza di attività elettrica del cervello, il che in pratica
vuol dire elettroencefalogramma piatto. Limportante, però, non è dire che una
persona si trova in uno stato in cui cè perdita di coscienza, ma che questa perdita
di coscienza è irreversibile. Bisogna cioè accertarsi che non ci sia nessuna speranza
che la persona torni in vita. In un certo senso non esiste praticamente
laccertamento della morte a meno che non si tagli la testa o venga distrutto, a
causa di un trauma terribile, il cervello. Normalmente si tratta quasi sempre di una
prognosi di morte, di una predizione dellimpossibilità del ritorno alla vita,
allattività cerebrale. Anche nel caso di elettroencefalogramma piatto ci si deve
accertare, per la sua attendibilità, che la persona non abbia preso barbiturici o che non
si siano determinate certe altre condizioni. Questa diagnosi precoce è importante perché
ovviamente la certezza assoluta si può avere dopo qualche giorno, quando cominciano i
processi di putrefazione. In tale circostanza la diagnosi è sicurissima.
Il problema si pone oggi perché noi abbiamo bisogno di fare la diagnosi di morte anche
quando non si è arrivati allultima parte di questo processo. Se noi consideriamo la
morte come processo, allora solo quando lultima cellula dellorganismo è
morta, il cadavere è veramente completo. Noi però vogliamo determinare il momento della
fine quando la distruzione è arrivata al punto tale che non si può più tornare
indietro. La grossa sorpresa della diagnosi di morte cerebrale è la scoperta che non è
la cessazione dellattività della parte più alta della personalità, cioè della
corteccia cerebrale, a rendere irreversibile il processo di morte. Infatti si sono
registrati casi di ritorno alla vita dopo la cessazione dellattività della
corteccia cerebrale. Lirreversibilità si determina, piuttosto, in un punto critico
di una parte inferiore, in una specie di nodo di comunicazione nel cervello: è coinvolto
certamente sempre il sistema nervoso centrale, ma non al suo più alto livello. Solo
quando questa parte è lesa, non cè più, secondo lesperienza attuale,
speranza di ritorno; la distruzione, la cessazione di attività di questa parte del
cervello, viene oggi considerata, da un punto di vista medico, come il criterio di
accertamento e definizione di "morte".
Quali sono stati i cambiamenti nella morte rispetto allo sviliuppo demografico e quali
conseguenze ci sono state sulla concettualizzazione della morte e anche
sullatteggiamento degli individui e delle società di fronte alla morte?
Cè un vecchio detto: nulla di più certo della morte, nulla di più incerto del
momento della morte. Il cambiamento consiste proprio nel fatto che questo vecchio detto,
demograficamente, non vale più. Tempo addietro una persona rischiava seriamente di morire
durante i primi anni di vita; la maggior parte dei bambini moriva prima di arrivare al
quinto anno di vita. Passato il quinto anno, si poteva invece arrivare a una tarda età,
senza sapere quando si sarebbe morti. Oggi non è più così. La grande maggioranza delle
persone ha una quasi certezza di vivere fino a 70-80 anni. Prima, questo" muro"
era allinizio della vita; passato il muro, anche se si moriva presto, a
trentanni, non cera nulla di scandaloso. Oggi, invece, se una persona muore a
35-40 anni, ad esempio una donna in seguito al parto, è una cosa scandalosa: tale morte
viene avvertita come uno scandalo. Questa è una cosa completamente nuova e noi adesso,
invece di avere una morte incerta, abbiamo più o meno una morte certa ad una età
tardiva. Inoltre, abbiamo creato delle istituzioni particolari mediante le quali questa
morte certa viene anche sottratta ai nostri occhi. Si dice che dalla "pornografia del
sesso" si è passati alla "pornografia della morte".
La morte è una cosa della quale non bisogna parlare, mentre in passato essa era
storicamente e socialmente "addomesticata". La gente conviveva con la morte.
Quasi nessuno arrivava a trentanni senza avere unesperienza diretta della
morte, senza aver visto morire persone attorno a sé, senza avervi partecipato. Il padre
di famiglia moriva nel suo letto con i familiari intorno. Anche i cimiteri erano vicini,
si trovavano in prossimità delle chiese. Adesso tutto è diverso. La gente muore in
ospedale, ci sono professionisti che se ne occupano. La morte è diventata una cosa che
luomo vuol dimenticare. Quando arriva una malattia come lAids che uccide i
giovani, la morte è uno scandalo, è una cosa incredibile, ci si chiede come mai possa
accadere.
Nelle scienze biologiche, specialmente in microbiologia, si sottolinea spesso che in
realtà una linea cellulare è praticamente eterna. Essa non muore perché
linformazione contenuta in una cellula si può riprodurre allinfinito. Questo
vuol dire che può esistere la vita senza la morte?
Vita e morte sono una coppia dialettica: la morte è negazione della vita, non esiste
la morte se non cè la vita e anche le definizioni filosofiche di solito prendono
insieme i due termini, come nella più famosa definizione di Bichat: "La vita è
linsieme delle forze che si oppongono alla morte". Ma la definizione della vita
come processo, evento, o altre definizioni più moderne in termini di
"cristallo", "struttura", suppongono due diversi modi di concepire la
morte. Se la vita è un cristallo, aperiodico, come si dice, allora in questo caso la
morte è la distruzione e lannullamento di una struttura, la rottura di qualcosa. Se
invece la vita è un processo, un insieme di reazioni chimico-fisiche, allora la morte è
la cessazione di peculiari funzioni. Questa definizione è la più comune, ed in questo
caso la coppia vita/morte si comprende molto bene. Ma che cosa fare se le funzioni vitali
cessano e però poi riprendono? Abbiamo un terzo stato, uno stato di frontiera, di
"non vita-non morte". Le strutture possono essere conservate, ma non cè
nessuna attività vitale, eppure la vita può riprendere. La biologia, le ricerche
biologiche, dopo la seconda metà dellOttocento, hanno dimostrato la possibilità di
congelare questi processi; non possiamo parlare più della vita, ma di vita latente.
E vita in potenza, ma non è vita in atto, comunque non è morte. Nasce
lesistenza di questo terzo stato che è qualcosa di completamente nuovo anche nel
pensiero filosofico .
Tuttavia, nelle scienze biologiche, specialmente in microbiologia, si sottolinea spesso
che in realtà una linea cellulare è praticamente eterna. Essa non muore perché la
materia, soprattutto l'informazione contenuta in una cellula, si può produrre
all'infinito. Si potrebbe dire, quindi, che esiste la vita senza la morte, ma tutto,
allora, verrebbe a dipendere dalla definizione di "individuo". La morte esiste
sempre come una parte della vita, del processo vitale quando esiste lindividuo. Se
si definisce in un certo modo, in un punto lindividuo cessa di esistere
definitivamente. Se la riproduzione si fa con la divisione microbica come in certi
protozoi, in questo caso non cè cadavere, anche se lindividuo iniziale non
esiste più, poiché al momento della divisione ci sono due individui diversi. Ma anche
qui le cose non sono così semplici come si pensava inizialmente quando si è scoperto
questo fenomeno dellimmortalità potenziale delle nostre cellule o degli esseri
unicellulari. Dopo un certo numero di divisioni infatti esiste una necessità biologica di
scambio di materiale genetico tra i diversi individui e questo scambio implica la morte
dei due individui, la cessazione della loro esistenza individuale. Dunque anche quando si
sopravvive, quando non cè cadavere, esiste però, la cessazione
dellindividuo. Altrimenti la morte non esisterebbe.
Anche nelluomo cè una parte che è, in senso biologico, immortale. Adesso
non parlo filosoficamente, non penso allanima, ma alla parte germinale: una parte
dellorganismo umano è conservata, preservata e non funziona nella sua vita di ogni
giorno, la parte genetica, le cellule sessuali, le quali non muoiono perché sopravvivono
nei figli, i nostri figli sono una continuazione di noi.
Lei ha parlato anche, riguardo ai microorganismi, dellimportanza dello scambio
del materiale genetico per assicurare la continuità delle linee cellulari. In questo modo
la morte è in un certo senso associata con il processo di organizzazione del vivente.
Qual è il significato biologico della morte?
La morte è indispensabile perché la vita possa mantenersi. E indispensabile
perché le strutture viventi devono essere in accordo con lambiente, devono
adattarsi ai cambiamenti dellambiente: se esso cambia, la vita o gli esseri viventi
devono cambiare. Se la morte non esistesse non sarebbe possibile adattarsi, non solo, ma
anche levoluzione degli esseri viventi risulterebbe impossibile. Gli esseri
esistenti occuperebbero tutto lo spazio vitale. E necessario morire per lasciare
posto alla nuova generazione e dare con ciò la possibilità che questa sia un po
diversa della precedente. Ci sono due strategie con le quali gli esseri viventi resistono
ai cambiamenti dellambiente e si sviluppano. Queste due strategie, scoperte solo
dalla biologia moderna, sono state sentite come tali, individuate già in modo intuitivo
dai filosofi e dai letterati, dai poeti di tutti i tempi. Si tratta della coppia Eros e
Thanatos, sesso e morte: la morte, Thanatos, lascia posto alla nuova generazione e
lamore, Eros, permette lo sviluppo con laccoppiamento di due individui
diversi, delle informazioni portate dai due, consentendo, da un lato, leliminazione
degli errori che si sono accumulati e, dallaltro, lintroduzione di capacità
nuove.
I mutamenti che si osservano nel concetto di "morte" sembrano rimettere in
questione lo stesso statuto ontologico della morte in quanto tale. Quali sono i mutamenti
che si sono verificati al riguardo dalla filosofia antica fino ai nostri giorni?
Riassumiamo prima di tutto i mutamenti del concetto in generale. In primo luogo
cè quello della coppia vita-morte, che non è così semplice poiché esiste un
terzo stato. Il mutamento fondamentale concerne lidea della morte come evento; essa
viene allora concepita come un processo, come una cosa che si sviluppa in diverse fasi; in
tale prospettiva è pensabile anche una gerarchia della morte. Ma questi cambiamenti non
toccano in nulla il concetto ontologico della morte. La definizione ontologica è la
seguente: la morte è la sparizione totale, il passaggio nel nulla. Se consideriamo che la
parte mortale è solo la parte fisica dellorganismo, del nostro Io, quello che noi
siamo non muore, poiché muore solo questa parte materiale così che cè una altra
parte di noi che invece continua ad esistere. In questo caso la morte è definita come un
trapasso, come il passaggio da un mondo in un altro mondo. Il problema ontologico è che
non si può immaginare la propria morte. Se noi pensiamo la nostra morte, e pensando
siamo, allora non possiamo, insieme, essere e pensare di non essere. Lha detto già
Lucrezio che non bisogna avere paura della morte: non cè nessuna ragione di averne
paura perché quando noi ci siamo, la morte non cè, e quando cè la morte,
noi non ci siamo. Essa quindi non ha nessuna importanza per noi poiché non ci tocca.
l problema, dal punto di vista metafisico, è però ancora più complesso e grave. Con
lo stesso diritto con cui si dice che dal nulla non può nascere qualcosa, si deve dire
anche che nulla può tornare nel nulla: tutto è trasformazione dellesistente. La
morte in senso assoluto sarebbe invece un ritorno nel nulla. Il problema metafisico esiste
nella misura in cui si pensa che un essere vivente sia in sé e per sé unentità
ontologica, che abbia unesistenza assoluta, indipendente, la quale non si esaurisce
nelle strutture materiali che lo compongono. In questo caso il problema esiste
effettivamente; non si può immaginare veramente la morte dellanima se, appunto,
lanima è pensata come un ente in senso ontologico. Io sono vicino a questa
prospettiva, che si collega alle filosofie orientali. Se esiste lo sparire nel nulla,
allora possiamo ammettere anche che esiste un nascere dal nulla: siamo nati e poi torniamo
alla stessa situazione precedente alla nascita. Se invece la parte spirituale in noi non
muore, non vedo come mai potrebbe nascere; in questo caso, con lo stesso principio, penso
che noi esistiamo come tali da sempre e passiamo soltanto attraverso diversi stadi.
Cè una specie di metamorfosi del nostro Io. Se, al contrario, possiamo nascere dal
nulla, possiamo anche tornare nel nulla.
Si sono scritti libri e se ne scriveranno tanti altri su tale problema. Esso ci
coinvolge in modo profondo, emozionale; la filosofia e la scienza se ne interesseranno
sempre. Voglio però insistere sul fatto che le recenti scoperte scientifiche mutano il
concetto della morte, ma non toccano in niente il problema metafisico ed ontologico.
Lei ha detto che, dal punto di vista biologico e medico, la morte non è considerata un
evento ma un processo mentre, da un punto di vista ontologico, la morte è un evento
istantaneo. Come si può eventualmente risolvere questa contraddizione?
E una contraddizione profonda e molto importante che crea tante difficoltà
teoriche e pratiche. Non cè dubbio che, da un punto di vista ontologico, la morte
è un evento, un passaggio di stato dellessere; il passaggio dellanima da un
mondo allaltro. Ma, daltra parte, noi, biologicamente, dobbiamo considerare
tutta una serie di eventi. Dobbiamo distinguere almeno tre tappe completamente diverse:
con la loro morte alcune cellule, si creano delle difficoltà molto grandi per il
funzionamento di certi sistemi (il sistema respiratorio o il sistema circolatorio), che
poi mettono in difficoltà lattività cerebrale. Questo è linizio della morte
cellulare. Dopo di ciò cè una perdita dei meccanismi di regolazione
dellorganismo e si ha la morte clinica, ossia una disintegrazione: la morte infatti
avviene come perdita di integrazione di una totalità. Diceva Diderot: "Da vivo
reagisco come un insieme, da morto reagisco come molecole". Questa è dunque la morte
clinica. La "terza" morte è invece la morte di ogni parte dellorganismo,
di ogni cellula. La morte in senso filosofico è ovviamente legata al momento della morte
clinica e la difficoltà sta nel fatto che non si può, mediante le osservazioni esterne,
determinare un punto nel tempo in cui accade, allinterno al processo biologico, un
tale evento metafisico. Questo è il momento in cui si perde definitivamente la coscienza:
la coscienza degli altri però non è osservabile. Non solo per ragioni filosofiche,
religiose, etiche, ma anche per i bisogni giuridici.
Come ho già detto, la morte deve essere un evento ,ed è oggi il medico che con la sua
diagnosi trasforma in evento un processo. Possiamo fare un esempio al riguardo: una
famiglia, che viaggia in unauto, incorre in un incidente; più persone della stessa
famiglia muoiono ma non tutte insieme; per lesioni varie muoiono una dopo laltra
anche se a poca distanza di tempo. I problemi di eredità non possono risolversi se non si
decide esattamente quando è morto chi. Qui è il campo della diagnosi medica, ma questa
diagnosi è una prognosi ed è dunque una definizione arbitraria e, anche se non proprio
arbitraria, certamente priva di un criterio assoluto. La morte non può essere immaginata
dalluomo, filosoficamente in senso stretto, che come un evento. Come evento essa è
un passaggio di frontiera e questa frontiera è una linea, non uno spazio. Cè forse
la possibilità di uno spazio di ritorno. Ci sono delle esperienze di persone che erano
clinicamente morte e che in seguito hanno ripreso coscienza. Queste persone raccontano
eventi che hanno sempre qualcosa di comune: erano in una specie di tunnel, hanno visto una
luce azzurra, eccetera; si potrebbe interpretare ciò come unesperienza
dell"altro mondo". Ovviamente ci può essere unaltra
interpretazione. Esso sarebbe un fenomeno della coscienza del momento, quando cioè si
realizzano certe condizioni particolari in assenza di ossigeno in certe parti del
cervello. Dunque non è straordinario il fatto che cè la stessa osservazione, lo
stesso ricordo. Ma luomo non può abbandonare la speranza di sopravvivere. Può
sembrare strano che questa sia la speranza delluomo occidentale. Dopo i tempi
arcaici, dopo le più antiche filosofie occidentali, luomo spera e crede alla
propria sopravvivenza. Ma non si trova più il bellesempio delle tombe etrusche o di
quelle egizie, le quali testimoniano che luomo è talmente convinto della
sopravvivenza che porta con sé anche gli oggetti terreni: il suo è un atteggiamento
irrazionale, poiché, se cè un altro mondo, è certo che non vi si possono
trasportare gli oggetti. Ma questa speranza non può essere abbandonata ed il pensiero
filosofico torna sempre a riflettere su certi temi. Eppure va detto che è una
caratteristica degli Occidentali il pensare che lannientamento dellessere sia
la punizione massima, peggiore dellinferno. Nel pensiero Orientale sparire nel
nulla, identificarsi con il cosmo, con linsieme del mondo, è invece il massimo
scopo.