Professor Gadamer, se dovesse tracciare un breve profilo della sua biografia
intellettuale, da dove partirebbe?
La mia nascita filosofica è stata alquanto travagliata; sono figlio di uno scienziato
convinto che i filosofi, in genere, non avessero niente a che fare con la scienza, che
fossero dei chiacchieroni: tuttavia mi ha lasciato libero, anche se per tutta la vita è
stato scontento per la mia scelta. Iniziai i miei studi durante la prima guerra mondiale:
il mio primo professore fu il neokantiano Richard Hönigswald; allepoca studiavo
anche sanscrito e seguivo delle lezioni sul Corano. Ebbi i miei primi modesti successi e
mi accorsi che tali esiti derivavano dai miei interessi. Andai a Marburgo e lì, molto
giovane, frequentai i neokantiani del luogo, ad iniziare da Paul Natorp, di cui divenni
assistente; con lui avevo dei dialoghi molto silenziosi, da cui non cera da
apprendere molto: tuttavia ho imparato ugualmente molto. Al tempo stesso incontrai Nicolai
Hartmann, un docente più giovane ma di grande qualità: non era uno studioso della
statura di Natorp, ma fu per me un amico più anziano: mi ha sempre difeso di fronte alla
mia famiglia e si è sempre interessato del mio destino personale. Con lui ho appreso la
prima forma di scetticismo verso il neokantismo, cominciando a provare simpatia per la
fenomenologia. Conseguii il mio dottorato molto giovane, durante la grave crisi economica
tedesca, quindi mi sposai. Infine incontrai Heidegger, a ragione molto stimato da Natorp.
Che impressione le suscitò Heidegger?
Incontrarlo significava trovare un nuovo metro di misura. Mi resi conto di non aver
imparato nulla, di non aver preso possesso dei fondamenti di alcuna scienza, tanto da
poter dire: «So cosè la scienza». Così decisi di diventare un filologo classico
per insegnare in un liceo. Ma, grazie ad Heidegger, strinsi unamicizia più stretta
anche con Rudolf Bultmann, il grande studioso del Nuovo Testamento e filologo di valore.
Dal 1924 al 1927 studiai filologia classica con la massima concentrazione; erano gli anni
in cui non cera quasi nessuno studente: lideale per lo studente che ci arriva!
Ero con il filologo classico Paul Friedländer in un seminario dopo un primo anno di
avviamento; grazie a lui conobbi Friedrich Wolters. Non eravamo conservatori, ma liberali:
volevamo la Repubblica di Weimar, la democrazia che ci era stata imposta. Sin qui la mia
giovinezza fino allabilitazione allinsegnamento universitario, un ambiente in
cui era sorto un grande gruppo di amici: queste amicizie si sono conservate senza
eccezione fino alla morte: Karl Löwith, Gerhard Krüger, Walter Bröcker.

Dopo cosa successe?
Dopo il dottorato mi ammalai di poliomielite, che mi colpì le gambe e le mani: per
superare gli strascichi della malattia devo aver sviluppato qualche energia. Ma preferisco
tornare ai miei amici: Krüger era un lettore e un declamatore eccezionale, ma
anchio non ero niente male. Posso citare i miei studi su Hölderlin, iniziati negli
anni 20, prima ancora che Heidegger avesse cominciato ad occuparsene: anzi, lo ha
conosciuto grazie a me. La gente pensa che sia stato Heidegger ad influenzare me anche
nella poesia e nellarte, ma è il contrario. La mia prima moglie aveva molto senso
musicale e introdusse la musica fiamminga del 400 e 500, quella musica del
Rinascimento che non esisteva come musica viva, in stile «a cappella». Studiavo arte
perché avevo un amico poeta e storico dellarte, Oskar Schürer; più tardi anche
Max Kommerell divenne un mio vero amico.
Leggendo la sua biografia, colpisce la descrizione della vita universitaria a Marburgo,
del rapporto tra i professori e gli studenti e tra gli studenti stessi. Può raccontare
quell'ambiente, oggi inconcepibile?
Quando mi stavo accingendo a pubblicare la mia autobiografia su invito
delluniversità di Marburgo, ne inviai due capitoli sui miei anni a Marburgo ad
Heidegger, che mi rispose: «La cosa è ben fatta. Essa deve essere letta da tutti i
giovani studenti di oggi, per apprendere come si sviluppa la cultura non grazie a
finanziamenti, borse, facilitazioni, ma grazie alla concentrazione e alla disciplina». È
vero: la situazione era completamente differente perché tutti i seminari erano piccoli e
pochi gli studenti che li frequentavano. Al seminario di filologia classica erano con me
solamente altri due partecipanti; anche al seminario di storia dellarte conoscevo
tutti gli studenti, come anche i laureati della scuola di Richard Hamann, il mio
professore di storia dellarte. Devo dire che, in effetti, conoscevo anche tutti i
giovani colleghi dellUniversità che si trovavano nella mia posizione. Erano in
massima parte teologi e filologi che vivevano in un clima molto familiare anche con i
professori. Nicolai Hartmann mi chiamava con il nome di battesimo, cosa rara in Germania;
neanche io chiamavo mai Kommerell con il nome di battesimo, neppure Schörer.
Quali furono gli altri suoi maestri?
Vorrei ricordare Ernst Robert Curtius, giovane professore di filologia romanza, una
delle grandi figure di questa disciplina. Il suo libro La letteratura europea e il
medioevo latino, pubblicato per la prima volta nel 1948, è divenuto uno standard
book, un libro famoso. Mi aveva concesso il privilegio di fare due volte a settimana una
passeggiata nelle foreste, sempre alle due dopo pranzo; faceva una lettura alla liseuse e
quando io entravo si alzava. Non si stancava di dare consigli su ciò che si doveva
leggere: un giorno pronunciò subito il nome che non bisognava dimenticare: Marcel Proust,
del quale Curtius fu il primo lettore in Germania. Mi introdusse, tra laltro, alla
poesia di George; un giorno mi presentò a Max Scheler, suo amico, sebbene egli fosse più
giovane di Scheler, il che gli faceva considerare un privilegio questa amicizia. Imparai
molto anche da Friedrich Wolters, storico delleconomia. Effettivamente mi furono di
grande giovamento i contatti di questo tipo, con uomini di cultura già maturi che mi
trattavano come un partner. Questo è vero nel caso in cui loccasione sia ben usata,
altrimenti diviene anche un po pericolosa per lautocritica che bisogna
necessariamente esercitare nei confronti di se stessi. Nel mio caso tutto andava bene,
perché la superiorità di Heidegger mi immunizzava contro ogni forma di sopravvalutazione
di me stesso.
Come ricorda Max Scheler?
Era un demonio, il più volgare, il più terribile. Aveva un grosso naso e nel mezzo
aveva una specie di grondaia: quando parlava, cadevano le gocce di sudore. Era animato da
grande entusiasmo. Credo che fosse lunico ad avere, forse, qualcosa della capacità
che mi è propria di affascinare un uditorio: in effetti era molto differente da me, ma
indubbiamente il suo entusiasmo suscitava un effetto positivo. Era un vero genio, finì
per convincere lo stesso Heidegger che, essendo a quel tempo in competizione con lui, gli
era molto ostile. Max Scheler fu certamente una grande personalità: purtroppo morì molto
giovane, a 54 anni, ma aveva una capacità straordinaria, era forse comparabile come
talento a pochi altri, starei per dire a Walter Benjamin, sebbene fosse un altro tipo,
completamente differente, ma anche lui ebreo; Benjamin era un timido, un introverso,
mentre Scheler era un vulcano sempre in esplosione.
E Leo Strauss?
Strauss era amico del mio compagno di studi Jacob Klein, anchegli ebreo. Klein
divenne poi molto noto come il Dean, il decano del Saint Johns College a
Indianapolis e come riformatore del sistema educativo nelle università. Era uno degli
ispiratori del movimento dei "Cento Libri" negli Stati Uniti, il cui programma
era sostanzialmente basato sullassunto che cultura non è universalità, ma sono
cento libri della letteratura mondiale che devono essere studiati: nientaltro.
Questo corrisponde in qualche modo alle mie idee: anchio facevo lo stesso in un
certo senso. Da Leo Strauss, che pure era suo amico, rimasi, invece, inizialmente
distante: era molto timido e molto orgoglioso, si offendeva facilmente senza che gli altri
lo volessero ed io ancora non mi interessavo molto a lui. Un mutamento nei nostri rapporti
si verificò solo nel 1933, quando eravamo a Parigi.
In quel momento, a Pasqua del 33, mi resi conto che stava arrivando la fine del
periodo in cui avrei potuto compiere frequenti viaggi: allora presi gli ultimi soldi che
riuscii a mettere insieme e andai a Parigi, dove trascorsi due settimane con Strauss e
Alexandre Kojève: da quel momento divenimmo amici. Naturalmente più tardi ammirai molto
il suo libro su Hobbes, che mi parve molto interessante benché non approvassi la sua
linea di pensiero. In ogni modo, Strauss e Klein non erano tanto lontani dalle mie idee:
esiste una corrispondenza fra tutti noi che è stata pubblicata. Con Klein esiste un
epistolario, anche questo un giorno forse sarà pubblicato. Ho già detto che entrambi
erano ebrei; del resto, anche altri miei professori erano ebrei: Friedländer; Leo
Spitzer; il romanista Erich Auerbach, del quale divenni molto amico dopo il 33.

Il 1933 è l'anno dell'avvento del nazismo. Vogliamo parlare delle posizioni di
Heidegger nei suoi confronti?
Citerò un episodio significativo, che servirà anche a chiarire certe sue posizioni.
Alcuni anni fa venne qui ad Heidelberg il filosofo francese Jacques Derrida, per tenere
una conferenza: chiese anche il mio aiuto per discutere dellaffaire Heidegger,
perché sono considerato un heideggeriano non oltranzista. In un dibattito con dei
giornalisti fu posta la domanda se Heidegger sarebbe divenuto nazista nel caso in cui
fosse rimasto a Marburgo. Si tratta di una domanda molto intelligente: in effetti, a
Marburgo il cattolicesimo praticamente non esisteva e si può sostenere che Heidegger sia
divenuto nazista anche per opporsi allimperialismo della Chiesa romana. A Marburgo
nel 33 gli amici erano gli stessi ebrei che menzionavo prima. In seguito, la
facoltà di teologia divenne il centro della cosiddetta Chiesa confessante (bekennende
Kirche), che animò una forte opposizione al regime nazista: i suoi capi spirituali, von
Soden e Bultmann, risiedevano in parte a Marburgo.
Per quanto mi riguarda, ci furono due fattori che facilitarono per me la presa di
distanza dagli inizi del nazismo. Heidegger era irritato per il cattolicesimo da cui
proveniva; in fondo era un homo novus, formato con uneducazione di origine
piccolo-borghese, ovviamente molto ammirato dalla sua famiglia. Tornando alla teologia
luterana a Marburgo, va detto che costituiva un filone culturale molto vitale, durante i
miei studi e anche durante i primi anni del Terzo Reich; non cera molta politica: la
distanza verso il nazismo era comune. Ma tutto faceva di Marburgo una città normale.
Lipsia, dove mi trasferii, lo era anche di più: I nazisti erano, per così dire,
«nazisti delluniversità», nel senso che tutti erano più o meno attestati in un
primo momento sul nazionalismo, ma dopo due o tre anni avevano preso le distanze; allora
fui il benvenuto a Lipsia.
Lei ha visto nella sua vita le due terribili guerre mondiali e la terribile crisi
dellEuropa. A differenza di quanto ci si poteva aspettare fino a qualche anno fa,
oggi non si sono esauriti i focolai di guerra: secondo lei, quali sono le conseguenze di
questa nuova vicenda sul piano culturale per lOccidente, per lEuropa?
Molto dipende naturalmente dal futuro, dagli eventi che verranno. Nel caso che gli
episodi di guerra finiscano, sono del parere che dovrà esserci una nuova organizzazione
di tutto lEst, del Vicino Oriente, perché quella attuale è unorganizzazione
artificiale nata dopo la II Guerra Mondiale: tutti questi Paesi sono creazioni della
burocrazia diplomatica dopo la guerra. Nel frattempo sono venuti fuori anche altri
fattori, perché 40 o 50 anni contano qualcosa per formare una tradizione, nuovi equilibri
e anche per la cultura: naturalmente la fondazione di Israele non è revocabile, ma anche
gli altri Stati hanno una certa forma di identità. La prima condizione che deve
realizzarsi è che ci sia una nuova organizzazione di quella regione con una restrizione
delle ambizioni di Israele: questo è chiaro. Ma va garantita la sicurezza per Israele,
che non sarà più costretta a militarizzarsi in modo così massiccio. Naturalmente questa
è unevoluzione del tutto nuova, senza dimenticare che i problemi della nostra
cultura sono più o meno planetari. Per questo credo che la costante tensione Europa e
America con lIslam sia solamente marginale. Si tratta di capire come sia possibile
organizzare una competizione pacifica senza ricorrere ad una forma di politica militare.
La fondazione di Israele fu certamente un modo per riequilibrare ragionevolmente e
moralmente tutte le sofferenze del popolo ebreo, ma non venne preparato bene
lambiente per organizzare la coesistenza.
Naturalmente di questo sono colpevoli il commercio, il petrolio, il mercato. La mia
speranza è che si rimanga abbastanza forti per evitare nuove guerre. Ma lo spettro della
guerra rimane naturalmente terribile, un incubo. La III o la IV guerra mondiale sarebbero
la catastrofe della cultura umana, tanto è stata sviluppata la tecnica distruttiva: non
cè solo il problema nucleare, ma anche quello dellecologia, è uno dei più
fatali poiché nessuno conosce il rimedio. Lunica possibilità consisterà
nellorganizzare uneconomia di libero mercato che sia anche solidale sul
problema dellecologia. Ma come realizzare questo obiettivo? Le prospettive per il
futuro sono terribili, ma si spera che diventi possibile stabilire un nuovo equilibrio
mondiale, cosicché potrà porsi anche con urgenza il problema dellecologia. È
difficile giudicare, perché dipende dal fatto che la nostra possibilità di misurare
tutto è una invenzione recente. Vorrei che il buco dellozono fosse stato
cinquantanni fa come oggi: semplicemente nessuno allora lo avrebbe potuto misurare.
(traduzione di Fiorinda Li Vigni )