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Noi, cronisti del Cyber Times

Carl Kaplan e Pamela Mendels con Valentina Furlanetto


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Questa intervista è stata concessa durante un seminario all'IFG di Urbino.

Lui è alto, imponente, barba e occhiali rassicuranti. Lei è minuta, capelli cortissimi, sguardo intelligente e vivace e gonnellone molto, molto americano. Carl Kaplan e Pamela Mendels, insieme nella vita oltre che nel lavoro, sembrano una pacifica coppia di professori usciti da un film di Woody Allen. Sono invece due cyber giornalisti della versione online del New York Times, il Cyber Times (www.nytimes.com), sito giornalistico dedicato a Internet e alle nuove tecnologie.

Che questa passione non sia esattamente una loro scelta di vita lo si capisce anche guardandoli. Eppure oggi sono due fra le "firme" più richieste della versione multimediale del quotidiano newyorkese, dove tengono ciascuno la propria rubrica settimanale: la Mendels si occupa del rapporto fra istruzione e Internet, mentre Kaplan tratta questioni legali collegate all'uso delle nuove tecnologie.

Mendels: Entrambi proveniamo dalla carta stampata, e per entrambi la nuova attività al Cyber Times è stata frutto più di coincidenze che di passione per il Web. Qualche anno fa avevo accettato un lavoro per un giornale online pubblicato da Robert Murdoch. Dopo appena 6 mesi il gionale ha chiuso i battenti e mi sono ritrovata senza lavoro. Poco dopo ho sentito che il New York Times avrebbe inaugurato la sua versione Internet, mi sono proposta per il lavoro e mi hanno presa.

Kaplan: Anche per me è stato un caso. Sette anni fa ero un giornalista disoccupato, così ho deciso di candidarmi per una borsa di studio in legge offerta dal New York Times. Ho ottenuto la sovvenzione, mi sono laureato in problemi legali connessi alla Rete e ho iniziato a collaborare con il Cyber Times.

 

Ora avete una vostra rubrica fissa sul Cyber Times. Di cosa vi occupate?

Kaplan: Ogni settimana propongo al mio pubblico un pezzo che riguarda un aspetto legale sollevato dall'esistenza di Internet - privacy, commercio elettronico, diritti d'autore, proprietà intellettuale, libertà di parola. Una serie di questioni che sono sorte da quando esiste la Rete, per le quali spesso non esistono regole alle quali appellarsi. Eppure sono temi di interesse crescente.

Mendels: Io mi occupo invece di istruzione. Come mai? Perchè l'editore me l'ha chiesto. In America c'è una forte tradizione della stampa ad occuparsi di problemi che riguardano la didattica nelle scuole e più in generale l'educazione. I quotidiani di carta contengono fascicoli dedicati agli insegnanti e agli studenti: mappe, schede e altro. L'editore del Cyber Times ha rispolverato questo tipo di collegamento tra scuola e gionali sul Web. Sono nate così la mia rubrica e la sezione "Learning Network", che ha molto successo.

 

Il vostro lavoro è cambiato passando dalla carta stampata a Internet?

Kaplan: Molto. Innazi tutto perchè oltre alle fonti tradizionali utilizziamo Internet - i newsgroup, i siti Web e le e-mail dei lettori sono preziose fonti di idee. Il legame con il pubblico è completamente diverso sul Web. I lettori scrivono continuamente per criticare, correggere, puntualizzare. In fondo quanto costa mandare una e-mail? Molto meno che spedire una lettera. Non c'è svista o refuso che i lettori mi perdonino. E questo è un bene perchè ci costringe a essere ancora più scrupolosi. Il mio pubblico è anche molto preparato: avvocati, notai, esperti di legge. Spesso sono loro che mi forniscono gli spunti per i pezzi. E con alcuni ho stabilito un rapporto diretto costante.

Mendels: C'è un signore del Texas che mi suggerisce delle storie fantastiche. Non so proprio dove le scovi, so solo che spesso mi ha dato idee molto interessanti.

 

Il fatto di scrivere per un giornale on line ha influenzato il vostro stile giornalistico?

Kaplan: Non mi pare, continuo a scrivere come farei per un giornale di carta. D'altronde la mia generazione si è trasferita sul Web, non c'è nata. Sarà la nuova generazione di giornalisti, che crescono utilizzando questo mezzo, a creare probabilmente un'altra forma di scrittura.

 

Esistono problemi etici diversi da quelli che incontravate con la carta stampata?

Kaplan: Indubbiamente. Uno di questi è la possibilità di mettere dei link agli articoli, una grossa opportunità, ma anche un grande dilemma: cosa si deve e si può linkare e cosa no? Generalmente si dovrebbe dare la possibilità al lettore di consultare direttamente i documenti trovati. Ma esistono poi le politiche editoriali. Il Cyber Times si è dato delle regole etiche: niente link a siti di associazioni fasciste, naziste, razziste, terroriste. Niente pornografia o pedofilia. Anche se scrivessi un articolo per denunciare questi siti non potrei poi linkare i siti che cito.

Mendels: E ancora restano aperti vari problemi. Se, per esempio, sto scrivendo un articolo sulla possibilità di copiare la musica dalla Rete è lecito inserire il link ai siti dove questo avviene? D'altro canto il rischio è la censura. Ci dovrebbe essere una "link policy", ma tutto è talmente nuovo che ancora non sono nate le regole per decidere.

 

Che altri problemi pone il fatto di scrivere sul Web?

Mendels: Uno dei tanti è il rapporto con la pubblicità: se io propongo da un sito una recensione di un libro che attraverso lo stesso sito posso vendere, faccio giornalismo o pubblicità? Quale sia la linea di confine fra i due campi è un problema che l'informazione su Internet si sta ponendo e dovrà risolvere.

 

Qual'è il futuro dei giornali online?

Kaplan: Le allenze. Sinergie che sarebbero impossibili in edicola si verificano sempre più sul Web. I giornali sono costretti ad allearsi per sopravvivere. Inoltre sono convinto che nei prossimi anni Internet sarà sempre meno un mezzo di scrittura e sempre più un mezzo video e audio.

 

Secondo voi, l'informazione su carta stampata si è in qualche modo modificata da quando esiste l'informazione sul Web?

Kaplan:I ndubbiamente. Lo stesso Cyber Times ha influenzato il quotidiano su carta. Prendiamo lo scandalo Lewinski. Quando il Cyber Times ha riportato integralmete il testo del rapporto di Kenneth Starr, che conteneva termini scabrosi che normalmente non sarebbero mai apparsi sul quotidiano di carta, il New York Times li ha "dovuti" pubblicare per non essere cannibalizzato dalla sua stessa versione online.

 

 

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