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Pirandello e le sue maschere

Vincenzo Consolo con Antonella Fiori

 


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"Credo che tutti i grandi autori siano stati profetici: hanno anticipato quello che sarebbe accaduto nei decenni successivi illuminando la nostra esistenza su aspetti sinora sconosciuti. Non è un caso che ancora oggi noi diciamo che un personaggio o una situazione sono joyciani, kafkiai o borgesiani. Così come chiamiamo un personaggio o una situazione pirandelliana". Vincenzo Consolo, lo scrittore siciliano che da anni vive a Milano, sceglie Pirandello, tutta l’opera di Pirandello, come rappresentativa della letteratura del ventesimo secolo.

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Tutti i grandi scrittori di questo secolo partono dall’osservazione di piccole realtà per parlarci di temi universali. E’ così anche per l’opera di Pirandello?

Pirandello parte da Girgenti, un piccolo paesino della Sicilia, in provincia di Agrigento. In questo paese, che aveva avuto un grande passato che risaliva ai greci, c’era stato un arresto del procedere della storia. Le persone, racconta lui, lì si muovevano lentamente, come dementi, come fossero rimaste in una situazione adolescenziale. E’ stato lì che per la prima volta Pirandello ha colto il senso della storia e dell’esistenza. Pirandello parte da questa matrice profonda, del profondo sud per arrivare a Roma. E nella piccola borghesia dell’Italia centrale vede riflessa la crisi della borghesia europea.

 

Pensiamo allo scrittore come a uno scienziato. Qual è la grande scoperta di Pirandello?

C’è una via a Girgenti chiamata via Atenea, che rappresentava il teatro della comunità locale, dove tutti si controllavano tra di loro. Pirandello osservava che da questo scenario erano nati i personaggi del suo teatro. L’individuo era costretto ad assumere una maschera. Da qui la sua grande scoperta: il fatto che l’individuo abbia sempre cercato di ribellarsi a questa maschera ma abbia poi sempre dovuto rinunciare. Per avere una vita bisogna rientrare nella forma.

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Qual è a suo avviso l’opera nella quale questa dicotomia vita-forma è meglio rappresentata?

Non ci sono dubbi: senz’altro il romanzo Il fu Mattia Pascal , dove il protagonista, per sottrarsi al conformismo, compie un suicidio civile. Tuttavia, quando decide di comprarsi un cane deve rientrare nelle regole della società solo per il fatto che questo cane deve essere registrato. Se ci si ribella alle regole si rischia la nullificazione. Tutto questo ci porta a un’altra opera fondamentale che rappresenta benissimo il vuoto in cui si muove l’uomo moderno: Uno, nessuno, centomila.

In che modo questa scoperta pirandelliana si connette al mondo d’oggi e soprattutto al terzo millennio?

Viviamo in una società dove l’individualità è stata cancellata, dove è cancellata ogni memoria dell’identità. Oggi, molto di più di prima, si è, si appare, dietro una maschera. Così tutto quanto si fa, tutto quanto esiste, indossa la maschera di un grande spettacolo mediatico. Questo vale per qualsiasi attività dello spirito umano. E infatti assistiamo alla politica spettacolo, alla religione spettacolo, alla letteratura spettacolo. Una spettacolarizzazione che cancella la realtà vera. Noi non conosciamo veramente gli individui. Li vediamo solo come appaiono. In questo tipo di società lo spettro di Pirandello si allunga sempre di più.

 

Dove sono oggi le vie di fuga, i "suicidi" alla Mattia Pascal?

Vie di fuga non ne vedo, purtroppo ci sono molti suicidi. Penso ad esempio ai giovani che attraverso le droghe, o attraverso suicidi veri e propri, tentano di ribellarsi, di rompere questa catena di cui sentono l’inautenticità.

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Quella di Pirandello è un’opera senza speranza?

Per tirarsi fuori da questa situazione senza speranza Pirandello usa l’umorismo: il sentimento del contrario che poi corrisponde al sofisma, al paradosso. La soluzione però, non c’è. In un’opera come I giganti della montagna Pirandello immagina addirittura un mondo governato dai barbari, dove la poesia non sia più possibile, visto che all’attrice viene impedito di recitare.

 

Chi è l’erede di Pirandello?

Gli eredi di Pirandello sono molti. A cominciare da Eliot che disse di essere suo debitore fino a Beckett. Pirandello, ricordiamoci è quello ha rotto la quarta parete, entrando in mezzo agli spettatori, influenzando tutto il teatro moderno. Dal punto di vista del romanzo gli eredi più importanti direi che sono i tedeschi, Bernhard soprattutto. Tra gli italiani, Sciascia, che va ammirato per tutta la fatica che ha fatto a togliersi dalla grande ombra del suo conterraneo.

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