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Stanley Kubrick, il Grande Maestro

Gabriele Salvatores con Paola Casella

 


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So che sembrera' banale, o peggio ancora che daro' l'impressione di voler fare pubblicita' a Eyes Wide Shut, di cui gia' stanno parlando in troppi, ma il meglio del secolo nell'ambito cinematografico secondo me rimane il grande maestro Stanley Kubrick. Anche in passato, ogni volta che mi hanno chiesto quale film avrei voluto salvare per consegnarlo ai posteri, ho sempre risposto: l'opera omnia di Kubrick.

E' lui il regista che meglio rappresenta il cinema come grande spettacolo popolare che pero' non rinuncia alla visione d'autore, attraverso la quale raccontare cio' che non e' immediatamente visibile a occhio nudo. Sara' proprio questa infatti la caratteristica che il cinema dovra' portare con se nel prossimo millennio: la capacita' di filmare l'invisibile, in particolare i sentimenti -- odio, amore, gioia. Kubrick l'ha fatto, rivendicando a se stesso la dimensione di poesia, e ci ha lasciato così un'eredita' di indicazione poetica.

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Stanley Kubrick ha attraversato tutti i generi cinematografici -- con la sola eccezione del western -- rinnovandoli e fondendoli fra di loro. Ha introdotto nel linguaggio cinematografico tecniche che sono poi state adottate da tutti: dall'invenzione della steadycam in Spartacus all'uso degli obiettivi della Nasa in 2001 Odissea nello spazio e poi di quelli "larghi" di Arancia meccanica. Ha sperimentato tecniche narrative che poi sono state copiate infinite volte: ad esempio la frammentazione del racconto, che Kubrick usava gia' in uno dei suoi primi film, Rapina a mano armata, e che Quentin Tarantino ha ripreso pari pari in Pulp Fiction.

Con i suoi film, Stanley Kubrick ha affrontato tutte le ansie del nostro secolo, si e' fatto interprete delle fobie del Novecento: la bomba atomica in Dottor Stranamore, la solitudine dell'uomo in carriera in Barry Lyndon, lo spettro della follia in Shining, la propaganda militare in Full Metal Jacket che non e', come puo' sembrare, un film sulla guerra ma sulla comunicazione della guerra, su come una comunicazione di tipo coercitivo puo' ridurre gli adulti in bambini -- uno dei temi ricorrenti di Kubrick, che ha spesso ritratto l'uomo all'interno di un contesto sociale totalitario e condizionante: basti pensare ad Arancia meccanica.

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Non ho ancora visto Eyes Wide Shut, ma il romanzo da cui e' tratto, Il doppio sogno di Arthur Schnitzler, e' uno dei miei libri preferiti, il cui tema centrale e', secondo me, IL tema di fine millennio: come gli incubi e i fantasmi della psiche che si aggirano all'interno della coppia ridefiniscono il rapporto uomo-donna. Dopo il lungo predominio del potere maschile, dopo l'avvento del femminismo, oggi siamo arrivati alla ricerca dell'ermafrodito dell'anima, cioe' della fusione fra i due sessi -- o fra le nostre doppie identita' sessuali -- a livello spirituale. E questo tema Kubrick l'aveva gia' preannunciato fin dal '62 con Lolita, che raccontava un'ossessione sessuale ma anche la paura del protagonista di creare un doppio legame con una donna, diventandone totalmente schiavo.

Proprio con Lolita Kubrick si e' fatto la fama di misogino, ma io non lo vedo come un film contro le donne, proprio per niente. Si e' anche detto che Kubrick fosse un misantropo, per come trattava i suoi attori sul set. Io credo che bisognerebbe giudicarlo non sulla base del suo metodo di lavoro ma solo sulla base dei suoi film, apprezzandone la capacita' di partire da un punto personale di non-equilibrio, da un privato di profonda instabilita', e di utilizzarlo per capire il mondo, per rendere certi problemi individuali risonanti per tutti. Anche questa e' una caratteristica legata al Novecento, che non a caso e' il secolo di Freud e dell'introspezione psicologica elevata a interpretazione universale.

Molti hanno accusato Kubrick di essere eccessivamente freddo: e' la critica piu' semplice che si possa fare al regista, e anche la piu' banale. Forse era fredda la sua impostazione di lavoro, ma la comunicazione e' sempre stata calda, non improntata a favorire il pubblico, a lisciargli il pelo, ma a stupirlo, a schoccarlo. Come si fa a definire freddo un regista i cui film fanno "passare" emozioni fortissime -- pensiamo alla violenza di Arancia meccanica, che per il pubblico dei primi anni Settanta era quasi insostenibile, oppure alla commozione profonda che suscitano il finale di Spartacus, o quello di Barry Lindon: ogni volta che li si rivede, non si puo' fare a meno di mettersi a piangere. Solo 2001 Odissea nello spazio puo' essere definito "ghiacciato", ma perchè si tratta di una rappresentazione di un universo algido e lontano, tenuto volutamente a distanza "siderale".

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Stanley Kubrick e' un modello che sento molto vicino alla mia sensibilita', come se fra di noi ci fosse una sintonia dell'anima. Per questo apprezzo il suo cinema non solo a livello razionale ma anche a livello affettivo ed emotivo. Come metodo di lavoro siamo molto diversi: io ad esempio ho bisogno di un rapporto di complicita' con gli attori. Ma condivido la sua voglia di continuare a spostare l'obiettivo, a esplorare generi diversi, a misurarmi con cose sconosciute. Dopo la "trilogia" di Marrakech Express, Mediterraneo e Puerto Escondido avrei potuto continuare sul filone delle fughe, invece ho preferito affrontare temi nuovi: con Nirvana, o con i due progetti che ho in cantiere al momento -- l'adattamento cinematografico di Denti di Domenico Starnone e quello del Cromosoma di Calcutta di Amitav Gosh. Perche', come ci ha insegnato Stanley Kubrick, bisogna saper continuare a cercare

 

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