Jfk jr., eroe suo malgrado Gabriele Romagnoli
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Jfk jr., eroe suo malgrado
Questo articolo è stato pubblicato su La Stampa (www.lastampa.it) del 20 luglio
Poichè, come cantava Billy Joel, "solo i migliori muoiono
giovani", ecco che assistiamo, nuovamente, alla nascita di un mito e ripercorriamo le
tappe di un processo di beatificazione che trasfigura la storia personale di un individuo.
John Kennedy jr. "leroe", "il simbolo di una generazione" e,
inevitabilmente "licona del suo tempo". John jr. come suo padre, come
James Dean, come lady Diana. John nel ricordo sconsolato delle cameriere di Tribeca, il
suo quartiere, e di quanti, vicini di casa e turisti, depongono fiori e legano palloncini
al suo portone. John jr. nelle lacrime dei pellegrini al cimitero di Arlington, dove
salutò la bara del suo babbo presidente. John jr. nelle decine di migliaia di messaggi
commossi e nelle poesie messe in circolazione su Internet. John jr. nel coro dolente dei
media, inginocchiati a piangerlo, dove anche un iconoclasta come Christopher Hitchens, che
demolì madre Teresa di Calcutta nel libro "La posizione della missionaria",
canta lodi senza riserve.
"Solo i migliori muoiono giovani": per confermarsi allora
"migliore" e per conquistarsi limmortalità, John jr. doveva, appunto,
morire. E farlo in fretta. Perchè i Grandi che invecchiano al riparo della loro saggezza
ci stancano: le loro sembianze si dilatano, come per Marlon Brando, le loro opinioni
mutano o si consolidano nella difesa del potere che hanno conquistato: portiamo le
magliette di "Che" Guevara e non quelle di Fidel Castro. Lunico eroe è,
infine leroe morto: avrebbe avuto lo stesso successo "Titanic" se Leonardo
di Caprio non fosse rimasto ibernato per sempre nelloceano e nella sua sconsiderata
passione? Morendo giovane, John jr. si è conquistato uno "status" che lo
consegna al Pantheon dei miti dAmerica e rimane, per sempre, il figlio di una
nazione.

"Ti amavamo come genitori" ha scritto nel sito di
condoglianze di "America on line" Christine della Florida. Per i genitori i
figli non crescono mai, per gli Stati Uniti John jr. sarà in eterno il bambino vivace e
fiero, audace e incantevole, da mostrare con orgoglio al resto del mondo. Di più,
"un eroe". In unepoca senza coraggio, dove gli "eroi di guerra"
sono tre inesperti che si perdono oltre le linee nemiche e si fanno prendere prigionieri,
laudacia più grande diventa quella di vivere senza condizionamenti e riscattare la
propria libertà.
E diventata uneroina lady Diana per aver avuto il coraggio
di lasciare un marito importante e ingombrante nonchè palesemente innamorato di
unaltra donna. Diventa un eroe John jr. per aver portato agilmente il cognome dei
Kennedy, per aver pattinato in pantaloncini corti per le strade di Manhattan, per aver
parcheggiato, anzichè la limousine, la bicicletta fuori del suo bar abituale e aver
chiesto, sempre, con cortesia, se cera un posto disponibile. Si scava nella sua vita
e si scopre che aveva, come la madre, fatto beneficienza, dato soldi per la ricostruzione
di due stazioni a New York e per la creazione di una scuola per ragazzi neri disagiati a
Harlem. Diventa eroico, perfino, essersi buttato nellavventura editoriale, fondando
"George" un mensile di cui ora tutti tessono lelogio e nessuno dice che
era in difficoltà e se ne stava discutendo la chiusura.
John jr. diventa, sì, il simbolo di una generazione per quel che la
generazione rappresenta. Perchè lo mettono accanto a lady D e a Ally Mac Beal, eroina da
sit-com e confondono la realtà con la soap opera, dato che la prima è sicuramente più
avvincente e molto più incredibile. Lo chiamano "principe" come se appartenesse
a una favola, attribuiscono carattere regale alla sua famiglia e, ancora una volta, citano
"la maledizione dei Kennedy" che ha la stessa credibilità di quella della tomba
di Tutankamen. Se ci entri e pensi che il tuo destino sia segnato, poi vieni fuori,
cammini con incertezza e inciampi al primo ostacolo. Così, se ti chiami Kennedy e passi
lesistenza a sciare fuori pista senza le racchette e con gli occhi coperti, a
canmminare sui cornicioni, infine a guidare un aeroplanino con la caviglia ancora in
disordine in una notte di foschia, è probabile che ti faccia del male.

Proprio questo continuo flirt con il disastro è uno degli ingredienti
dellattrazione che i Kennedy esercitano sullAmerica. Il Paese se ne sta nel
cortile dietro casa a cucinare il barbecue e innaffiare il giardino e delega non solo le
proprie scelte politiche, ma anche i propri sogni di una vita spericolata, felice e, per
carità breve, a loro. Come ha scritto William Safire sul New York Times: "Dio non si
preoccupa di amministrare la Terra e gli uomini sono liberi e responsabili delle proprie
azioni: è questo che rende la vita ingiusta".
E questa, indirettamente, la risposta a chi ha immesso on line il
quesito: "Cosa sta cercando di dire Iddio ai Kennedy?". Semplicemente di non
guidare malandati e con il maltempo se vogliono restare banalmente vivi o di farlo se si
sentono migliori e intendono confermarlo morendo giovani e trasformandosi in
"eroi" e "icone", portando con sè, nolenti damigelle, mogli e
cognate. LAmerica, alla fine del secolo, si avvita su se stessa e torna agli Anni
Sessanta: ripete Woodstock, rimanda nello spazio John Glenn e ripiange John Kennedy. Si
risente giovane, disperata e ottimista. Passano in tv le repliche del discorso di Jfk:
"Non chiederti cosa il tuo Paese possa fare per te, ma cosa tu puoi fare per il tuo
Paese". Segue elenco delle buone azioni di John jr. Cera bisogno di un eroe.
Cera bisogno che morisse per poterlo celebrare.
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