Caso Silone/"Ma per favore non
chiamatelo spia" Antonio Carioti
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Caso Silone/"Ma per favore non chiamatelo spia"
Il seguente forum sul "caso Silone", come l'annesso articolo
di Federigo Argentieri, e' ripreso dal numero 54 di "Reset", uscito nello scorso
aprile. Riflette dunque lo stato del dibattito in quel momento. Intanto pero' la polemica
sui rapporti dello scrittore con la polizia fascista e' proseguita, facendosi sempre piu'
accesa.
Ne e' testimonianza un articolo dello storico Giuseppe Tamburrano, biografo del leader
socialista Pietro Nenni, che sara' pubblicato sul prossimo fascicolo di "Reset".
Si tratta di un'aspra confutazione delle tesi sostenute da Dario Biocca e Mauro Canali:
riesaminando i documenti portati alla luce dai due studiosi, Tamburrano giunge alla
conclusione che Silone forni' alla polizia solo informazioni generiche nel periodo in cui
il fratello Romolo era detenuto, con l'intento di aiutarlo. A questo scopo, ipotizza
Tamburrano, forse riattivo' un suo precedente rapporto, di natura personale e non
spionistica, con il funzionario Guido Bellone.
Nel frattempo pero' Biocca ha scritto per la rivista "Nuova Storia
Contemporanea" un secondo saggio sull'argomento, che arricchisce il quadro
documentale con stralci di altre informative inviate a Bellone e attribuibili a Silone.
Poiche' tali documenti risalgono al periodo 1923-25, essi sembrano confermare che la
collaborazione dell'allora dirigente comunista con la polizia precedette l'arresto del
fratello, avvenuto nell'aprile 1928.
La vicenda e' stata anche oggetto di un'interrogazione parlamentare al Ministero
dell'Interno, il quale ha risposto, il 20 maggio scorso, che il nome di Secondino
Tranquilli (alias Ignazio Silone) non figura negli elenchi degli informatori della
polizia. E Biocca sta preparando una vera e propria biografia del romanziere marsicano,
con relativa risistemazione di tutto il materiale ora disponibile. C'e' insomma da
aspettarsi che passi parecchio tempo prima che sul caso si possa scrivere la parola fine.
Zani: Vorrei iniziare con una premessa. Il dibattito suscitato dai saggi di Dario
Biocca e Mauro Canali mi è sembrato molto superficiale e male impostato. Non è un caso
che finora siano intervenute in prevalenza persone che non fanno il mestiere dello
storico: soprattutto giornalisti e anche politici. La prima cosa da fare quindi è
ritrovare un piano concreto di discussione sulla questione Silone, perché le risposte che
fino ad oggi sono venute ai due studiosi non sono entrate nel merito della documentazione
portata alla luce. Si è trattato invece di difese aprioristiche dello scrittore
marsicano, condotte sostanzialmente su un terreno pseudologico, astratto e confuso.
Vorrei citare solo uno di questi interventi, che può essere assunto come modello di molti
altri che si sono mossi sulla stessa linea. Mi riferisco a un articolo di Enzo Siciliano,
secondo il quale si sta facendo in modo che di unintera cultura non resti in piedi
niente, che tutto sia travolto dal fango. "Non conta si domanda che
Silone abbia scritto Fontamara o Vino e pane fra il 30 e il
37?" E aggiunge: "Sta passando oggi lidea che quel che un romanziere
ha scritto non ha più alcuna importanza. Parlo della sua opera, del valore e del
significato della sua opera. Ci si esercita in archivio, con pelosa, equivoca cura, per
mettere a nudo un vendicativo moralismo. Rimane oscuro in nome di cosa questo bagno di
fango venga compiuto".
In realtà non cè nulla di oscuro. Biocca e Canali non hanno fatto degli scoop
giornalistici basati su un documento dubbio interpretato in modo maligno. Hanno scritto
dei saggi storici su una rivista scientifica come "Nuova Storia Contemporanea",
che in parte raccoglie leredità della vecchia gloriosa "Storia
Contemporanea" di Renzo De Felice. Sono intervenuti in modo argomentato e solidamente
fondato. Si possono ovviamente discutere le conclusioni cui giungono, ma ci si deve porre
su un piano comune di riflessione.
Invece abbiamo raccolto reazioni che oscillano tra due poli estremi: da una parte si
afferma che questi episodi della vita di Silone dovrebbero essere considerati marginali
rispetto alla grandezza della sua opera; dallaltra si dice che, essendo così
eccezionale il suo valore di letterato, è impensabile che egli possa aver ricoperto il
ruolo di informatore della Polizia politica fascista. Entrambe queste tesi mi sembrano
aprioristiche e incapaci di entrare nel merito della ricerca di Biocca e Canali.
Vorrei aggiungere altre due osservazioni. La prima è che, dopo luscita di questi
due saggi, mi pare ci sia poco da obiettare a livello storiografico. Lintervento di
Biocca ci forniva alcune tessere molto significative, che però, secondo me, non davano
ancora unidea completa del mosaico. Devo dire però che, dopo gli ulteriori elementi
portati in luce da Canali, mi sembra che ci siano pochi dubbi su quello che i due storici
sostengono. Che Silone e il fiduciario della polizia Silvestri fossero la stessa persona
è ormai accertato: il fatto che si possa seguire il percorso dei rapporti trasmessi
dallinformatore, facendoli coincidere esattamente con le tappe dei viaggi compiuti
da Silone in Europa per via dei suoi incarichi politici, mi sembra decisivo. E del resto
ci sono le cose che lo stesso scrittore abruzzese scrive nel 1924, rievocando in modo
allusivo il momento iniziale della sua doppia vita di militante rivoluzionario e
informatore della polizia.
La seconda considerazione è che il contributo portato da Biocca e Canali risulta
tuttaltro che irrilevante in una valutazione storica complessiva della figura di
Silone. Non stiamo parlando di un letterato che magari, come tanti altri, in una certa
fase della sua vita si è fatto finanziare dal ministero fascista della Cultura popolare.
Qui la situazione è diversa. Silone è un grande romanziere, ma è al tempo stesso un
politico di primo piano, che ha svolto ruoli di notevole rilievo prima nel Partito
socialista, poi in quello comunista e quindi nuovamente nel Psi. Basterebbe questo
elemento per dare lesatta dimensione della scoperta compiuta.
Dico di più. Io non condivido la scissione di piani tra il politico e lo scrittore. A mio
avviso siamo di fronte a una grande occasione per rileggere globalmente la vicenda umana
di Silone e anche la sua opera letteraria: unoccasione che andrebbe colta, non
scansata con chiusure pregiudiziali e astratte. Sarebbe sciocco pensare che il giudizio
sul personaggio possa rimanere immutato in seguito allemergere di questi nuovi dati
sulla sua vita. Qui non parliamo di condanne morali. La figura di Silone, a mio parere,
non ne esce sminuita, ma semmai per certi versi ingigantita nella sua tragicità. Sarebbe
molto utile cercare, nei suoi scritti come nella sua biografia, tracce che possano
aiutarci a decifrare un percorso di vita così complesso.
Silone stesso butta là una frase significativa, in un passo di Uscita di sicurezza
nel quale parla del nichilismo, degli scrittori finiti suicidi. Domanda ai lettori:
"Le vicende degli autori hanno meno importanza dei loro libri?" E risponde:
"Non credo". Io sono completamente daccordo con lui.
Sabbatucci: Condivido quanto ha detto Zani. Penso che questa sia una storia sicuramente
triste e inquietante, che va però raccontata e approfondita.
Credo che la vicenda sia triste in due sensi. Lo è il caso di Silone in sé, umanamente
parlando. Ma lo è anche la polemica seguita ai saggi di Biocca e Canali, per le reazioni,
quanto meno sconcertanti, cui abbiamo assistito. Su queste ultime preferisco però parlare
nel secondo giro dinterventi, mentre adesso vorrei soffermarmi sulla sostanza della
questione venuta alla luce con le ricerche darchivio dei due studiosi.
Come premessa chiarisco che a mio avviso il caso ha una base fattuale assolutamente non
contestabile. Però bisogna fare attenzione. Non siamo di fronte, come qualcuno ha
scritto, al tradimento di un alto dirigente comunista che si vende allOvra, il
servizio segreto fascista. Si tratta invece di un ragazzo di circa ventanni, il
quale ha appena cominciato la sua militanza socialista. Questo giovane instaura un
rapporto di fiducia, per certi aspetti quasi di amicizia, con un funzionario di polizia,
che lo recluta come informatore. Non stiamo parlando però della polizia fascista, perché
ci troviamo negli anni precedenti alla marcia su Roma. Il funzionario in questione, che
risiede a Roma dal 1899, è un uomo di formazione giolittiana, dotato di grande esperienza
e sembra di capire anche di notevoli qualità.
Il giovane Silone in pratica comincia quasi contestualmente due carriere: quella di
dirigente politico nazionale del movimento operaio e quella di collaboratore della
polizia. Confesso anzi di avere qualche dubbio su quale delle due fosse la più
importante. Infatti le lettere di cui disponiamo non hanno il tono tipico con cui
linformatore prezzolato si rivolge a chi lo ha arruolato, tuttaltro. Penso
alla lettera del 1924 in cui Silone-Silvestri annuncia come "una buona notizia"
il fatto di essere divenuto "capo di tutto il movimento comunista italiano per la
Francia, il Belgio e il Lussemburgo". Luso di unespressione del genere
("una buona notizia") attesta lesistenza di un rapporto autenticamente
cordiale con il suo interlocutore. Ancor più lo testimonia lultima lettera, datata
13 aprile 1930, che è piena di rispetto e sofferenza. Non dice: "Basta, voglio
spezzare questo sporco legame" o qualcosa di analogo. Non usa le parole che ci
aspetteremmo da un delatore che rompe con il suo referente.
Insomma, il rapporto tra i due ci appare intrigante, meritevole di essere studiato. Non è
il legame fra il traditore e laguzzino, ma il rapporto, quasi paritario, tra un
giovane intelligente, tormentato da una serie di problemi che forse non conosciamo ancora
appieno, e un funzionario di polizia senza dubbio molto capace. Come il vincolo si sia
stabilito per il momento non lo sappiamo, ma è una questione da approfondire. Faccio
unipotesi: questo legame dà a un giovane di provincia, appena ventenne, la
possibilità di viaggiare per il mondo e di occuparsi della famiglia bisognosa di cure.
Gli procura denaro: non per fare la bella vita, ma per ampliare i propri orizzonti e far
uscire i parenti dalle ambasce del bisogno.
E comunque un equilibrio precario, difficile, che porta poi Silone al ricovero in
una clinica per malattie nervose e infine a uscire da tutto. Vista in questa chiave,
ovviamente, lUscita di sicurezza di Silone è tuttaltra cosa rispetto a
una semplice rottura con il Pci. Ricordiamo che le circostanze della sua separazione dal
partito sono sempre apparse agli storici misteriose, strane, oscure, ben diverse da quelle
riguardanti Angelo Tasca, i cosiddetti "tre" o Amadeo Bordiga. Tutti casi in cui
il dissenso politico era emerso in modo limpido.
Sembra ovvio concludere che a un certo punto Silone è uscito dalla situazione in cui si
era cacciato, ha rotto in modo molto onesto con entrambe le due vite che stava conducendo
e ne ha iniziata da zero una nuova. Lo scrittore, il saggista, il socialista cristiano
nasce nel 1930: prima ci sono dieci anni di unesperienza per certi aspetti
allucinante e anomala, che è necessario studiare.
Resta poi da sapere, per un giudizio etico su tutta la faccenda, quale fu il grado della
collaborazione di Silone e quale il prezzo, per esempio in termini di arresti di compagni.
Canali e Biocca ci stanno lavorando e attendiamo i risultati dei loro studi. Non
escluderei neppure che la vicenda abbia procurato al Pci danni limitati, perché si può
collaborare con la polizia fornendole informazioni dosate in modo da non risultare
particolarmente rilevanti. Non voglio fare paragoni impropri, ma pensate al caso di certi
terroristi "dissociati", come Valerio Morucci, che hanno ristretto molto il
raggio delle loro rivelazioni, per esempio rifiutandosi di fare nomi. I gradi di
collaborazione possono essere diversi, fermo restando che al funzionario di polizia Guido
Bellone faceva comunque molto comodo disporre di una fonte riservata dallinterno del
Pci, anche se questo non si traduceva in informazioni di portata clamorosa.

In conclusione, siamo di fronte a una storia tragica, ma anche appassionante, piena
dinterrogativi aperti, che potrebbe essere un soggetto ideale per un romanzo. Ma è
anche lennesima prova di quanto, anche in quegli anni di ferro, fossero labili i
confini tra uno schieramento e laltro. E di come in certe scelte potessero contare,
al di là delle ideologie, i moventi personali. Spesso si passava da un campo a quello
opposto per ragioni strettamente individuali: vale per Silone, ma anche per tanti altri.
Esposito: Innanzitutto vi porto il saluto del Centro di studi siloniani che sorge a
Pescina dei Marsi, nella terra di Silone e dei "cafoni"a lui cari. Ho accolto
con piacere linvito di "Reset", perché anche noi stiamo pensando di
organizzare un incontro del genere, magari esteso in forma di convegno, con la
partecipazione dei professori Biocca e Canali. Lo faremo probabilmente entro giugno.
Il mio interesse deriva anche dal fatto che mi considero scusate la presunzione
un siloniano della prima ora. Ho conosciuto il grande scrittore quando avevo sedici
anni e lho seguito sempre. Addirittura nel 1953 ho fatto anche dei comizi per
controbattere le accuse infamanti che gli venivano mosse nella Marsica. Erano tempi
difficili, in cui Silone, appena rientrato in Italia, militava nelle file socialiste e si
attirava i duri attacchi degli avversari, di destra e di estrema sinistra, che
contestavano le sue posizioni politiche.
Fatta questa premessa, si potrebbe pensare che io sia la persona meno indicata per
partecipare al presente dibattito, perché ho la patente di difensore dufficio di
Silone e non potrò far altro che rifiutare ogni critica rivolta nei suoi confronti.
Invece no. Dovete credere che, anche come discepolo ideale di Silone quale, nonostante
tutto, tuttora mi ritengo, sono venuto qui per ragionare pacatamente. Vi confesso che ho
passato delle notti insonni a meditare sul problema da voi sollevato. Non deve sembrarvi
esagerato quanto vi dico: per me non è in gioco la figura di Silone, ma trovo
intollerabili certe strumentalizzazioni che si sono innestate su questa vicenda.
Non mi pongo sullo stesso piano di Enzo Siciliano e di Indro Montanelli. Potrei dire
anchio semplicemente: "Non ci credo". Vi dico invece che, pur essendo
portato a non crederci, comunque voglio usare la mia testa per cercare di capire. Non sono
uno storico né un archivista, mi occupo di critica letteraria da quasi mezzo secolo. E ho
scritto su Silone numerosi libri e articoli, a partire dal 1952-53. Potete quindi
immaginare quanta sofferenza persone come me, come Luce dEramo e come tante altre,
abbiano provato per questa vicenda.
Non essendo uno specialista di storia, e non potendomi quindi dedicare alla ricerca di
documenti che possano contrastare quelli esibiti dai nostri amici qui presenti, mi attengo
alle carte che Biocca e Canali hanno studiato. Aggiungo che hanno fatto bene a studiarle,
perché hanno sollevato un problema serio. Io non nego assolutamente il diritto di
indagare su una questione del genere. Cè anzi il dovere di fare la massima
chiarezza, su Silone come su chiunque altro. Però non cè il diritto di propalare
il frutto delle ricerche, quando ancora non sono ultimate come voi stessi precisate,
offrendolo in pasto ai lettori in modo sensazionalistico.
Mi riferisco ai titoloni, di cui certo voi non avete nessuna responsabilità, con cui i
maggiori organi di stampa, dal "Corriere della Sera" a "Repubblica",
hanno dato per scontato che Silone fosse una spia. Addirittura
"LEspresso", travalicando tutti i limiti della decenza, ha presentato un
fotomontaggio di Silone vestito in orbace con il titolo: Confesso che ho spiato.
Qui siamo alla follia giornalistica. Non è sicuramente colpa vostra, ma di una stampa che
ha creduto di cogliere loccasione per fare cassetta sulla pelle di Silone. Cè
stata una vera a propria campagna denigratoria.
Nei saggi che Biocca e Canali hanno pubblicato su riviste serie il tono era diverso, anche
se a tratti, debbo dire, cè stato un eccesso di ironia verso i cosiddetti
"silonisti". Non cè da ironizzare, perché largomento, come si è
detto poco fa, è davvero drammatico. E non potete pretendere che si accettino a scatola
chiusa le vostre conclusioni: dovete consentire a chi dissente da voi di esprimere la
propria opinione.
Io ho cercato di applicare un criterio logico. E mi pare di poter obiettare che i
documenti pubblicati non portano a una certezza assoluta. In questo non mi trovo
daccordo con i due interventi che mi hanno preceduto. Un primo interrogativo
riguarda lidentificazione di Silvestri con Silone. Questo binomio si può dare per
certo? Dalle carte ritrovate sembrerebbe di sì. Però nel fascicolo di Silone presso il
Casellario politico centrale vengono indicati parecchi pseudonimi e manca proprio quello
di Silvestri.
Canali: Attenzione, Nel Casellario si trovano gli pseudonimi che Silone usava
allinterno del movimento comunista, mentre Silvestri era quello da lui adottato nei
rapporti con la polizia.
Esposito: Forse la mia è unobiezione superabile, puramente formale, però non posso
fare a meno di rilevare questa assenza.
Vorrei poi avanzare altri rilievi. Mi pare ci sia un po di confusione sul ruolo di
Silone. Informatore, spia, delatore? Occorre mettersi daccordo, perché le parole
hanno un significato preciso. Bisogna vedere se si tratta di un semplice informatore, come
sembra risultare dai documenti, e precisare chi e che cosa denuncia alla polizia. Poi
bisogna trovare anche un perché, che al momento manca. Che cosa lo ha indotto ad agire
così? Quali finalità, quali scopi perseguiva? Fino a quando le ricerche non daranno una
risposta chiara a queste domande, non mi pare si possano presentare conclusioni
convincenti per tutti.
Entrando ancora più nella sostanza, faccio unaltra osservazione. Questo Silone che
è un fiduciario della polizia, quindi ne riscuote la fiducia, non è in grado di
avvalersene per sottrarre il fratello minore Romolo ai rischi che corre e che lo portano
alla morte. Non poteva, con i contatti di cui disponeva presso le autorità fasciste,
facilitare lespatrio del fratello? Romolo si trovava a Venezia. Tramite Edoardo
DOnofrio Silone gli fa sapere di recarsi a Como, dove avrebbe dovuto incontrare
Luigi Longo, che lavrebbe dovuto accompagnare in Svizzera. Poi la situazione
precipita: cè la strage alla Fiera di Milano e Romolo viene arrestato come presunto
responsabile dellattentato. Corre addirittura il rischio di essere fucilato dopo
unistruttoria sommaria e poi rimane in prigione due anni prima di essere condannato,
come comunista, a dodici anni di reclusione. E soffre pene amare: non solo viene
barbaramente seviziato dalla polizia fascista, ma subisce ulteriori violenze nelle carceri
di Perugia e di Roma. Muore di tisi nel penitenziario di Procida, nel 1932.
Come mai Silone, depositario di tanta fiducia da parte di alti esponenti della polizia,
non è capace di far espatriare il fratello in modo sicuro, né di evitargli la successiva
tragedia? Questo è un problema essenziale, al quale voi storici dovete dare una risposta,
perché la vicenda di Romolo lascia Silone traumatizzato.
Mentre si consumava questa tragedia, lo scrittore ha una crisi tremenda con le strutture
dirigenti del Pci, che lo porta a rompere con il partito. E non credo si possa sostenere
che tutto consista nelluscita dalla doppiezza di un uomo che teneva il piede in due
staffe. Mi sembra che da questo punto di vista le vostre ricerche siano ancora indiziarie,
non si fondino su elementi completamente accertati
Aggiungo unaltra osservazione. Si è insinuato negli articoli giornalistici (i
vostri saggi sono più prudenti) che Silone si sia venduto, che fosse un prezzolato. Ma
voi non lavete conosciuto. Ha sempre disprezzato il denaro ed è morto povero. Nel
dopoguerra avrebbe potuto diventare ministro, poi presidente della Rai, ma ha
costantemente rifiutato ogni offerta.
Tranquilli: Non era nemmeno proprietario della casa dove abitava.
Esposito: Proprio così. Se voi conosceste approfonditamente ladolescenza di Silone,
capireste che in lui cera un rifiuto totale dellopportunismo. A sedici anni
scrive tre articoli sull"Avanti!" contro le malversazioni che si facevano
nella Marsica dopo il terremoto del 1915. Aveva già allora una visione della vita
moralmente integra. Tra i venti e i trentanni può avere avuto dei momenti di
debolezza, ma non per il denaro. Se non ci sono prove che attestino in maniera
inequivocabile che abbia ricevuto quattrini, non si può tacciarlo a cuor leggero di
essere stato un venduto.
Tranquilli: Ho accolto con piacere linvito a partecipare, ma ho molta difficoltà a
intervenire. Laffetto che mi legava a Silone, ricambiato anche dalle costanti
premure che egli ha rivolto verso di me e mia sorella dopo la morte di mio padre, mi mette
a disagio.
Mio padre, Pomponio Tranquilli, prima ancora che cugino di Silone, fu l'amico fraterno, il
solo della famiglia Tranquilli (allepoca la più numerosa di Pescina, ligia alla
monarchia e al fascismo) a seguirlo in quella scelta politica che significò rottura con
tutti. Fu mio padre ad occuparsi di Romolo fino alla sua morte, avvenuta il 27 ottobre
1932 a Procida. Una tragedia che lo segnò molto profondamente, tragedia che cercò di
lenire scegliendo per me quello stesso nome e coltivando in sé la speranza che Silone,
"scrittore famoso", scrivesse delle sofferenze di suo fratello. Non avevo ancora
tredici anni quando egli venne a trovare mio padre in punto di morte e mi colpì il gesto
di rifiuto delle lettere di Romolo dal carcere che papà tentò di consegnargli.
Allepoca mi sembrò un rifiuto bello e buono, ma successivamente, frequentandolo, mi
convinsi che egli era preso da un grande rimorso per il fratello, una sofferenza che si
portava addosso da sempre e che mi impedì di chiedergli di Romolo, anche in momenti di
grande confidenza. Avrei voluto chiedergli perché aveva negato la militanza comunista del
fratello; perché addosso a Romolo era stata trovata una boccetta di veleno e chi gli
aveva consegnato a Venezia la carta didentità falsa con cui non sarebbe mai potuto
espatriare. Fu così che più di ventanni fa (Silone era ancora vivo), indirizzato
dal professor Paolo Spriano, cominciai a cercare allArchivio centrale dello Stato,
non come uno storico, che non sono, ma come un figlio che non sa chi è suo padre e
insegue la verità.
Per cercare Romolo scoprii un Silone rivoluzionario, perseguitato dalla Polizia politica e
completamente imbrigliato nella matassa del movimento comunista, tra infiltrazioni, doppi
giochi e tatticismi. E per questo che io mi auguro che il professor Biocca, al quale
ho affidato il mio materiale, e il professor Canali sappiano ricostruire organicamente i
fatti, non limitandosi allanalisi di qualche documento e non lasciando spazio a
strumentali polemiche giornalistiche, sin qui abbondanti e rumorose.
Agli amici di Silone, e particolarmente al professor Esposito, forse non sono apparso
sufficientemente indignato di fronte allimmagine di Silone in orbace e insultato
come "spia fascista", ma è proprio linsegnamento di Silone che mi induce
a non rispondere alle provocazioni e ad andare dritto alla verità. Sono convinto che un
serio studio sulla realtà del suo vissuto, vissuto complesso e forse torbido, ce lo
restituirà più vero, più umano e con un più alto spessore letterario, spazzando via
definitivamente quella figura agiografica, da santino, in cui spesso lo si vuole relegare.
Dunque, per me Silone era Silvestri. La lettera dellaprile 1930 è non solo
calligraficamente autentica, ma in essa cè tutto il suo essere: cè
soprattutto palesemente espresso il bisogno morale che attraversa tutta la sua opera e che
lha elevato tra le massime coscienze di questo secolo. Leggendo quella lettera si
comprende meglio il suo rimorso: egli dice basta a un gioco che si stava facendo sempre
più sporco, costringendosi ad abbandonare suo fratello proprio nel momento in cui ha più
bisogno di aiuto.
Romolo, nella lettera autografa indirizzata a Silone nellaprile del 1931, lamenta di
aver ricevuto una sola lettera in nove mesi e a lui si rivolge in questo modo curioso ma
anche drammatico, per chiedergli denaro per le sue medicine: "Come si vede che sei
stato in collegio dai preti e che sei, nonostante il tuo andare per il mondo, di
sentimenti borghesi. Tu perdonami e non ti offendere se il mio spirito antiborghese,
comunista, qualche volta ti mordicchia; è che il carcere mi ha reso nervoso ed io non
perdono a nessuno, tantomeno a te, certe piccole, dolci debolezze. Purché i soldi mi
arrivino, se no non ti perdono davvero per non avermeli mandati". Tutto ciò accadeva
mentre Silone, malato e depresso, subiva quel processo politico che lo portò
all'espulsione dal Partito comunista. Credo che sia interessante riprendere le
argomentazioni trattate dal professor Ormea nel capitolo Il caso Silone del suo
libro Le origini dello stalinismo nel Pci del 1975. Ritengo quindi necessario per
voi studiosi approfondire il ruolo di Silone allinterno del Pci. Penso che egli
continuò a combattere anche per trasformare il partito, almeno fino al gennaio del 1930,
con la cosiddetta "Piattaforma Pasquini".
Biocca: Questa vicenda, per ciò che concerne la ricerca archivistica, è iniziata molto
tempo fa: nel 1992. Oggi, finalmente, ne discutiamo per la prima volta su un piano diverso
da quello, puramente giornalistico, dellincredulità, dello scandalo, della polemica
aspra e persino degli insulti (ci sono stati anche quelli). Un aspetto interessante e che
possiamo esaminare riguarda dunque la difficoltà che molti hanno incontrato
nellassorbire e, per così dire, metabolizzare la nuova documentazione.
Diversi anni fa, appena tornato dagli Stati Uniti, mi ero imbattuto nei documenti che ho
poi presentato nel mio lavoro apparso su "Nuova Storia Contemporanea". Non
immaginavo, allora, quale sarebbe stato il loro impatto. Ritenevo che sarebbero stati
accolti come un elemento sorprendente ma utile a chiarire alcuni elementi della vicenda
umana e politica di Silone, per molti aspetti conosciuta solo in parte e
frammentariamente. Invece le cose hanno preso una piega ben diversa.
Nella polemica si sono incrociati molti linguaggi (giornalistici politici, biografici,
ecc.) ma sempre gli stessi, inefficaci strumenti interpretativi. Canali ed io, come
sapete, abbiamo invece scelto per il momento di attenerci rigorosamente allesame
documentario e archivistico. A questo proposito vorrei dire al professor Esposito in modo
chiaro e, se possibile, una volta per tutte, che le prove che Silvestri fosse Ignazio
Silone, evidentissime, sono state ormai discusse e verificate in ogni dettaglio. Il mio
saggio, come lei ricorda, esamina anche le altre possibili ipotesi ma nessuna risultava
convincente. Se dunque ogni volta rimettiamo in discussione i dati acquisiti, la
riflessione non procederà in alcuna direzione. E losservazione che lo pseudonimo di
Silvestri non figura nel Casellario politico è solo una ulteriore conferma di quanto
andiamo sostenendo: la Polizia politica non avrebbe inserito il nome di copertura
attribuito a un fiduciario così importante in un elenco accessibile a tutte le questure.
Le precauzioni erano infinite e solo pochi funzionari nellapparato della Pubblica
sicurezza conoscevano la identità dellinformatore che operava ai vertici del Pci;
si contano forse sulle dita di una mano.
Il termine "fiduciario", inoltre, era adottato dalla polizia per designare chi
svolgeva attività di infiltrazione agendo secondo le indicazioni dei funzionari della Ps.
Quanto ad appellativi come "spia" e "delatore", li si applica oggi nel
linguaggio giornalistico e politico, attribuendo ad essi un significato grave e infamante
per la condotta morale di chi si trova sotto accusa. Molti giornali lhanno fatto, ma
io vorrei esortare alla cautela perché la vicenda ha ancora risvolti complessi e queste
categorie interpretative e questi termini non ci aiutano a capire cosa sia realmente
accaduto e soprattutto perché.
Concordo dunque con quanto è stato detto sulla povertà del dibattito. In realtà non
cè stata una vera discussione. Ciò che allinizio mi aveva lasciato sorpreso,
perplesso e anche preoccupato era il modo in cui reagivano alcuni studiosi e soprattutto
quanti avevano direttamente contribuito a tracciare il profilo storico e ideologico
dellantifascismo e di Silone in particolare. Molti si comportavano come se i
documenti rinvenuti in archivio fossero destinati a far rumore sulla stampa per poi
sparire senza lasciar traccia. Eppure doveva apparire ben evidente sin dallinizio
che si era appena scalfita una complessa realtà documentaria, che nuove carte avrebbero,
poco a poco, chiarito la vicenda. E che molti altri documenti sarebbero stati resi noti.
E infatti emersa a tuttoggi, per così dire, solo la punta di un iceberg. E
cè anche, nel caso di Silone, un secondo capitolo da esplorare e sul quale, per il
momento, sono stati rinvenuti solo alcuni (benché evidenti) indizi; mi riferisco agli
anni della seconda guerra mondiale. Anche allora Silone svolse attività informative,
questa volta per le agenzie della intelligence americana. Perché lo fece,
riaprendo una ferita che non poteva essersi rimarginata? Con quali obiettivi e a quale
costo?
Sono stati esaminati, negli interventi che mi hanno preceduto, alcuni temi di particolare
interesse. Penso al rapporto tra esperienza personale e politica da un lato e letteratura
dallaltro. Vorrei aggiungere che, dopo la lunga fase di rapporti con la Polizia
politica, la trasformazione di Silone passò attraverso una complessa terapia
psicoanalitica. Non si tratta di un dato irrilevante e, anzi, può darsi che esso sia
essenziale alla decifrazione e alla comprensione del personaggio. Ci troviamo forse
davanti a una completa rigenerazione e alla ricostruzione di unindividualità e del
suo intero sistema di valori. Purtroppo non avremo accesso alle note del terapista che
seguì la "rinascita" di Silone. Tuttavia, grazie ad altre documentazioni,
bisognerà provarsi a riflettere su come questo processo si sia articolato e su ciò che
avvenne, al contempo, alla memoria e alla immaginazione stessa di Silone.
Cè infatti un elemento che ritengo di particolare importanza: negli anni Trenta e
lungo tutto il corso successivo della sua vita, Silone osservò, trasformandolo
incessantemente, il proprio passato, attribuendo coerenza a fatti, episodi e comportamenti
che mai avrebbero trovato spiegazioni "razionali" o facilmente comprensibili
agli altri. Ritroviamo questo processo di ricomposizione della memoria in tutti gli
scritti autobiografici. Alcune ricostruzioni risultano evidentemente alterate rispetto
allo svolgimento dei fatti. Vi ricordo, tra tutti, il celebre racconto in cui Giuseppe Di
Vittorio avrebbe esortato Silone a rimanere nel partito, mentre in realtà Di Vittorio non
partecipò neppure alla riunione né discusse con Silone della sorte di Angelo Tasca,
Pietro Tresso e degli altri dissidenti espulsi dal Pci. Oppure la descrizione del viaggio
a Mosca nel 1927, presentata al pubblico come se Silone avesse già allora intuito la
tragedia del totalitarismo, mentre la battaglia politica in Urss era in quella fase aspra
ma non ancora risolta definitivamente a favore degli staliniani. O, ancora, il racconto
del dissidio con i vertici del Pci nel 1928-30 una vicenda che si svolse, in
realtà, in modo ben diverso rispetto al racconto di Silone ma che ora, finalmente,
possiamo cominciare a riesaminare alla luce della nuova documentazione.
Silone dunque ricostruì non soltanto la propria identità politica e culturale, ma anche
e soprattutto la propria memoria. Questo processo prese forma nella scrittura
autobiografica e letteraria. Silone spiegò agli altri e a se stesso gli avvenimenti del
passato rielaborandoli, arricchendoli di particolari ogni volta nuovi e inediti, cercando
senso e significato in quanto era accaduto, nascondendo ciò che non poteva essere
ricordato o rielaborato. In fondo, forse, è quello che fece una generazione di italiani
nel corso del dopoguerra: il tema del tradimento, della fedeltà e della colpa era
profondamente avvertito in quegli anni anche se finora questo aspetto della
società e della cultura italiana non è stato attentamente studiato. Silone potrebbe
rivelarsi la voce anche di altre, tormentate coscienze del dopoguerra, del post-fascismo,
della guerra fredda.
Canali: Innanzitutto vorrei far notare, e non per spirito polemico, che sulla stampa
lironia è stata usata a piene mani anche dai settori culturali schierati in difesa
di Silone. Anzi, si è arrivati quasi al linciaggio personale.
Io mi sono avvicinato alla questione dopo che era uscito il saggio di Biocca e ho potuto
leggere le reazioni dei giornali. Il quotidiano abruzzese "Il Centro", per
esempio, ha dato pessima prova di sé nel collocarsi di fronte a una ricerca scientifica.
Tuttora su quelle colonne si mette in discussione lautenticità dei documenti con
unanalisi filologica falsa e fuorviante. "Il Centro" addirittura ha
intervistato un medico che ha conosciuto occasionalmente Silone negli anni Cinquanta e che
si permette di negare ogni attendibilità alla nostra ricerca soltanto perché lo
scrittore non ha confidato a lui di essere stato un informatore.
Esposito: Questa però è stampa provinciale. Vogliamo mettere leffetto di
unintervista sul "Centro" con quello di un articolo sul "Corriere
della Sera" o sull"Espresso"?
Canali: Del "Corriere" parlerò dopo, ma volevo far notare che gli ambienti
siloniani, o legati alla cultura locale dellAbruzzo, sono stati in prima fila in un
certo modo di fare polemica.
Sulla sostanza dellargomento vorrei aggiungere solo alcune cose in modo sintetico.
Lidentificazione di Silvestri con Silone è indiscutibile. Non significa niente il
fatto che lindirizzo sulla busta fosse scritto con una calligrafia diversa. Era la
Polizia politica stessa che consigliava ai suoi informatori di far compilare
lindirizzo a unaltra persona, proprio per evitare che la loro calligrafia
fosse riconosciuta.
Un altro errore è considerare solo il Silone informatore dellinizio degli anni
Trenta, dimenticando che la sua attività in quel periodo è il risultato di un percorso
cominciato da giovane. Così si stravolge il dibattito. Mi sembra quindi opportuno il
richiamo di Sabbatucci alle origini della vicenda e ai processi di condizionamento che ne
determinano lo sviluppo. Se un giovane socialista prende a collaborare, è chiaro che
diventa immediatamente oggetto di un ricatto da cui è assai difficile uscire.
Silone era un uomo molto intelligente. Noi abbiamo visto delle informative che denotano
una maturità politica incredibile in un ragazzo poco più che ventenne. La sua relazione
dalla Spagna è una descrizione magistrale dellintreccio fra i numerosi spezzoni del
movimento operaio iberico. Basta leggere quelle pagine per capire tutto dei rapporti tra
comunisti, socialisti, anarchici. Non dimentichiamo che nello stesso periodo Silone dirige
"LAvanguardia", giornale dei giovani prima socialisti e poi comunisti.
A questo punto capisco bene il funzionario Bellone, che si tiene stretto un informatore
così prezioso e probabilmente lo ricatta, anche se il ricatto può assumere
laspetto bonario di un legame che vuole evitare i risvolti più sgradevoli di una
simile attività. Così, ad esempio, nella lettera del 1930 Silone parla di "rapporti
leali" con Bellone. Se poi andiamo a leggere i necrologi di Bellone nel dopoguerra,
constatiamo che tutti concordano nel sottolineare le sue caratteristiche di persona capace
di accattivarsi le simpatie del prossimo.
Voglio inoltre far notare che il fenomeno della delazione in quegli anni è molto esteso.
Siamo in presenza di parecchi fiduciari. In genere il sovversivismo dellepoca,
soprattutto tra i giovani, si alimenta di personaggi piuttosto sradicati, che hanno un
percorso esistenziale tortuoso. Faccio un altro nome, che poi ritorna nella vita di
Silone: Buscemi. Anche su questo nome si è fatta della polemica, ma che Buscemi negli
anni Venti fosse un informatore risulta accertato. E lambasciatore italiano a
Parigi a scrivere nel 1928 al capo della polizia che Buscemi aveva reso servigi notevoli
allambasciata.
Buscemi già in questo periodo è amico personale di Silone. E, guarda caso, nel 1942 è
proprio lui che riaggancia Silone in Svizzera. Più tardi i due operano per alimentare la
spaccatura nel Partito socialista. Siamo in possesso di rapporti scritti da Silone,
nellottobre del 1944, non al Dipartimento di Stato americano, ma al servizio segreto
Oss, che poi diventerà la Cia. Documenti in cui si attacca Pietro Nenni e si prefigura la
scissione.
Sabbatucci: E strano, perché poi Silone non segue Saragat a Palazzo Barberini e il
suo percorso successivo è molto complicato. Tiene una posizione assai diversa da quella
di Buscemi.
Canali: Infatti il suo percorso andrebbe indagato. Ma non dimentichiamo che anche nelle
vicende comuniste del 1929-31 Silone mantiene un profilo basso. Non esce allo scoperto
come gli altri oppositori, ma si fa cacciare via.
Sabbatucci: Non metterei insieme due vicende che hanno ben poco in comune.
Canali: Daccordo. Ma una relazione in cui Nenni viene indicato come un pericolo, per
via del suo appiattimento sul Pci, è significativa.
Sabbatucci: Mi pare che Silone avesse perfettamente ragione.
Canali: Non intendo certo negarlo. Voglio solo rimarcare che tra lui e Buscemi si
ripristina un vecchio collegamento, perché già negli anni Venti mantenevano rapporti
molto stretti, come risulta da diversi documenti. Si tratta di materiale ancora da
interpretare completamente, che delinea un nodo da sciogliere, di cui però si cominciano
a intravvedere i contorni.
Ciò che mi sembra sbagliato è la tendenza a leggere lintera vita di un personaggio
come Silone con ununica chiave interpretativa. Cercare in essa la coerenza
dallinizio alla fine significa immaginare qualcosa di diverso da ciò che è
normalmente lesistenza di un individuo, le cui scelte possono variare nel tempo.
Pensiamo alla lettera che invia alla sua compagna, Gabriella Seidenfeld, nellagosto
del 1924. E un documento noto, su cui però non si è riflettuto abbastanza. Ci
parla di un uomo che ha vissuto, e forse in parte sta ancora vivendo, un lungo periodo di
sbandamento. Silone confessa addirittura che era arrivato a dimenticare per mesi
lesistenza di suo fratello Romolo.
Ebbene, per la mia lunga frequentazione degli archivi di polizia, non posso fare a meno di
osservare che proprio questi, di solito, sono i caratteri psicologici del fiduciario.
Lapparato repressivo recluta gli informatori tra persone che mostrano segni di
debolezza, approfittando della loro fragilità. Non si rivolge certo ai militanti tutti
dun pezzo. Ma su quella lettera, importante a mio avviso per capire la condizione
psicologica di Silone al momento del suo "compromesso", i difensori dello
scrittore non hanno riflettuto adeguatamente.
Per concludere va segnalato che lattività informativa di Silone negli anni dal 1920
al 1924, cui dedicheremo uno studio a parte, è assai intensa. I suoi rapporti non sono,
come qualcuno ha scritto, analisi astratte, e quindi innocue, del dibattito ideologico nel
Pci, ma descrivono nei dettagli lattività quotidiana del partito. Sono spediti da
Berlino, dalla Francia, dalla Spagna. Segnalano gli spostamenti dei dirigenti comunisti, i
ruoli che ricoprono e le missioni loro assegnate, in Italia e allestero. La
pubblicazione di questi altri documenti ci permetterà di approfondire la discussione, ma
sin da ora voglio dire che Silone si dimostra per lunghi periodi un fiduciario molto
puntuale. Del resto noi, come studiosi, non ci saremmo permessi di sbilanciarci
oltremisura se non avessimo acquisito la certezza di un rapporto che passava attraverso
informazioni mirate, dettagliate, precise.
Zani: Vorrei spostare leggermente lasse del discorso, perché mi pare che la
sostanza della questione sia chiara, al di là delle forzature giornalistiche. Sulla
stampa Biocca e Canali sono stati accusati di perseguire scopi oscuri, mentre si sono
limitati a fare il loro mestiere di storici. Comunque, in attesa che i due studiosi ci
forniscano ulteriore materiale su cui ragionare, possiamo dare per assodato che a inviare
quelle relazioni sia stato Silone. Paradossalmente, la scoperta sarebbe altrettanto
clamorosa anche se non fosse stato lui, perché informazioni del genere poteva fornirle
solo un dirigente di vertice del Pci.
Largomento secondo cui nel casellario politico manca lo pseudonimo Silvestri lo
abbandonerei, professor Esposito, perché non è pertinente. Sarebbe strano trovarlo, in
quellelenco. Né mi pare ci si possa stupire perché Silone non usa il suo rapporto
con la polizia per aiutare il fratello. Come osservava Canali, il fiduciario è sempre un
ricattato, che non è in grado di chiedere qualcosa in cambio o addirittura di ricattare a
sua volta.
Io, però, adesso preferirei riprendere e sviluppare, magari in modo un po
provocatorio, un altro discorso. Concordo con quanto diceva Biocca: secondo me Silone, se
da una parte ha romanzato la sua autobiografia, per altri versi ci ha voluto dire tutto, o
comunque raccontare gran parte della sua esperienza, attraverso i romanzi che ha scritto.
Mi sembra quindi una sfida affascinante rileggere la sua opera letteraria alla luce degli
elementi nuovi che sono emersi.
Non siamo più nel campo delle prove, che mi sembrano ormai incontrovertibili: Canali per
molto meno ha ipotizzato la responsabilità di Mussolini nel delitto Matteotti! Si tratta
di capire il perché, il movente che non troveremo mai scritto in un documento, senza
nulla togliere al lavoro prezioso di chi scava negli archivi. Ma per spingerci più avanti
di quello che ci possono dire le carte di polizia, a mio avviso può essere utile guardare
ai romanzi di Silone.
La mia ipotesi è che lorigine della sua doppia vita lautore ce labbia
raccontata, facendo rivivere lidentità di Secondino Tranquilli (poi ripudiata fin
nel nome da Ignazio Silone) in un personaggio minore di Vino e pane, il giovane
sovversivo Luigi Murica, che confessa il suo tradimento al protagonista del romanzo,
Pietro Spina, alias don Paolo Spada. Murica si macchia di una doppia abiezione: tradisce
la compagna, abbandonandola nonostante che che ella si sia fatta violentare da due
poliziotti pur di non farlo catturare; e tradisce i compagni di fede, cadendo, da giovane
sprovveduto, nella rete di un abile funzionario di polizia.
Del resto Silone torna sempre su alcuni temi. Ad esempio la compresenza di abiezione ed
eroismo nella stessa persona, per cui ciascun individuo è contemporaneamente Cristo e
Barabba. Oppure il fatto che in tanti momenti decisivi non scegliamo, ma in qualche modo
siamo scelti, trascinati dal destino. E ancora il tema, che troviamo di continuo nei suoi
libri, del rapporto e della differenza tra sincerità e verità.
Anche Uscita di sicurezza è una serie di scatole cinesi. Silone usa questa
espressione la prima volta come metafora della sua esperienza di ragazzo che lascia il
mondo medievale dei luoghi dorigine, dopo il terremoto che gli ha distrutto la
famiglia, e scopre la politica. Poi la seconda uscita di sicurezza è quella dal Pci. Vien
fatto di pensare se il rapporto fiduciario con Guido Bellone non abbia rappresentato, per
Silone, lennesima, inconfessabile, uscita di sicurezza, oppure se la vera uscita di
sicurezza non sia stata la rottura, sofferta e traumatica, della tenaglia di comunismo e
fascismo che aveva stretto Silone nel corso degli anni Venti.
A mio avviso bisogna interrogarsi sul nodo dellorigine della sua militanza politica,
perché vi si trovano anche le radici del suo doppio ruolo di dirigente e informatore. Io
ho letto molte testimonianze di come possa nascere un impegno politico radicale e
totalizzante, ma in nessun caso mi sono imbattuto in una spiegazione come quella di
Silone. Quella che in altri rivoluzionari, al di là delle difficoltà e dei pericoli da
affrontare, è una scelta carica di entusiasmo, confortata da un forte senso di
appartenenza, nello scrittore marsicano si realizza in una dimensione totalmente tragica,
di perdizione e di gelido vuoto.
Proviamo a riprendere in mano la "parabola" con cui si apre Uscita di
sicurezza. Lautore parla di un gruppo di militanti comunisti che si riuniscono
in incognito dopo le leggi eccezionali del fascismo: un finto pittore e sua moglie, un
finto turista spagnolo, un finto dentista, un finto architetto, una finta studentessa
tedesca. Tra loro si sviluppa un dibattito strano. Il dentista dice di trovare pazzi i
concittadini che alla sera vanno allopera come se niente fosse. Il pittore replica
che a quei cittadini i veri pazzi dovevano sembrare proprio loro, i militanti comunisti
clandestini.
Insomma, in Silone il discorso di unidentità ambigua e rovesciata è sempre
presente. Ma ascoltate come parla del suo impegno: "Erano ancora i tempi in cui il
dichiararsi socialista o comunista equivaleva a gettarsi allo sbaraglio, rompere con i
propri parenti e amici, non trovare impiego. Le conseguenze materiali furono dunque
deleterie, e le difficoltà delladattamento spirituale non meno dolorose. Il proprio
mondo interno, il "medioevo" ereditato e radicato nellanima, e da cui, in
ultima analisi, derivava lo stesso iniziale impulso della rivolta, ne fu scosso fin nelle
fondamenta, come da un terremoto. Nellintimo della coscienza tutto venne messo in
discussione, tutto diventò un problema. Fu nel momento della rottura che sentii quanto
fossi legato a Cristo in tutte le fibre dellessere. Non ammettevo però restrizioni
mentali. La piccola lampada tenuta accesa davanti al tabernacolo delle intuizioni più
care fu spenta da una gelida ventata. La vita, la morte, lamore, il bene, il male,
il vero cambiarono senso, o lo perdettero interamente. Tuttavia sembrava facile sfidare i
pericoli non essendo più solo nellazione. Ma chi racconterà lintimo
sgomento, per un ragazzo di provincia, mal nutrito, in una squallida cameretta di città,
della definitiva rinuncia alla fede nellimmortalità dellanima? Era troppo
grave per poterne discorrere con chicchessia; i compagni di partito vi avrebbero trovato
motivo di derisione e gli altri amici non verano più. Così, allinsaputa di
tutti, il mondo cambiò aspetto".
Qui, diversamente che da parti successive di Uscita di sicurezza, credo che Silone
non abbia romanzato la realtà, ma abbia descritto esattamente, e magistralmente, lo stato
danimo di un giovane sprovveduto che arriva nella grande città dalle campagne della
Marsica (non dal mondo operaio torinese!), lacerato dallo scontro tra senso del
"dovere" socialista e fede religiosa. La conseguenza è uno stato di
sperdimento, di solitudine, di sgomento, di perdita di senso; qualcosa di molto simile a
ciò che scrisse alla compagna nel 1924, descrivendosi come "disseccato,
inaridito", cinico e interiormente distrutto. Uno stato danimo che poteva
sfociare in una uscita di sicurezza inconfessabile e inconfessata.
Non è casuale lamore di Silone per le scelte inspiegabili e inspiegate. Sempre in Uscita
di sicurezza narra di un contadino che, non si capisce perché, gli regala mezzo
sigaro senza volere niente in cambio. E racconta poi della sua fuga dal collegio in cui
era stato portato a Roma, studente modello, fuga "senza premeditazione e motivo
plausibile". Vede il cancello aperto e si sente "alla lettera
"aspirato" da quel vuoto".
Il Silone letterato, dal 1930 in poi, sembra costantemente alle prese con le tracce, le
difficoltà, le ambiguità, le colpe del Secondino Tranquilli degli anni Venti, ribelle e
complice allo stesso tempo.
Sabbatucci: Il nostro dibattito ha fornito molti spunti interessanti da approfondire. Mi
limiterò a toccarne alcuni, per poi dire qualcosa sulle reazioni al caso Silone.
Innanzitutto vorrei dire al professor Esposito che gli sono grato per il modo pacato in
cui ha esposto le sue obiezioni e le sue perplessità, anche se non le condivido. E
giusto porre il problema del movente, ma solo in seconda battuta. Faccio un esempio per
capirci: nel caso di un omicidio, è logico chiedersi quale sia il movente, ma se si trova
una persona con in mano larma del delitto e ci sono le sue impronte digitali sul
luogo del delitto stesso, intanto si acquisisce la sua colpevolezza e poi ci si interroga
sulle ragioni del crimine. Ma la mancanza del movente non basta ad assolverlo. Allo stesso
modo, con i riscontri che abbiamo, sullidentificazione di Silone con Silvestri non
mi pare ci possano essere dubbi.
Invece si può dissentire sul modo in cui la vicenda è stata presentata. Quando io
parlavo di una reazione rattristante della comunità intellettuale, mi riferivo a casi
specifici. Porto alcuni esempi. Il primo è larticolo di Enzo Siciliano, già citato
da Zani. Dire che non ci dobbiamo permettere di occuparci di queste cose, perché resta
lopera letteraria di Silone, è sconcertante. E come se Siciliano fosse un
critico strutturalista e pensasse che di uno scrittore bisogna guardare soltanto il testo.
Da quando in qua non ci si deve occupare della vita degli scrittori e si deve considerare
solo la loro opera? Non si capisce come un critico della sua fama, certo non sprovveduto,
possa fare una simile affermazione.
Il secondo esempio è quello di Indro Montanelli, che a un certo punto vede il nome
Silvestri e si chiede: "Non sarà per caso Carlo Silvestri?" Ora, a prescindere
dal fatto che sarebbe ben strano che un fiduciario scegliesse come pseudonimo il suo vero
nome, è evidente, a chiunque si avvicini ai testi, che qui si tratta di una persona che
dà informazioni raccolte allinterno del Pci. E Carlo Silvestri non risulta aver mai
avuto alcun rapporto con quel partito. Era un socialista riformista, anche se poi ha avuto
unevoluzione molto particolare. Sappiamo che Montanelli ha novantanni. Ma è
una persona lucida, intelligente, vivace. Come gli viene in mente di scrivere una cosa del
genere senza neanche pensarci?
Zani: Permettete una battuta? Cè un romanzo di Mario Soldati che sintitola Il
vero Silvestri. Io non lho letto, ma constato che è il terzo Silvestri in cui
ci imbattiamo. Che sia quello giusto?
Sabbatucci: Lultimo esempio è Ennio Caretto, corrispondente del "Corriere
della Sera" dagli Stati Uniti. Gli americani, scrive, avevano stima di Silone e se
fosse stato un confidente della polizia fascista lavrebbero saputo, quindi non
avrebbero mostrato fiducia in lui. Ma che cosa può far pensare che gli americani, avendo
avuto per qualche tempo le mani sugli archivi italiani, li avessero letti da cima a fondo?
Erano forse onniscienti?
Vengo alle conclusioni. Se delle persone intelligenti ed esperte dicono delle evidenti
stupidaggini, allora vuol dire che cè un problema sotto. Il fatto è che,
purtroppo, quando ci troviamo di fronte allemergere di una verità che ci costringe
a rivedere il giudizio su una persona o lidea che avevamo di un certo evento, la
prima reazione non è quella di riflettere, scavare, cercare di capire. No, si preferisce
ignorare la realtà piuttosto che mettere in discussione le proprie certezze.
Si tratta di un comportamento diffuso e radicato: per quanto riguarda il passato, basta
pensare al caso De Felice - Piccardi del 1962. Uno storico elenca in una nota i
partecipanti a un convegno in cui si parlava di teorie razziali, tenuto nella Germania
nazista: tra loro cè il radicale Leopoldo Piccardi. La reazione non è di discutere
il fatto, ma di attaccare lo studioso che lha riferito.
Con Silone ci risiamo. Il caso suscita amarezza perché rivela la persistenza di
unattitudine assai criticabile. La propensione degli intellettuali a fuggire dalle
questioni imbarazzanti, anche a costo di negare levidenza.

Esposito: Ribadisco innanzitutto che approvo la ricerca della verità. Anche se
frastornato e amareggiato, ho sempre ripetuto: continuiamo a cercare. A Biocca e Canali
vorrei dire semplicemente che hanno sbagliato a farsi strumentalizzare, a fornire
anticipazioni delle loro ricerche a giornali che poi ne hanno fatto abuso, dando per
scontato ciò che non lo era.
Biocca: Un momento. Io non ho dato nulla a nessuno. Sono le riviste a passare le
anticipazioni alla stampa. Non troverà una mia intervista da nessuna parte, benché mi
abbiano telefonato moltissimi giornalisti.
Esposito: Daccordo, questo è un aspetto marginale. Il punto è un altro. Ammesso
per assurdo che Silone sia stato un informatore, ma non una spia, bisognerà pure vedere
fino a che punto si è spinta la sua collaborazione con la polizia. Le informazioni che
risulta aver dato sono piuttosto generiche. A tuttoggi mi pare che dai documenti da
voi esibiti non si possa dedurre una conclusione certa sullentità dei danni
arrecati al Pci o a singoli compagni. La delazione, se è davvero tale, si fa contro
qualcuno, non parlando in generale della propria esperienza politica o del dibattito
interno a un partito.
Se siamo daccordo su questo, non mi pare che Silone si sia macchiato di una grave
colpa. Uneventuale condanna sul piano morale, se ci si volesse arrivare, non mi pare
che si possa esprimere. Credo che un lettore spassionato dei documenti non possa che
giungere alla mia stessa conclusione.
Vorrei poi accennare alla questione letteraria sollevata da Zani. Io sono tra coloro che
credono allesistenza di uno stretto rapporto tra vita dellautore e creazione
artistica. Però so anche che si tratta di un tema alquanto controverso. E molto
difficile capire fino a dove arriva lautobiografia e dove invece la letteratura è
esclusivamente tale. Si discute molto sulla valutazione oggettiva dellopera
darte: cè chi la considera solo in sé e per sé e chi la riporta
costantemente ai fattori esterni, con particolare riferimento alla vita dellautore.
Senza voler entrare in queste dispute, tutto quello che Silone ha scritto nel decennio
immediatamente successivo a quello che ci interessa, cioè negli anni Trenta, è una
testimonianza chiara della sua ricerca della verità. Lui stesso lo confessa in un
memoriale dal carcere, scritto a Zurigo nel 1942, in cui dice: "Qui in Svizzera sono
diventato uomo e sono diventato scrittore". Come scrittore, conduce con saggi,
racconti e romanzi quelle battaglie che aveva già avviato come militante politico. Tutto
quello che esce dalla sua penna è una riflessione sulle tragedie della storia di quegli
anni.
Fontamara è scritto nel 1930, al culmine del dramma che lautore sta vivendo,
anche se verrà pubblicato solo nel 1933. Silone considera quel primo romanzo una sorta di
testamento. Credeva di morire: la tisi lo aveva colpito seriamente e il suo sistema
nervoso era a pezzi. La sua era stata una vita tragica: a quindici anni perde tutta la
famiglia, salvo il fratello e una vecchia nonna, per via del terremoto che distrugge la
Marsica. Poi si getta nella politica, scegliendo una via dimpegno rivoluzionario che
pagherà a caro prezzo. Tra i venti e i trentanni la sua vita è un calvario:
inseguito, perseguitato, incarcerato in Francia e in Spagna.
Le sue opere sono incentrate su diversi motivi. Il pentimento e il rimorso certamente sono
presenti nel personaggio di Murica, ma non possono essere lunica chiave di lettura.
La critica letteraria su Silone ha prodotto montagne di saggi, più allestero che in
Italia. Con questa nuova lettura noi possiamo veramente pretendere di sovvertire tutte le
valutazioni espresse finora? Mi sembra un po esagerato arrivare fino a tal punto.
Anche se quellaspetto fosse importante in rapporto allesperienza passata, è
solo uno dei tanti spunti possibili.
Silone è uno scrittore problematico come pochi altri, almeno nella sua generazione.
Bisogna fare un discorso complessivo su tutta la sua opera, non su un solo personaggio,
per giunta minore. In Vino e pane, rispetto a Pietro Spina, Murica è soltanto una
particella di un intero universo.
Vorrei poi richiamare lattenzione sul significato politico di ciò che Silone
scrive. Fontamara allestero viene accolto come un brutto colpo inferto al
fascismo. Anche i due romanzi di Pietro Spina sono incentrati sulla polemica antifascista
e in parte anche anticomunista. E il resto della vita e dellopera di Silone è la
testimonianza globale di uno scrittore e di un uomo sempre tormentato dalla ricerca della
verità. "Scrivo per capire e per far capire", dichiara. Ma ciò non riguarda
solo la creazione letteraria. Negli anni Trenta pubblica anche un saggio sul fascismo che
è stato ritenuto dagli specialisti un documento di analisi politica molto importante. Poi
scrive La scuola dei dittatori, una riflessione altissima sui dispotismi di vario
colore.
Canali: Però qui siamo negli anni Trenta, quando Silone è già uscito dalla doppiezza.
Nessuno di noi due ha sostenuto che le sue opere di quel periodo fossero condizionate
dalle vicende dellepoca precedente. Abbiamo parlato di una netta cesura.
Esposito: Però alcuni accenni a Vino e pane sono stati fatti, anche in questa
sede. E un romanzo uscito nella sua versione originale, con il titolo Pane e vino,
nel 1936.
Comunque quello che voglio dire è che Silone ha trasmesso ai lettori un messaggio di
grande valore civile, anche se poi lui si definiva uno scrittore impolitico o addirittura
antipolitico.
Concludo con unipotesi avanzata da Luce dEramo. Che Silone possa essersi
prestato a fare linformatore non allinsaputa, ma con il consenso dei dirigenti
del Pci. A voi sembrerà molto strano, ma noi nella Marsica abbiamo avuto Nando Amicone,
che negli anni Trenta, giovane professore, fu militante comunista nella cellula di
Avezzano e nello stesso tempo membro della milizia fascista. Poi fu scoperto e processato
insieme a Bruno Corbi, Giulio Spallone e altri. Gli venne inflitta una condanna a
ventanni. Quindi nel dopoguerra fu esponente del Pci e più tardi divenne
socialdemocratico.
Amicone ci ha raccontato di come la sua ambivalenza fosse nota a tutti. Era
contemporaneamente comunista e capomanipolo, con il consenso del partito. Pare che non sia
un caso isolato, per cui può anche non apparire strampalata lipotesi di un Silone
che dà informazioni generiche alla polizia con lavallo del Pci, senza in realtà
danneggiare nessuno. In questo modo si spiegherebbe anche perché Palmiro Togliatti,
divenuto ministro della Giustizia nel dopoguerra, non si sia mai interessato di andare a
cercare il nome di Silone nelle liste degli informatori dellOvra.
Tranquilli: Forse non è il luogo adatto, anzi non lo è, ma consentitemi di uscire fuori
tema denunciando, a più di ventanni dalla morte e ormai a cento anni dalla nascita,
lassenza di un dibattito di livello internazionale sul pensiero di Silone.
Linteresse sin qui manifestato dal mondo politico e dal mondo accademico è scarso e
comunque non allaltezza della situazione, considerando la forte attrattiva
internazionale che suscita la sua figura.
La Regione Abruzzo onora Silone con un premio che ha la pretesa di definirsi
internazionale, ma che in realtà si riduce a un rituale paesano. Esiste a Pescina una
splendida struttura denominata "Centro Studi Silone", il cui compito principale
sarebbe quello di custodire il suo archivio, ma una situazione che non esito a definire
kafkiana impedisce tutto ciò: larchivio "riordinato nel mio studio da Roberta
Possenti", così nel testamento di Silone che lo assegnava al comune di Pescina, in
realtà si trova bloccato a Firenze allIstituto per gli studi storici del Partito
socialista, mentre solo una parte, soprattutto in fotocopie, è depositata nel Centro
studi e comunque non è a disposizione degli studiosi. Non so se in esso vi sia qualche
documento direttamente attinente alla discussione di oggi, ma qualcosa di importante sì.
A volte Silone per darmi un po di denaro, forse per non umiliarmi, mi affidava
qualche piccolo incarico, e fu proprio in una di quelle occasioni che mi chiese di
aiutarlo a sistemare alcuni documenti. Fu un breve periodo. Allepoca poi avevo meno
di ventanni e non mi resi conto dellimportanza di ciò che mi passava tra le
mani. Mi rimase impresso solo il nome di Gramsci.
Mi auguro che la Regione Abruzzo sappia trovare il modo di risolvere la questione
dellarchivio, magari affidando ai Beni culturali la gestione del Centro studi,
affinché possa sorgere un organismo prettamente culturale, estraneo allattività
amministrativa del comune di Pescina, le cui risorse economiche da destinare alla cultura
sono praticamente inesistenti.
Concludo esprimendo soddisfazione per questo dibattito, per la serietà emersa e per i
propositi positivi espressi in favore della ricerca della verità, anche sulla tragedia di
Romolo. Ribadisco che, qualunque essa sia, non potrà mai intaccare la grandezza di
Silone. Quei dieci anni furono terribili per lui, tanto da portarlo sullorlo del
suicidio, ma cè da chiedersi se, senza quel periodo della sua vita che oggi stiamo
scandagliando, egli sarebbe potuto essere quel grande scrittore che è, destinato anche
dopo la morte a combattere da solo.
Biocca: Dalla discussione sono emersi ancora temi di grande interesse. Mi limito a
intervenire su due che mi sembrano particolarmente rilevanti, ai quali ho dedicato
attenzione e studi.
Il primo è stato sollevato da Sabbatucci. Va compresa e interpretata la povertà, per non
dire lassenza, del dibattito. Penso, ad esempio, allintervento di Indro
Montanelli sul "Corriere della Sera". Fare il nome di Carlo Silvestri,
sostenendo si trattasse di una spia dellOvra, significa accusare con noncuranza e
senza alcun elemento di prova. Eppure nessuno ha avuto nulla da ridire. Lo trovo, a dir
poco, sorprendente.
Credo che la spiegazione di questi atteggiamenti si debba ricercare nella difficoltà, per
alcuni nellimpossibilità, di inserire i nuovi elementi emersi dalla ricerca in una
interpretazione della nostra storia collettiva, del dibattito politico e dello scontro
ideologico che per alcuni aspetti appaiono ancora pietrificati negli schemi del passato.
Nella ricostruzione consolidata della vicenda italiana tra fascismo, antifascismo e
dopoguerra i nuovi dati offerti dalla ricerca non trovano dunque spazio e anzi
creano uninsopportabile dissonanza. Per cui non restano che due soluzioni: negare
levidenza o tacerla.
Se la ricerca in archivio non fosse proseguita, se non fossero usciti i nostri saggi,
questa vicenda, dopo pochi mesi, sarebbe stata forse dimenticata. Ormai la consapevolezza
dellesistenza e della rilevanza dei documenti si è invece almeno in parte
consolidata. Giunti a questo punto, sono dunque più ottimista sulla possibilità di
condurre una riflessione più profonda e affrontare i più rilevanti aspetti relativi alla
interpretazione e al significato. Mi aspetto altre manifestazioni di incredulità e
diffidenza ma, io mi auguro, ci si riuscirà ugualmente.
Vorrei rivolgermi al professor Esposito, scusandomi per la necessità di semplificare al
massimo questioni che sono in realtà molto complesse.
Per ciò che concerne le reali responsabilità di Silone, le cosiddette "informazioni
generiche" fornite alla Polizia politica di cui molti hanno scritto in questi mesi,
io ho, come tutti naturalmente, il mio criterio di valutazione per ciò che è giusto o
non giusto, grave o non grave. Ma non credo, in questa fase preliminare della ricerca, che
sia mio compito spiegare se il comportamento di Silone configuri una responsabilità
morale. Ho presentato dei documenti e ne presenterò altri insieme con Canali: desidero
che il lettore tragga le sue conclusioni. Posso però dire, sulla base delle ricerche
condotte in archivio, che Silone non fu un collaboratore reticente. Fornì invece
informazioni su nomi fatti, luoghi, persone, spostamenti, presumibilmente rispondendo alle
domande che gli venivano poste. Tuttavia la valutazione del significato di queste
rivelazioni va attentamente contestualizzata per comprendere ciò che Silone comunicò
alle autorità di polizia ma anche, forse, ciò che non comunicò. Questo è proprio il
delicato e complesso lavoro che io e Canali stiamo conducendo e ci auguriamo di poter
rispondere ad alcuni interrogativi in tempi relativamente brevi.
La seconda questione riguarda la letteratura. So bene che Silone è uno scrittore
complesso e che nella sua opera si riscontrano diversi elementi; tuttavia è almeno
singolare che in tutta la sua prima produzione letteraria egli torni inevitabilmente sugli
stessi temi. Una semplice "decostruzione", cioè unanalisi testuale che
illustri ciò che è realmente al centro della prima narrativa di Silone, ogni volta ci
riconduce alla fedeltà, al tradimento, al timore di essere scoperti, al perdono, al
travestimento.
Ritengo che nella formazione di uno scrittore un dato importante come la struttura dei
primi romanzi, evidentemente attinti più direttamente alla propria esperienza, non possa
essere trascurato, soprattutto alla luce della nuova documentazione emersa dagli archivi.
Quindi, anche se non sono uno specialista di letteratura, mi permetto di osservare che, a
mio avviso, gran parte dellanalisi condotta dalla critica sui testi di Silone debba
essere ripensata, perfezionata, aggiornata con chiavi di lettura che tengano in
considerazione quanto è venuto alla luce. Sarebbe, io credo, superficiale e improduttivo,
ma soprattutto una opportunità perduta, ritenere ancora che le due dimensioni siano
distinte e separate. Concordo invece con Esposito nel ritenere che il rapporto tra
esperienza biografica e creazione letteraria sia complesso. Proprio per questo motivo
intendo approfondire lo studio e, non appena possibile, condurlo fuori dal terreno
puramente archivistico e documentario dal quale ha tratto origine.
Canali: Mi limito a due osservazioni. La prima: spesso si ritorna sui tormenti di Silone e
sulla durezza della sua vita. Certamente la tragedia famigliare che lo colpisce da
giovanissimo ne marca tutta lesistenza. Diciamo però che Silone, nato nel 1900, nel
1919 è direttore di "Avanguardia", con un buon stipendio; nel 1920 entra nel
comitato centrale dellunione socialista romana; nel 1921 entra
nellorganizzazione dei giovani comunisti; nel 1922 è membro
dellInternazionale giovanile comunista, viaggia da Berlino a Mosca; nel 1923
addirittura va in Spagna inviato dal Comintern; nel 1923-24 lavora alla pagina italiana
dell"Humanité", quotidiano del Pc francese.
Insomma questo povero Silone, dal 1919 al 1925, ha risolto i suoi problemi economici. Fa
una vita brillante, tale da consentirgli di portarsi dietro una compagna, Gabriella, che
lo segue come unombra. Sistema le due cognate, Barbara e Serena,
nellorganizzazione comunista. Come notava Sabbatucci, è un giovane che ha radici
provinciali e si trova catapultato su uno scenario internazionale in posizione di rilievo.
Quanto alla differenza tra informatore, spia e delatore, mi sembra che non vada oltre una
lieve sfumatura. Uno che informa la polizia sta facendo la spia. Sulla gravità delle
informazioni bisogna intendersi. Nei primi anni Venti il governo fascista non sa come si
stanno organizzando i comunisti. O meglio, se non ci fosse Silone, ed altri come lui, non
lo saprebbe. La Divisione Affari Generali e Riservati del ministero degli Interni
ricostruisce lorganigramma e la struttura legale e clandestina del Pci anche grazie
a lui. Cè una relazione in cui Silone fa la cronistoria politica del viaggio a
Mosca di Amadeo Bordiga, leader del partito. E lui a parlare diffusamente di aspetti
importanti dellorganizzazione dei gruppi comunisti in Francia. Addirittura invia
uninformativa da Marsiglia con la struttura e con il regolamento interno delle
centurie proletarie che in quel periodo il Pci va organizzando. Abbandoniamo lidea
che linformatore sia soltanto colui che indica le persone da arrestare. Certamente
alla polizia fascista serviva anche questo genere di informazioni, ma serviva altrettanto
capire come si stava attrezzando il suo avversario. E Silone glielo riferisce.
Quanto al rapporto fra Togliatti ministro della Giustizia e le liste dellOvra nel
dopoguerra, si tratta di un tema molto complesso, che è meglio lasciar perdere piuttosto
che affrontarlo in modo superficiale. Ottorino Gurgo, biografo di Silone, che non ha mai
messo piede in archivio, lo ha toccato con estremo dilettantismo, nella sua lettera al
"Corriere".
Per quanto riguarda il modo in cui la cultura storiografica ha accolto le nostre scoperte,
vorrei denunciare su questo tema un progressivo distacco tra il livello del dibattito
pubblico e i risultati delle ricerche archivistiche. Si ha la sensazione che una parte non
irrilevante degli studiosi si vada sempre più estraniando dalla ricerca darchivio,
respinta dalla mole in continuo aumento dei documenti accessibili, e preferisca pertanto
tenersene prudentemente alla larga, salvo però emettere sentenze inappellabili e
pregiudiziali sul lavoro di chi gli archivi li frequenta. Voglio dire che non è facile,
per chi non abbia consuetudine con gli archivi, accertare o far accertare se quello che
abbiamo scritto ha un fondamento. E molto più comodo barricarsi dietro il
pregiudizio e dire: non ci credo.
Lesempio più tipico è Montanelli. Dato che è intervenuto sul mio saggio, mi sento
particolarmente piccato, perché non solo non ha avuto nemmeno lo scrupolo di leggere
attentamente quanto avevo scritto, ma è stato anche colpevolmente scorretto nella sua
polemica.
Lesempio di Carlo Silvestri è clamoroso. Si tratta di un personaggio noto, che nel
secondo dopoguerra ha anche scritto un libro, abbastanza conosciuto perché citato con una
certa frequenza dagli studiosi di quel periodo. Esiste poi una sua interessante biografia,
realizzata da Gloria Gabrielli. Nel mio volume sul delitto Matteotti gli ho dedicato un
intero capitolo, perché ebbe una parte di rilievo anche in quelle vicende. Eppure
Montanelli, sicuro dellimpunità di cui gode dallalto dei suoi
novantanni e del suo indiscusso prestigio, sbatte il "mostro" in prima
pagina, e ipotizza con superficialità unica che Carlo Silvestri possa essere identificato
con il fiduciario "Silvestri" di cui ci stiamo occupando, e tutto ciò senza
alcuna argomentazione. Questo purtroppo è il costume di certi settori del giornalismo
cosiddetto colto.
Noi abbiamo seguito la via scientifica, del rigore documentale. Credo che abbiamo il
diritto di essere indignati, di fronte alle posizioni preconcette espresse da chi si
rifiuta persino di leggere i risultati del nostro lavoro. E la cosa è particolarmente
grave quando attacchi del genere ci arrivano dalle pagine della grande stampa. Non andiamo
in cerca di facile notorietà, ma non possiamo neanche accettare di essere aggrediti senza
reagire. Io, al contrario di Biocca, ho rilasciato unintervista a
"Repubblica", ma lho fatto solo dopo il pesante intervento di Montanelli,
che non poteva rimanere senza risposta.
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