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Miura contro Miura, ovvero il grande torero toreato

Andarin

 

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Il toro entrò caracollando e si fermò subito a guardare la plaza. Non era in gran forma, anche se, come tutti i suoi fratelli di varie generazioni sapeva di essere assassino. No. Non era in gran forma e lo avrebbe dimostrato fra poco, ma comunque sapeva di essere assassino e avrebbe dimostrato anche quello.

Il suo nome era Miura. Come quello del torero che lo avrebbe toreato fra poco: Edoardo, come il grande avo, e poi Davila per distinguersi rispettosamente dal mito. E alla fine Miura, come il sogno e l’incubo di ciascuna ganaderia, di ciascun torero, di ciascuno peone che abbia calcato l’arena di Siviglia. Come la cattiva coscienza di chi non può perdere l’ultima giornata di feria di Siviglia, e sa che va a vedere i Miura perché uccidono e sono assassini. Domani sera a Siviglia combattono i Guardiola, ma a mezzanotte della domenica sono spenti los farorillos, e la feria è dunque finita.

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Miura contro Miura, dunque, per chiudere la feria. Avrebbe fatto la felicità di qualche cineasta americano se solo fosse passato per caso di lì.. Miura li fa e Miura li accoppa. Avrebbe potuto aggiungere qualche tardo epigono dello stesso pessimo gusto di chi usò questa formula stupida ancor più che sgradevole usò per scompagnarsi dal senso di dispiacere che aveva lasciato in tutti la perdita di Battisti.

Miura contro Miura. Il mito che si esalta in se stesso. La danza fatale che non ha più bisogno di nomi di circostanza, siano essi Manolete, Camino, Espartaco, Campuzano, o per l’appunto Valderrama, o l’infinita schiera dei toreri minori che a differenza di tutte le altre corride sono lì per esaltare il toro e non per celebrare se stessi. Perché questa è la differenza fondamentale fra i Miura e gli altri tori. Gli altri tori, tutti, sono lì per dare al torero la possibilità di esaltare la sua fama. I Miura no. Sono lì per esaltare se stessi. E chi entra nell’arena con loro è vittima sacrificale alla loro fama di assassini.

Belli. Poderosi. A volte paurosi. Ma soprattutto furbi. O per meglio dire studenti. Proprio così. Studenti di prima categoria. Apprendono tutto con facilità. E lo ricordano. E cambiano immediatamente di umore e strategia. Cos’è quel panno che si agita lì davanti? È un inganno? Bene, la prossima volta la cornata non la do al centro del capote, dove non succede niente e caso mai il pubblico grida olè, ma la do un po’ più a destra o a sinistra, dove è apparsa per un attimo una mano del torero e il pubblico grida Ahaaa!

Plaf! Per un pelo il torero non è a terra. Che ha fatto quel tipo allampanato che correva in un arco perfetto verso sinistra prima di infilargli sul collo le banderille. Ha sterzato all’ultimo istante utile sulla destra? Bene. Questa volta a metà della corsa sono io a cambiare direzione. Visto? Niente olè, ma un grido di terrore.

Tre matador, una folla di peones, e un esercito di banderilleros si ritrovarono così tutti insieme nella plaza a tentare di avvicinarsi di soppiatto. Di comportamenti eroici a questo punto neanche a parlarne, tutti irrimediabilmente spinti alla fuga, anche collettiva, quando il bontempone-assassino ripeteva il suo giochino di guardare ostentamente a destra per girare fulmineamente la testa a sinistra (con relativo pugnale affilato pronto per l’uso) e viceversa. E come mi confidò in tutto segreto nella plaza davanti a ventimila occhi indiscreti il banderillero con cui avevo pranzato poco prima, con un gesto internazionale inequivocabile, concludendo una fuga proprio davanti a me e incrociando il mio sguardo amichevolmente comprensivo (e che diavolo, fino a poco prima avevamo riso e scherzato insieme! Mica potevo fare il purista afficionado!): col cavolo che io ci metto le banderille a questo! Col cavolo!

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Si. Incrociando il mio sguardo al termine della fuga, mi disse proprio così. E qualificò la decisione con un gesto eloquente. E tutta la plaza rise. Perché con i Miura tutto si può capire.

Siviglia. Domenica. Ultimo giorno della Feria di Abril. Miura contro Miura. Dunque la storia.

Ma per arrivare a tanto occorre prima sbrigare una piccola formalità. Formalità di assassino. Bisogna eliminare l’ingombro di questo torero un po’ bassino, con uno sguardo arrogante, con i modi provocatori, forse perché con i Miura l’unico modo per sopravvivere è essere più arroganti di loro. Arrogante per passione o per necessità.

Eccolo là quel torero un po’ bassino. Lui crede di essere saldamente in possesso di un capote con il quale intende ingannarmi? E io glielo sfilo. Lui pensa di poter raggiungere la barriera per entrare nell’area della difesa degli altri capote? E io lo colpisco prima che lui arrivi senza farmi distrarre dagli altri capote. Lui pensa che rimanendo immobile per terra come bisogna fare in questi casi io giro la testa in altra direzione? Ed io invece abbasso malignamente il corno, lo afferro e lo lancio per aria. Una. Due volte. Fino a che sento che sto entrando in un muscolo soffice come il burro e sto sfiorando il femore e con quello la morte fulminea.

Animo Valderrama. Ero a due passi da te quando ti hanno raccolto. Ho visto altri toreri feriti. Tu non eri livido. Non aleggiava il terrore sul tuo viso. Hai fatto un cenno di disappunto, perché ti portavano via, perché non potevi amministrare a quel Miura il destino che per lui avevi previsto. Perché ti sottraevano l’orgoglio di combattere da pari a pari il toro assassino. Ti ho visto combattere altre volte. No, non sei un artista, ma un grande torero questo si. Pieno di forza, di volontà, di decoro. Uno di quelli che la vita se la gioca sul serio. Senza trucchi e finzioni. Animo Valderrama.

Dopo un po’ si capisce che la ferita è grave. Il medico non è uscito nel callejon per dare un cenno di tranquillità, come ha fatto l’altro ieri con El Juli, il torero bambino che ha trasformato la plaza in un vulcano e che è uscito anche lui trasportato a braccia dopo la ferita.. Ma una ferita che non gli ha impedito di rialzarsi da terra e dare al toro la suerte che lo aspettava.

Animo Valderrama. Tornerò a vederti a Siviglia, a Madrid, a Pamplona, dovunque deciderai di ritornare. E tornerò a vederti per quel gesto. Disappunto. Per quella espressione. Dispiacere di chi si sente defraudato. Grande gesto, perché sincero. Grande espressione, perché coerente. Coerente con il mestiere che hai deciso di fare. Coerente con il tuo essere un grande torero. Espressione che sono sicuro ti è rimasta impressa quando sul lettino di emergenza ti hanno somministrato l’anestesia, quando l’autombulanza è fuggita a sirene spiegate verso il bisturi, il legaccio della sutura e che è ancora lì, durante la lunga attesa che tutta la afficion vive.

Miura contro Miura. La Storia dunque. Ma c’era prima questa formalità da sbrigare. Il toro assassino si guarda intorno soddisfatto. Edoardo Davila Miura prende con un toro di anticipo il posto nella storia. Il nipote del Mito incontra i Mitici tori inventati dalla sua famiglia. Il toro assassino gira la testa dal suo lato. Si ricomincia.

Ma questa volta per lui non c’è niente da fare. Il Presidente, chissà perché, non concede il giusto trofeo al torero. Forse perché ha visto qualche errore che la folla ha giustamente ignorato. Forse perché il giudice quando guarda una corrida è freddo e senza emozioni. Ma se è freddo, e senza emozioni, perché va alla feria?

 

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