Ma chi ha voglia di fare un giornale nuovo?
Paolo Murialdi
L'articolo che qui pubblichiamo è apparso su "Problemi
del'informazione" n. 4, del dicembre 1998
"Descrivere la situazione della stampa italiana come una notte in
cui tutte le vacche sono nere mi sembra un modo per non concentrare lattenzione sul
vero fenomeno negativo: il forte affaticamento dei giornali medi e piccoli." Con
queste parole di Paolo Mieli si apre la serie delle interviste di Luigi Vaccari sul futuro
del giornalismo pubblicate dal "Messaggero" tra la fine di maggio e agosto.
Mieli ha aggiunto che il "Corriere" e altri quotidiani hanno raggiunto, negli
ultimi dieci anni, il loro massimo storico e ha sottolineato I notevoli successi di
"Repubblica" e del "Sole 24 Ore".
Tutto vero. Ma ci sono alcuni però. Il primo è che i massimi storici
di quotidiani di lungo corso dipendono anche da fattori generali estranei alla qualità e
al tipo del prodotto giornale: laumento della popolazione e la crescita della
scolarità; e da fattori tecnici tra i quali il più importante è la teletrasmissione, in
funzione da oltre ventanni.

Il secondo però più grosso ancora è che in Italia si
vendono complessivamente meno quotidiani di dieci anni fa. Come nella diffusione dei libri
(classica fiammata accesa da un articolo di fondo di Galli della Loggia), siamo in coda
alla graduatoria europea in compagnia della Grecia e del Portogallo.
I dati di settembre, rilevati dalla Federazione degli editori,
registrano cali di vendita delle testate più forti. Rispetto allo stesso mese del 1997,
meno del 1997, meno 3,1% del "Corriere", meno 17% di "Repubblica",
meno 2,5% "Stampa". Per le prime due testate la battuta darresto è dovuta
alla minore presa delle promozioni. In crescita (3%) "Il Sole 24 Ore" che ha
lanciato nuove promozioni legate agli interessi dei suoi lettori. Complessivamente, le 49
testate censite dalla Fieg hanno perduto nellestate scorsa il 2,35% delle copie.
Mieli e gli altri direttori intervistati non citano questo fatto, che
non conta per alcune testate ma conta per il Paese, e non dicono neppure se i quotidiani
sono troppi e che produrli costa molto. Per il futuro, lautore della formiua
super-omnibus, attuata con successo dirigendo "La Stampa" e poi il
"Corriere della Sera", si limita a dire: "Penso che il giornale generalista
si arrivato al soffitto" e a raccomandare di riflettere sulle difficoltà dei piccoli
quotidiani "perché da lì viene la linfa per tutta la stampa". Per ora,
tuttavia, cè stato soltanto il discutibilissimo intervento di tutte le forze
politiche a favore dei fogli di partito e dei movimenti politici, mentre non è ancora
stata avviata la sperimentazione dei nuovi punti di vendita.
Come ha fatto Mieli, molti dei direttori intervistati ne ho
contato dieci tra i quali due dirigono settimanali e uno il Giornale radio della Rai
hanno parlato delle rispettive testate e hanno formulato rilievi di ordine
generale: troppa politica e stop ai gadget che non rientrino nellattività
editoriale.
Pochi hanno usato un linguaggio schietto. Tra questi merita una citazione particolare il
direttore dellAnsa, Giulio Anselmi. La sua prima risposta è stata: "Sono
francamente un po' stufo di sentire direttori che parlano della crisi dei quotidiani come
se facessero un altro mestiere e danno ricette che non si curano minimamente di
applicare".

Temo che Anselmi e pochi altri che vorrebbero sinceramente quotidiani
con qualche virtù professionale in più e qualche vizio e cattive abitudini in meno,
dovranno attedere a lungo. Finora e siamo a novembre lunico
cambiamento impegnativo è avvenuto alla "Stampa" dove è stato rinnovato quasi
tutto il gruppo dirigente della redazione. Al "Corriere" e a
"Repubbica" si nota, invece, un maggior impegno degli esponenti finanziari dei
due Gruppi: Cesare Romiti e Carlo De Benedetti.
Forse soltanto un quotidiano nuovo di zecca potrebbe tentare di imporre una ricetta
editoriale e giornalistica migliore di quella dominante oggi, come disse Eugenio Scalfari
dopo aver lasciato la direzione di "Repubblica". Ma chi vuole farli ed è già
in grado, finanziariamente e giornalisticamente, di farlo?
Altri segnali negativi sono state le accoglienze riservate al Codice
deontologico dei dati personali; formulato attraverso un accordo fra il Garante della
privacy e lOrdine dei giornalisti, in vigore dal 18 agosto.
Sull"Espresso" si è letto che "striscia la censura" e, se il
Codice viene preso alla lettera, "si salvi chi può". Al "Corriere" si
è mosso anche un esperto di media e critico televisivo, Aldo Grasso, che apprezzo. Ha
scritto un raccontino spiritoso disegnando un caso di sexygate allitaliana
ormai non più denunciabile. Lo hanno impaginato in prima col titolo "Non uccidete
gli scoop". Ma il colmo è stato rappresentato da coloro che hanno paventato la fine
del giornalismo dinchiesta che non è più praticato da tempo, salvo rare eccezioni.
A tutti ha risposto pacatamente Stefano Rodotà, il Garante, dicendo a
Grasso e ad altri critici che se in Italia si verificasse un caso simile a quello
Clinton-Lewinsky tutti i media ne potrebbero parlare con la libertà di quelli
statunitensi. Come ho scritto più volte non credo che i codici deontologici siano
miracolosi. Non credo, quindi, che gli otto divieti e i tre consigli contenuti in questo
documento, frutto della legge sulla privacy, cancelleranno vizi antichi e diffusi
nel giornalismo italiano. Ma dico: mettiamolo alla prova, pretendendo il rispetto della
libertà di espressione e del diritto di cronaca ma accettando quelle salvaguardie
previste nei paesi di sicura tradizione democratica.
Lavversione ai codici di comportamento alimentata da quasi
tutti i giornalisti di vaglia che non hanno bisogno nemmeno del contratto di lavoro e
parlano di coscienza professionale sarebbe giustificata se avessimo un buon
ordinamento legislativo generale e particolare e la capacità di affrontare
tempestivamente le controversie e le infrazioni.
In Italia, invece, la legge sulla stampa è la legge sulla televisione
e sui giornali approvata nel 1990 è già superata.
Per cinquantanni ci siamo messi sotto i piedi il diritto di rettifica e violato
spesso e non da soli il segreto istruttorio. E non abbiamo tutelato i
minori. Con la tolleranza spesso interessata delle forze politiche che non
hanno elaborato leggi migliori e con il lassismo corporativo dellOrdine
professionale. A proposito. Dove è finito il progetto di riforma dellOrdine del
senatore Passigli, scomparso dal calendario degli impegni parlamentari alla vigilia della
discussione?
Unultima annotazione: lestate ci ha offerto
unoccasione professionale: il primo anniversario della tragica morte di Lady Diana.
Quanti inviti di ricordarla in silenzio da parte di giornali e giornalisti che un anno
prima avevano alimentato a lungo il clamore che il drammatico episodio aveva suscitato. A
parte i tabloid che con Diana hanno avuto uno scambio reciprocamente fruttuoso e
vorrebbero che il mito funzionasse ancora. Consiglio la lettura di uno studio di Paolo
Mancini intitolato La principessa nel paese dei mass media (Editori Riuniti).
E unanalisi seria e breve: meno di 150 pagine.
Link:
Dossier/Giornali: ma e'
vera crisi?
"Se arriva il vento di Murdoch
per la stampa..." - Antonio Polito intervistato da Stefano Caviglia
Intervista a Italo Prario
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