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Sul sesso delle parole/Qui ci vuole il "beutro"

Guido Martinotti

 

 

Nell’autunno del 1997, durante le ultime fasi di lavoro della commissione sull’autonomia universitaria del MURST, Laura Balbo, che aveva fatto parte della commissione, ma che presso lo stesso ministero ne presiedeva anche un’altra sulle questioni delle pari opportunità, mi fece pervenire la richiesta ufficiale di ripulire il testo finale del documento di lavoro dagli squilibri lingustici. Infatti la bozza di documento che avevo il compito di stendere in forma definitiva abbondava del termine di "studenti", o peggio ancora de "lo studente", senza che mai menzionare le studentesse. Inutile dire che usando il termine "studenti", nel documento e nei lavori della commissione ci si riferiva all'insieme del corpo studentesco e si trattava il nome come un neutro (studenti e studentesse). Ma, va da se', questa giustificazione, non commuove affatto la mia interlocutrice. E anzi, come del resto sapevo benissimo, e' una osservazione che non fa che peggiorare la situazione. Infatti e' proprio questo modo di usare il linguaggio che, se visto con l’occhio attento di una maggiore sensibilità per le questioni di genere, denuncia la storica supremazia del genere maschile. Se dico "la cavalla e l'asino sono..", la concordanza corretta, secondo l'uso attuale della lingua italiana, mi impone di concludere"...grigi, o neri o imbizzarriti". Non posso dire "la cavalla e l'asino sono affamate" perche' in una frase quando due soggetti sono di genere diverso l'aggettivo comune prende il genere maschile. Non e' una regola divina, semplicemente si fa cosi', per lunga abitudine, in una cultura in cui quello maschile e' il genere dominante. Ci potete giurare che nella mitica, ma quasi certamente mai esistita, societa' matriarcale dei Lidi, la regola era diversa. E non e' detto che non cambi ancora in un futuro che si puo' intravvedere.

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Oggi pero' dire "la cavalla e il bue sono ammalate" suonerebbe, oltre che sgrammaticato secondo gli usi accettati, anche come una forzatura arbitraria nel senso opposto. Salvo frazioni estreme e marginali, i movimenti che si occupano, e preoccupano, delle questioni di genere, sono egualitari e si battono, almeno a parole, per l'eguaglianza delle posizioni non per il loro rovesciamento. Cosi', se nel documento menzionato sopra, avessimo sostituito sistematicamente gli "studenti" - un termine che tutti capiscono benissimo che, perlopiù, non significa solo "gli studenti maschi", ma vale per gli uni e le altre - dicessi, per rimediare a una storica ingiustizia, "le studentesse", farei un po' ridere e sopratutto creerei parecchia confusione nel lettore non avvertito di queste sottigliezze sociolinguistiche. Infatti il paradosso della situazione, in questo come in molte altre abitudini che celano delle iniquità tradizionali, sta proprio in ciò, che la versione abituale è generica, anche se al maschile, proprio perchè il maschile ha acquistato un valore universale, mentre il femminile è specifico. Se io scrivo "per ottenere la laurea di primo livello gli studenti devono ottenere 240 crediti", è ovvio he mi riferisco a tutti gli studenti. Ma se scrivo "le studentesse devono…" tutti pensano che io mi voglia riferire solo agli iscritti di genere femminile. Per la stessa ragione per cui l’8 marzo c’è una festa della donna mentre non c’è una analoga festa dell’uomo: quelli "fanno festa tutto l’anno" spiega una conduttrice di RadioPopolare di Milano.

Per evitare lo sciovinismo maschile occorre quindi far qualcosa di diverso e, di solito, si ricorre a un giro di frasi. La lettera di Laura Balbo suggeriva di alternare il termine "studenti" a quello di "studentessse", ma questa soluzione sembrava destinata a creare grandi confusioni per le ragioni appena dette, oppure di usare la dizione combinata di "studenti e studentesse". abbiamo scelto questa ultima soluzione. Pertanto prima di licenziare il documento, una domenica pomeriggio mi sono messo di buzzo buono e con il "sostituisci" del Word processor ho cercato tutti i punti in cui compariva il termine "studente" o "studenti" e l’ho sostituito con il termine composto, doverosamente:"studentesse e studenti". Non è stato un lavoro semplicissimo perchè non si possono sostituire automaticamente i due termini in tutte le frasi. Come notazione marginale posso dire che il pezzo che mi ha dato più filo da torcere perchè maggiormente infarcito di maschili (e anche nella forma più dura "lo studente") era stato scritto da un membro femminile (ma si può dire?) del Gruppo di lavoro, con il che si dimostra che anche in una università in cui le donne sono ormai diventate la maggioranza del corpo studentesco le convenzioni linguistiche sono dure a morire. Aggiungo poi che il testo che ne risulta non è tra i più eleganti - e questa è stata una delle più diffuse critriche che ci è piovuta addosso quando il documento è poi stato diffuso via Intenet.

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Quindi occorre andare alla ricerca di una soluzione diversa. L’ideale sarebbe quella di trovare un termine neutrale, che non chiamerei necessariamente genere neutro. In primo luogo perchè non in tutte le lingue esiste il neutro, per esempio l'italiano non ce l'ha. E poi perchè il neutro è in genere concepito come una collocazione intermedia. Occorre proprio qualche nuovo termine che stia per "entrambi": una specie di bi-neutro o beutro. ' noto che nella lingua inglese il "man"(uomo) di termini comuni come Chairman (presidente) o Anchorman (Conduttore televisivo) e' caduto in tutti i discorsi educati, sostituito con "person", Chairperson, Anchorperson, eccetera. Nella lingua italiana questa soluzione e' piu' difficile, perche' non ci sono suffissi, ma desinenze e quindi e' piu' difficile trovare un suffisso neutrale. Presidente e conduttore possono solo diventare presidentessa e conduttrice. Ministro può diventare ministra, con quella pessima assonanza casereccia che si porta dietro o peggio ancora ministressa. Ma il problema cosi' non si risolve e anche se e' difficile prevedere il futuro sono pronto a scommettere che si affermerà un termine neutro, con una notazione convenzionale.

Per esempio per "studenti e studentesse" si potra' scrivere student~. Oppure student*, o student@ o ancora student$. Ma quest'ultimo potrebbe non piacere. Rosanna Tortorelli e Paola Scanagatta della lista di discussione innovazione@perlulivo.it mi dicono che Spagna in molti siti, non solo femminili o femministi, il simbolo @ indica il genere, mentre in Italia la lista "Ficafutura" frequentata anche da transsessuali, preferisce usare l'asterisco. Personalmente credo che il segno piu' promettente sia la cediglia (~) perchè e' gia' usato in Windows '95 per sintetizzare i nomi lunghi dei files. E credo che questo uso derivi dall'epigrafia antica. Quindi si finira' con il dire gli student~ sono content~, per dire che "studenti e studentessse sono contenti e contente". Un bel risparmio. Per quanto riguarda gli articol~ si potrebbe usare indifferentemente il maschile o il femminile e dire gli student~ sono content~, oppure le student~ sono content~. Ammenocche' non si trovi anche un articolo beutro, ma per il momento possiamo accantonare il problema, che le cose sono abbastanza difficili cosi'.

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Gia' ma come si pronuncerebbe questa desinenza beutra? Qui lasciamo aperte le possibilita' all'inventiva dei lettori. Si potrebbe semplicemente troncare e dire "student sono content", ma non suona tanto bene e poi in alcuni casi il tronco non funziona. Una soluzione piu' difficile, ma che penso arricchirebbe la parlata potrebbe essere quella di risolvere la "~" come una intonazione diversa. Molte lingue hanno parole che assumono significati diversi a seconda che si pronuncino con suoni alti o bassi: per esempio il cinese o l'arabo. Cosi si potrebbe dire che student~ si pronuncia con un piccolo gridolino finale come un piccolo yodel. Pensate come sarebbe carino sentire "Entra l'ambasciato~"(ooohhh) oppure "Adesso parla il profess~"(ooohhh) o " Mi consenta dottor~"(ooohhh) e via trillando.


 


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