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Cavie umane/Per un milione mi mangio un rospo

Carlo Giorgi

 

 

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Questo servizio e' apparso su "Terre di mezzo", giornale di strada in vendita a Milano, Roma, Genova, Padova e Udine. Per chi volesse maggiori informazioni migi.tdm@flashnet.it


Per un milione mi mangio un rospo. Anzi no: mi faccio iniettare il “Levodopa”, un farmaco contro il Parkinson. Anche se scoppio di salute.
“Ho iniziato perché me l’ha proposto un amico: pagavano 300 mila lire al giorno, tasse incluse -spiega Marco, 24 anni, specializzando di oculistica e sano come un pesce-. Sapevo che nausea e vomito sono effetti collaterali del Levodopa. In effetti una volta ho vomitato; ma non ho mai avuto complicazioni”.
Se prendete anche solo uno sciroppo ogni tanto, dovete molto a quelli come Marco.
Pillole, supposte e medicinali vari, prima di essere posti in commercio, devono venire provati sull’uomo. Laboratori e sperimentazioni animali non bastano; servono volontari con l’anima e senza paura: vere e proprie “cavie umane”.
E questi volontari, almeno nella prima fase delle sperimentazioni, devono essere “sani”, perché è necessario osservare come reagisce un fisico normale alla nuova sostanza.


 

“A me sembrava una buona idea -confessa Andrea, 27 anni, studente-. Mi hanno inniettato una molecola che serve, dopo le chemioterapie, per aumentare il numero dei globuli bianchi. Mi hanno fatto iniezioni per sette giorni; stavo su un lettino collegato ad una macchina che seleziona cellule staminali. Ho avuto un po’ di mal di schiena. Non so se lo rifarei”.
In Italia le “cavie umane” come Andrea e Marco sono rare. “Nel ‘98 abbiamo approvato solo 5 progetti su volontari sani -spiega Marino Massotti, responsabile dell’ufficio che autorizza le sperimentazioni, all’Istituto Superiore di Sanità-, su un totale di 13 richieste. E ogni progetto coinvolge un massimo di cento volontari”. Mosche bianche.
Ma è possibile che lo sciame aumenti in fretta: da alcuni mesi, infatti, l’Italia dispone di una moderna normativa a proposito di sperimentazione umana (Ddl 18.3.98, ndr), che permette ad ogni istituto clinico di accedere alla sperimentazione. L’esca giusta per attirare i soldi delle multinazionali farmaceutiche. E scatenare, come in altri Paesi, il mercato delle cavie: negli Stati Uniti le cercano anche con spot televisivi; in Inghilterra con annunci sui giornali.

In Italia per ora vale il passa-parola, in particolare tra gli studenti universitari. La facoltà delle cavie per eccellenza? Medicina, dove gli studenti sono più consapevoli dei rischi connessi agli esperimenti.
“In tre anni mi sono sottoposto a cinque sperimentazioni -racconta Sergio, 27 anni-. Quattro volte mi hanno dato degli antibiotici e poi, con prelievi successivi, hanno visto come si distribuivano nel sangue. Per tre giornate di ‘lavoro’, un milione. Una volta invece si trattava di uno studio sulle funzioni cerebrali: mi hanno iniettato acqua radioattiva marcata con lo zucchero e poi sono stato nella macchina della Tac per due ore. Così potevano osservare le reazioni del mio cervello mentre parlavo, schiacciavo tasti... Mi è valso 400 mila lire”.
Azzardo: un po’ di paura? “I miei genitori quando ho fatto il primo esperimento si sono preoccupati -confessa Marco-. Poi li ho abituali. Basta avere un minimo di conoscenze mediche”. “Chi lavora in nero nelle fabbriche rischia di più”, è convinto Andrea.
Le cavie, oltre ad essere quasi sempre studenti, sono sempre maschi. Il gentil sesso è escluso per evitare eventuali rischi alla futura prole.
Maschio, giovane, cultura elevata. Per completare l’identikit della “cavia umana” bisogna però aggiungere un aggettivo: squattrinato. “Coi soldi che mi hanno dato c’ho fatto di tutto -racconta Sergio-: un’autoradio, la pedaliera della chitarra, le vacanze in Spagna”. “Io ho la ragazza a Bari -spiega Marco-: sono andato a trovarla”. E i libri per gli studi? “No, quelli meglio di no”.


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