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Hacker, il nuovo "cattivo" di Hollywood

Paola Casella

 

 

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Lo scorso dicembre, nel parco di Neukoelin, a Berlino, e' stato trovato il corpo senza vita di Boris Floricic: penzolava da un albero, con una corda intorno al collo, ma aveva i piedi appoggiati al terreno. Non sara' facile per la polizia tedesca dimostrare che la morte di Floricic sia stata, come dichiarato a botta calda dalle autorita' locali, un suicidio. Anche perche' gli amici di Boris, che di professione faceva il pirata informatico, stanno facendo di tutto per dimostrare che il loro leader e' stato ucciso dai molti nemici degli hackers.

In italiano hacker si traduce "pirata informatico", affibbiando una connotazione negativa al termine inglese, che e' invece puramente descrittivo (significa, grossomodo, "cavaliere"). Come dire che la nostra societa', a base culturale umanistica, ha deciso in partenza che nella figura dell'hacker ci sia qualcosa di potenzialmente pericoloso.

Piu' che una figura professionale, l'hacker e' un tipo umano dalle caratteristiche ben definite, siano esse reali o immaginarie: fra queste la capacita' di concentrazione assoluta sullo schermo del computer, l'interesse spasmodico per tutto quello che riguarda la tecnologia informatica e una dedizione messianica al mezzo elettronico. Il denominatore comune, si direbbe, e' il fanatismo, una forma di monomaniacalita' che esclude qualunque ingerenza esterna. Il passo a dire che il fanatismo degli hacker escluda anche qualunque scrupolo etico e' come vedremo, assai breve.

Prima di arrivare alla stretta attualita', passiamo attraverso il cinema, depositario (e plasmatore) dell'immaginario collettivo. Nel 1982 il kolossal Tron, primo esempio assoluto di ambientazione all'interno dell'universo virtuale, parlava gia' di cospirazioni globali. Il protagonista, un hacker specializzato nella creazione di videogame, era l'eroe della vicenda, ma l'informatica veniva gia' descritta come potenzialmente pericolosa: il cattivo del film era infatti un gigantesco elaboratore elettronico, reminescente di Hal, il computer all'origine del mondo di 2001 Odissea nello spazio, il primo esempio di film (e prima ancora di romanzo) sulle paure ataviche generate dall'avvento della tecnologia elettronica.

Nell'83 l'accento si spostava gia' sulla figura dell'hacker, identificato come mina vagante: in Wargames, il protagonista era un giovanissimo genio informatico che riusciva ad accedere al sistema elettronico della difesa nazionale americana e per gioco (di qui il titolo del film) scatenava una guerra virtuale fra i colossi USA e USSR destinata a sconfinare (a dire il vero, per incompetenza manifesta degli adulti) in un conflitto reale. In seguito l'hacker cinematografico si e' trasformato da inconsapevole e giocoso a perfido e machiavellico. E' il caso ad esempio di The Net del '95, in cui un genio del computer perpetrava una persecuzione personale nei confronti di una inconsapevole vittima proprio grazie alla sua conoscenza informatica.

Con Nemico pubblico, il thriller di Tony Scott appena uscito nelle sale italiane, siamo arrivati alla demonizzazione totale dell'hacker: nel film un'intera squadra di maghi del computer opera per i servizi segreti deviati, sconvolgendo l'esistenza di un privato cittadino al grido di battaglia (visto che, come dice il loro capo:"Siamo in guerra", "let's get into his life", cioe' "invadiamogli la vita". La caratterizzazione di questo gruppo di giovanissimi hackers e' emblematica: maleducati, sciatti, di sgradevole aspetto, vigliacchi (si servono di picchiatori, ma non si sporcano le mani), privi di qualsiasi scrupolo morale e della benche' minima motivazione ideologica (al punto che, alla fine, faranno arrestare il loro leader politico non gia' per senso di giustizia o per rimorso di coscienza, ma per semplice zelo professionale). Questi hacker si autodefiniscono "supporto tecnico", declinando ogni responsabilita' etica, e non si preoccupano minimamente delle conseguenze delle loro azioni. La loro priorita' assoluta e' il superamento dei propri limiti conoscitivi, alla stregua degli inventori della bomba atomica (numerosi i richiami teutonici, fra cui il "braccio" del nucleo informatico, il biondissimo Krug).

Perche' fare dell'hacker il nuovo cattivo del grande schermo? Innanzitutto perche' il profilo dell'hacker e' di per se inquietante, per una societa' che, pur nominalmente favorevole al cambiamento, rimane tutto sommato conservatrice: gli hacker sono giovani in possesso di un livello di conoscenza sproporzionato rispetto alla loro eta' anagrafica, e le loro conoscenze riguardano un settore di vitale importanza. Hanno dunque accesso al potere e al controllo della societa', a danno (o meglio, a esclusione) di chiunque non sappia muoversi nell'universo informatico con altrettanta disinvoltura. Anche se privi di coesione ideologica, gli hackers sono animati da fervore messianico, in un paese in cui qualunque setta viene guardata con sospetto e sospettata di mire sovversive. Nonostante siano profondamente individualisti, sono in grado di coordinarsi attraverso la rete informatica meglio e piu' velocemente di qualsiasi gruppo organizzato. Poiche' la principale preoccupazione politica attuale degli Stati Uniti (a parte la libido del presidente) e' la minaccia del terrorismo interno, il non-gruppo degli hacker si presta all'incarnazione cinematografica dell'enemy within kennediano. Poiche' la political correctness impone il rispetto di tutte le etnie (a parte, si direbbe, quella italiana) e' piu' facile puntare impunemente il dito su devianti locali di provenienza mista che, ad esempio, sui gruppi eversivi islamici. Tantopiu' che l'hacker, essendo un cane sciolto, e' privo di una lobby a tutela del suo buon nome. Infine la demonizzazione dell'hacker allontana lo spettro piu' temibile per l'America di oggi, in piena crisi di coscienza: una gioventu' ricca di strumenti e priva di ideali, pronta a spazzare via con inconsapevole leggerezza i gia' pericolanti fondamenti etici dell'intera nazione

Torniamo allora all'attualita': in questo quadro, diventa immediatamente comprensibile la cosiddetta congiura contro Bill Gates, che prima ancora di essere passibile di comportamento antitrust e' condannabile (o per lo meno sospettabile) per il fatto stesso di aderire completamente al profilo dell'hacker, giovanissimo ma pieno di soldi e di potere, in possesso di conoscenze che il mondo teme e invidia, passibile di fanatismo tecnologico e quindi di intrinseca amoralita', in barba alle sue innumerevoli donazioni in beneficienza.

Ed eccoci infine a Boris Floricic, che aveva per nome in codice Tron e aveva fondato un gruppo di "pirateria cibernetica etica", il Chaos Computer Club, allo scopo di denunciare i pericoli della societa' cibernetica. Floricic era stato il primo a evidenziare la vulnerabilita' dei sistemi elettronici, dimostrando ad esempio quanto fosse facile clonare le carte telefoniche (comprese quelle dei GSM). Contrariamente allo stereotipo dell'hacker senza principi morali, "Tron" si batteva contro il dominio digitale dei servizi segreti internazionali e additava da tempo nella criminalita' organizzata (l'enemy within cui si riferiva Bob Kennedy) i veri pirati informatici. Le grandi aziende di computer -- fra cui la New Digital System di Robert Murdoch -- gli avevano offerto incarichi prestigiosi, che lui continuava a rifiutare, orgoglioso della sua autonomia (in questo, tipicamente hacker). Ma Florcic non era una marchetta pronta a vendersi a chiunque gli consentisse di operare ai massimi livelli. E aveva anche capito che la dimensione del gioco ("the extent of the game", come diceva il protagonista del Gioco del falco, interessante thriller politico sul potere occulto dei servizi segreti americani) non era piu' da tempo quella ludica. Impossibile demonizzare uno come Boris, impossibile imputare a lui la cecita' morale dell'industria elettronica, della politica informatizzata, della societa' moderna. Meglio neutralizzarlo, allora, magari usando il vecchio metodo, che resta ancora quello piu' efficace.


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