La Fpö dalla protesta al populismo di
destra
Max Riedlsperger
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di destra
Itinerario/Dicono di lui
Il seguente saggio, con il titolo "Dalla protesta al populismo
radicale di destra: la Freiheitliche Partei Österreichs negli anni
Novanta", è uscito in Italia nel numero 29 della rivista
quadrimestrale di cultura politica "Trasgressioni", diretta
da Marco Tarchi. L'autore, austriaco, è professore di Storia alla
California Polytechnic State University. Ne proponiamo ai lettori una
versione priva delle note e delle tabelle contenute nel testo
originario.
Il titolo di questo articolo è frutto di un ripensamento che mi si è
affacciato alla mente mentre stavo riflettendo sul programmi del
Partito liberale austriaco Il progetto della Fpö: dallo Stato dei
partiti alla democrazia dei cittadini. La via verso la Terza
Repubblica, per sottolineare le trasformazioni in atto nel panorama
politico e sociale austriaco. Che la Fpö intenda sostituire la
Seconda repubblica austriaca con un altro tipo di regime è quanto
sostengono coloro che catalogano il partito e il suo presidente Jörg
Haider nell’estrema destra e considerano i suoi progetti di “Terza
Repubblica” come la copertura per costituire un “Quarto Reich”.
Io ho a lungo rifiutato di applicare l’etichetta di estrema destra
alla Fpö, e in un saggio che ho pubblicato nel 1992, Heil Haider! The
Revitalization of the Austrian Freedom Party since 1986, eccepivo in
merito alla decisione di Hans-Georg Betz di includerlo in una «marea
in crescita di partiti radicali di destra nell’Europa occidentale»,
sostenendo una linea simile a quella successivamente adottata da
Michael Minkenberg rispetto alla Nuova Destra tedesca, e cioè che la
rinascita della Fpö era dovuta a cambiamenti strutturali dell’elettorato
austriaco, che avevano prodotto nuovi cleavages e nuove linee di
conflitto partitico e che la ponevano al di fuori dello schema dell’estremismo
di destra del passato.
In quel periodo stavo reagendo contro il punto di vista del
Dokumentationsarchiv des österreichischen Widerstandes (Döw), che
effettivamente vede i moderni fenomeni dell’area politica di destra
all’interno dello schema storico del fascismo e del
nazionalsocialismo e di recente ha ulteriormente inasprito la sua
posizione sulla Fpö facendo di Haider, raffigurato con la simbolica
bandiera del neonazismo, l’“uomo copertina” dell’edizione 1993
del suo Handbuch des Österreichischen Rechtsextremismus.
Il presente articolo non rappresenta un capovolgimento del mio
precedente rifiuto di questa interpretazione, ma piuttosto un
successivo raffinamento, nato dalla richiesta di Betz di contribuire
con un capitolo dedicato alla Fpö ad un libro sui partiti populisti
di destra radicale che lui e Stefan Immerfall avevano in mente di
mettere insieme. In un primo momento declinai l’invito, facendo
presente che preferivo riservare la designazione “estrema destra”
per gli assassini di medici che praticano aborti, per chi spedisce
lettere-bomba e per altri soggetti consimili. Insistendo sulla
distinzione fra radicali di destra ed estremisti di destra, Hans-Georg
Betz espresse la convinzione che quello che avrei scritto sarebbe
stato assolutamente compatibile con il previsto orientamento del libro
e mi spinse a leggere il suo Radical-Right-Wing Populism in Western
Europe prima di rifiutare. Dopo averlo fatto, mi accorsi che in
effetti la mia percezione della Fpö si accordava con lo schema del
libro progettato ed accettai di parteciparvi. I rilievi che seguono
sono tratti, in parte, da quel contributo.
Tecnicamente, la Freiheitliche Partei Österreichs non è un partito
nuovo. Fondata nel 1956, è una diretta discendente del campo (Lager)
nazional-liberale tedesco, che risale alla rivoluzione del 1848. Sino
a pochi anni addietro, era un partito di protesta relativamente
piccolo, collocato all’interno del sistema austriaco a due partiti e
mezzo dominato dalla Sozialistische Partei Österreichs (Spö) e dalla
Österreichische Volkspartei (Övp). Cominciò a trasformarsi nel
1986, quando il trentaseienne Jörg Haider, un personaggio dalla
bellezza sportiva, ne assunse la guida: un cambiamento che venne
salutato dal rotocalco «Profil» con una vignetta in cui il
neopresidente veniva rappresentato, con una camicia bruna modello Sa e
un bracciale con la svastica, nell’atto di strangolare il suo
predecessore nel ruolo di capo dei liberali. Da allora in poi, la Fpö
ha accresciuto la sua percentuale di consensi in quasi tutte le
elezioni a livello federale e statale ed è diventata il secondo
partito in tre parlamenti regionali.
Contrariamente al messaggio implicito nella vignetta ora citata, la
minaccia posta dalla Fpö non è la recrudescenza del fascismo. Mentre
l’oratoria rumorosa e non di rado volgare di Haider infiamma il
livello più basso delle emozioni politiche, il suo obiettivo
dichiarato non è un totalitarismo neofascista altamente
centralizzato, ma piuttosto un governo di dimensioni più ridotte, nel
quale il popolo possa svolgere un ruolo più diretto autogovernandosi.
La combinazione del suo appello libertario (freiheitlich) con l’istinto
di Haider per lo sfruttamento del risentimento dell’opinione
pubblica intorno ai problemi di attualità ha fatto della Fpö il
partito neopopulista di maggiore successo in Europa.
La Seconda repubblica austriaca, dominata dai partiti, venne
instaurata nel 1945 con la creazione dei tre partiti “antifascisti”,
la Övp, la Spö e il minuscolo partito comunista (Kpö), fondati solo
pochi giorni prima. Sebbene le denominazioni fossero nuove, i partiti
non erano altro che le riproduzioni contemporanee dei due campi ben
divisi ed ostili, quello cristiano-sociale e quello marxista, che si
erano sviluppati nel XIX secolo secondo linee ideologiche. Durante il
periodo fra le due guerre, i due campi si combatterono per cercare di
strutturare la nuova Repubblica in base alle rispettive ideologie.
Ciò condusse alla guerra civile e poi alla dittatura sotto i
cristiano-sociali. I partiti nazional-liberali tedeschi, che si erano
sempre battuti per l’inclusione dell’Austria in una più grande
Germania, furono completamente inghiottiti dai nazisti e tutti gli
altri partiti vennero assorbiti dal totalitarismo nazionalsocialista
nel 1938.
Quando si ricreò, nel 1945, un autonomo stato austriaco, i capi dei
tre partiti politici si accordarono per governare in coalizione. A
causa delle loro contrastanti visioni socioeconomiche, culturali e
politiche si sviluppò un unico, condiviso sistema di governo,
conosciuto con il nome di Proporz, che mise ciascun partito in
condizione di sorvegliare gli altri ad ogni livello della struttura
pubblica. Mentre la Kpö cadde vittima della Guerra Fredda, le élites
di Övp e Spö impararono a cooperare orizzontalmente, attraversando
le tradizionali linee di frattura tra i due pilastri, pur continuando
nel contempo ad attizzare la lealtà di partito dall’alto verso il
basso all’interno dei rispettivi campi.
Dato che entrambi i maggiori partiti erano stati perseguitati durante
il Terzo Reich, i loro dirigenti erano uniti contro il nazionalismo
tedesco. L’idea che la maggioranza degli austriaci facesse parte di
una Kulturnation non politica basata su una comunità di lingua,
storia ed etnicità veniva equiparata al nazismo, e il rifiuto del
concetto di nazione austriaca veniva visto come un atteggiamento di
estrema destra. Benché perlomeno metà della popolazione non
condividesse questo punto di vista, non c’era nessuna mossa
immediata in grado di rivitalizzare il campo nazional-liberale, a
causa della condanna per associazione con il nazionalsocialismo che lo
aveva colpito.
A rivitalizzare il terzo campo fu una politica di denazificazione
concepita frettolosamente, che non riuscì a distinguere i semplici
membri del partito dai veri criminali di guerra. Temendo che la
crescente ostilità potesse stimolare una rinascita del nazismo, due
giornalisti di Salisburgo, che erano finiti in carcere durante il
Terzo Reich, fondarono la Lega degli Indipendenti (Verband der
Unabhängigen: VdU) e misero in piedi una campagna contro le misure
per la denazificazione, denunciandole come violazioni dei diritti
politici ed economici individuali. Alle elezioni federali del 1949 la
VdU raccolse l’11,87% dei voti, il risultato più ampio raggiunto da
un terzo partito sino alla vittoria del partito liberale guidato da
Haider nel 1990.
La VdU sognava di diventare l’«ago della bilancia in un parlamento
che votasse liberamente». Invece, tanto la VdU quanto la Fpö, che le
successe nel 1956, furono denigrate come reincarnazioni del partito
nazista ed escluse da qualunque coinvolgimento nei governi dai partiti
che formavano le coalizioni. Un poco alla volta, tuttavia, le
condizioni politiche cambiarono, permettendo alla Övp di formare il
primo governo monocolore della Seconda Repubblica nel 1966.
Giocando d’anticipo, il dirigente della Spö e successivamente
presidente e cancelliere, Bruno Kreisky, era già entrato in relazione
con il presidente della Fpö ed ex ufficiale delle Ss Friedrich Peter,
che progettava uno spostamento della Fpö verso il centro liberale.
Nel 1970 la Spö conquistò la maggioranza relativa e, con la
tolleranza della Fpö, iniziò la sua incrollabile egemonia sulla
politica austriaca. Sotto i benevoli auspici di Kreisky, una nuova
generazione postbellica di liberali della Fpö diede sostanza
ideologica al pragmatico liberalismo di Peter e portò il partito ad
essere accolto nelle fila dell’Internazionale Liberale, per poi
farne il partner minore di una coalizione di governo con la Spö del
dopo-Kreitsky, dal 1983 al 1986.
Il 1986 segnò un punto di svolta nella storia politica della Seconda
Repubblica. Alla Fpö tre anni di coalizione con i socialisti erano
costati il voto di protesta e la stessa identità. Di fronte a
sondaggi elettorali che mostravano come il consenso per il partito
fosse sceso al di sotto del 2%, conservatori, tedesco-nazionali e
altri dissidenti si accordarono per assicurare l’elezione di Jörg
Haider ad un congresso di partito, il che venne dipinto da buona parte
della stampa come una prova di sentimenti estremisti di destra se non
totalmente nazisti.
Il cancelliere Vranitzky ruppe immediatamente l’alleanza del suo
partito con la Fpö e convocò immediate elezioni, nelle quali la Fpö
diretta da Haider raccolse il 9,7%. Il voto di protesta, i candidati
presentati e soprattutto la personalità di Haider furono di gran
lunga le più significative determinanti della scelta degli elettori
della Fpö.
Fra il 1986 e le elezioni del 1990, la Fpö sperimentò una rapida
crescita di consenso elettorale in sette consecutive elezioni a
livello regionale. Durante quel periodo, le sue campagne si
concentrarono in primo luogo su problemi che potevano essere portati a
carico del governo federale: disoccupazione, sperpero delle entrate
fiscali, corruzione ed eccessivo clientelismo politico, scandali. Nel
contempo, la Fpö sosteneva la privatizzazione delle imprese di
proprietà dello Stato, la riduzione delle tasse e la diminuzione
delle regolamentazioni sugli affari e sugli individui. Sebbene si
trattasse di temi di battaglia significativi della Fpö sin dagli
inizi, essi cominciarono a diventare politicamente popolari a partire
dalla metà degli anni Ottanta. Di conseguenza, la Fpö accrebbe
costantemente i suoi consensi alle urne, in gran parte a spese della
Övp, che andò vicina a sostituire come secondo partito in ordine di
grandezza alla metà degli anni Novanta. Nel 1990, quando i
cambiamenti prodotti dalla fine della guerra fredda, l’espansione
dell’Unione Europea e, più di recente, della Nato, crearono una
quantità notevole di temi da utilizzare, cominciò una nuova fase
della storia della Fpö.
Riflettendo su ciò che è stata nel suo primo decennio la leadership
di Haider, propendo al momento a dividere il periodo in due parti, con
un primo periodo, quello che va dalle elezioni legislative dell’ottobre
1990 alle elezioni comunali di Vienna di un anno dopo, che può essere
considerato di transizione. I successi degli anni precedenti, come
abbiamo visto, erano legati a temi di interesse quotidiano per i
cittadini. L’affermazione che la maggior parte degli austriaci
facevano parte della «comunità etnica e culturale tedesca» rimaneva
nel programma, ma gli aperti appelli al nazionalismo tedesco che erano
stati al centro del campo ideologico dal quale la Fpö proveniva, e
che la Döw ritiene caratteristica centrale dell’estremismo di
destra, non avevano avuto alcuna evidenza.
A partire dalla metà degli anni Ottanta, l’insoddisfazione verso il
moderno welfare state che aveva prodotto i successi di Margaret
Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald Reagan negli Usa stava
cominciando a manifestarsi anche in Austria. Ciò era costato alla
Spö la maggioranza assoluta nel 1983 ed aveva contribuito alla
rivolta del 1986 contro la dirigenza liberale della Fpö, suo partner
di coalizione, che si era scelta Haider come presidente. Quando, a
seguito delle elezioni del 1986, la Övp accettò l’invito della
Spö a mettere fine ad una assenza del governo che durava da sedici
anni, essa si spostò al centro, proprio in quel momento in cui un
notevole segmento dell’elettorato stava diventando sensibile al
populismo radicale di destra che nel corso degli anni Ottanta era
andato crescendo in altre democrazie di tipo occidentale.
Come detto, la presenza della Fpö sino ad allora era stata
secondaria, in un sistema che è stato descritto come «a due partiti
e mezzo». La svolta del 1990 portò l’Austria, sino ad allora
relativamente protetta da quelle correnti che avevano stimolato la
crescita del populismo radicale di destra in altri paesi, all’interno
della corrente principale di quelle forze della cui nascita Plasser e
Ulram giudicano responsabili l’«erosione del tradizionale ambiente
sociale, una crescita della frammentazione sociale, la sempre più
pronunciata individualizzazione dell’economia e del rischio sociale,
lo sbriciolamento del mercato del lavoro, l’immigrazione di massa,
il confilitto tra multiculturalismo ed etnocentrismo, la dissoluzione
dei tradizionali legami di partito e l’indebolimento della capacità
delle tradizionali figure politiche di tenere in vita la lealtà di
partito».
Nel caso dell’Austria essi specificamente citano «un disgusto per i
partiti e la politica che è significativamente al di sopra della
media […] un’eccessiva manipolazione del sistema politico da parte
dei partiti […] il pervadente clientelismo […] le reazioni dell’opposizione
contro una “eccessivamente potente” coalizione di governo».
Applicando il termine «populismo radicale di destra» alla Fpö,
Plasser e Ulram hanno accettato la tipologia che, riguardo a questo
tipo di partiti, è stata stabilita da Hans-Georg Betz, e io faccio lo
stesso, perché ciò consente di evitare l’etichetta di estrema
destra correntemente usata, che giudico più appropriato riservare a
coloro che agiscono al di fuori del sistema democratico e che incitano
o ricorrono al terrore per promuovere i propri obiettivi. La Fpö, in
definitiva, rispetta i criteri socioculturali, sociopolitici e
socioeconomici del populismo radicale di destra. È radicale nella
retorica contro gli immigrati e i “parassiti sociali” e anche
perché vuole sostituire la Seconda Repubblica statalista con una
Terza Repubblica basata sulle tecniche di democrazia diretta,
ravvivando ulteriormente l’immagine populista che ha a lungo
incarnato ergendosi a voce dell’“uomo qualunque” contro i “grandi
partiti” e il dominio e i privilegi che il loro accordo consociativo
comportavano.
Lo slogan «Vienna non deve diventare Chicago», usato dalla Fpö
viennese nella campagna per le elezioni del parlamento federale nel
1990, è forse il primo segno evidente del passaggio ad un populismo
di destra più radicale e moderno. Esso connetteva implicitamente l’immigrazione
esplosa sull’onda della caduta della “Cortina di ferro” con la
percentuale di delitti commessi, che era salita del 5% l’anno
precedente e stava innalzandosi all’8% in quell’anno.
Benché fosse meno vistoso degli appelli dell’Övp, lo slogan della
Fpö «Vienna ai viennesi» era, agli occhi degli accusatori, la
conferma del suo razzismo. Alla lista delle caratteristiche che
costoro avevano a lungo utilizzato per etichettare la Fpö come
estremista, venivano adesso aggiunti lo sfruttamento dell’angoscia
sollevata dall’immigrazione e l’antipatia per il multiculturalismo,
che a sua volta univa le élites intellettuali della sinistra in
quella che è stata in seguito conosciuta come la causa “antifa”
[si potrebbe rendere come “antifascismo militante”, ndt]. Nel
frattempo la classe operaia, un tempo compattamente socialista,
riecheggiava le lamentazioni della Fpö a proposito delle politiche di
“ingegneristica sociale” delle élites schiki-micki che stanno “lassù
in alto”, accettando la diretta correlazione da essa suggerita fra
la crescita del numero degli stranieri residenti nel paese e la
crescita di delinquenza e disoccupazione.
All’acutezza di quella campagna va probabilmente messa in conto la
perdita di alcuni elettori del ceto medio con più elevati livelli di
istruzione, ma l’aumento di consensi tra gli operai compensò
abbondantemente le perdite ed aiutò la Fpö ad ottenere la migliore
percentuale di voti mai raggiunta da un terzo partito nella Seconda
Repubblica. Nelle altre zone la campagna della Fpö contenne
maggiormente il carattere di opposizione di protesta e il profilo
strutturale dei suoi elettori rimase quello del periodo 1986-1989.
Il neopopulismo radicale di destra che aveva fatto capolino a Vienna
nel 1990 diventò ancor più evidente nelle elezioni comunali di
quella città, tenutesi l’anno seguente. C’erano tre problemi
basilari sul tappeto: i trasporti, gli alloggi e gli stranieri, e la
Fpö attribuì le deficienze amministrative e gli sperperi nell’edilizia
e nella costruzione della metropolitana che stavano emergendo al
governo sostanzialmente ininterrotto della Spö. L’immigrazione,
tuttavia, rimaneva l’argomento scottante. La Fpö enfatizzò la
pressione che questo fenomeno esercitava sulla questione degli alloggi
e sulla disponibilità di posti di lavoro, ma concentrò la sua
campagna soprattutto sulle scuole; in alcuni distretti, sosteneva, i
bambini di lingua tedesca erano ridotti a una minoranza del 20-25%.
Malgrado le accuse di razzismo, quasi il 40% della popolazione
identificava l’immigrazione come un problema serio e attuale. All’interno
di questa percentuale, un elettore su due vedeva nella Fpö il partito
più competente ad affrontare la questione degli stranieri, un fattore
che veniva dichiarato decisivo da un terzo degli elettori
nazional-liberali, soprattutto da quelli che provenivano dalla Spö.
Le analisi condotte dopo le elezioni mostrano tuttavia che la protesta
rimaneva il fattore dominante che stava dietro il successo della Fpö,
mentre nessun elemento indicava una simpatia nostalgica per temi
tedesco-nazionali, fascisti o nazionalsocialista. Perfino Haider, che
viene così spesso raffigurato come una “camicia bruna” in abiti
moderni, era fra le ragioni meno citate del passaggio alla Fpö.
L’establishment viennese rimase tramortito da questo nuovo clima
politico. La Spö scivolò per la prima volta nella storia della
Seconda Repubblica sotto il 50% e la Fpö ascese dal 9,7% del 1987 al
22,5%, triplicò il numero dei seggi occupati nel consiglio comunale e
diventò il secondo partito in ordine di rappresentanza. Colpì
particolarmente il fatto che oltre il 26% della classe operaia e il
35% del complesso degli operai specializzati votarono per la Fpö.
Anche alle elezioni dei Länder della Stiria e dell’Alta Austria,
tenutesi poche settimane prima, la Fpö aveva ottenuto successi,
attribuiti a «una massiccia breccia aperta nelle circoscrizioni dove
la Spö aveva tradizionalmente i suoi feudi», alla «questione degli
stranieri» e alla «truffa del welfare», nonché alla trasformazione
della Fpö «da partito di élites a partito operaio».
Nel 1992, la Fpö raccolse un consenso popolare ancora maggiore quando
tentò di capitalizzare sul rifiuto che il governo aveva opposto alla
sue proposte restrittive in materia di immigrazione attraverso il
lancio di una campagna intitolata «L’Austria innanzitutto». Essa
proponeva di aggiungere un paragrafo alla Costituzione federale, nel
quale venisse dichiarato che l’Austria non era un classico paese di
immigrazione, nonché di prendere un certo numero di altri
provvedimenti per affrontare i problemi della sanità, dell’educazione,
dell’assistenza sociale e degli alloggi, che a suo avviso erano
oggetto di una situazione negativa.
Un sondaggio condotto all’inizio della campagna mostrò che
1.680.000 austriaci la condividevano, ma a quel punto un’associazione
di alto profilo per i diritti degli immigrati montò una
controcampagna che dipinse abilmente la campagna come una crociata
razzista anti-stranieri, implicitamente nazista, rivolta contro gli
industriosi e indispensabili lavoratori stranieri e i rifugiati
abbandonati a se stessi, che cercavano di sfuggire alla povertà, alla
repressione politica e alla guerra civile. La Spö appoggiò questa
iniziativa ad alto livello.
All’interno della Fpö, un piccolo gruppo di parlamentari trasse le
stesse conclusioni da un progetto di legge che si proponeva di
limitare al 30% nelle classi della scuola pubblica il numero di
bambini in età scolare che non parlavano il tedesco come madrelingua
e di creare classi parallele per gli stranieri quando tale percentuale
veniva superata. Quando non riuscirono ad ottenerne la modifica, l’ex
segretaria generale del partito e candidata presidenziale della Fpö
nel 1992, Heide Schmidt, l’ex ministro della difesa Friedhelm
Frischenschlager e alcuni altri si scissero, formando il Forum
Liberale.
Quando ho chiesto ad Haider del loro dissenso sul fatto che la
condizione della madrelingua significasse etnicità e non competenza
linguistica, egli ha negato la fondatezza dell’accusa, sostenendo
che la Fpö si era limitata ad usare il modello berlinese adottato
sotto il rispettatissimo ex sindaco e poi presidente federale Richard
von Weiszäcker. Sebbene Berlino in effetti avesse dovuto affrontare
lo stesso problema, in quel caso il criterio usato era però stato la
«conoscenza della lingua tedesca» da parte dei «bambini
stranieri». Si deve tuttavia anche notare che il termine
«madrelingua» venne usato, nella discussione parlamentare, da
entrambi i partiti della coalizione e non può pertanto essere
assolutamente considerato un’esclusività della Fpö.
Rispondendo ad ulteriori domande su questo argomento, Haider lasciò l’impressione
di essere preoccupato in realtà da qualcosa di più della semplice
abilità nell’uso delle lingue. Il problema è la cultura, ed è
collegato al desiderio da lui più volte asserito di proteggere «la
patria» dalla pressione delle politiche multiculturali del governo.
La sua affermazione secondo cui gli immigrati che si stavano
integrando «non erano più un problema» suggerisce che l’accusa di
razzismo era fuori luogo e che la vera discussione avrebbe dovuto
essere attorno al reale obiettivo della Fpö di preservare le
caratteristiche culturali dell’Austria dagli inevitabili cambiamenti
che si verificano quando c’è una pesante immigrazione.
Un dibattito di questo genere, però, non si aprì, e sullo sfondo di
aggressioni a stranieri, dimostrazioni contro il terrorismo di destra
in Germania e un corteo di massa al lume delle candele contro l’iniziativa
“anti-stranieri” a Vienna, poco più della metà di coloro che
inizialmente avevano dichiarato che avrebbero sostenuto il progetto
«L’Austria innanzitutto» lo firmarono effettivamente. I mezzi d’informazioni
definirono quanto accaduto un flop, si congratularono con gli
austriaci perché si erano ripresi dalla recente inclinazione verso
destra e dichiararono Haider politicamente morto.
Come Mark Twain quando seppe della pubblicazione del suo necrologio,
Haider avrebbe potuto far notare che la notizia della sua morte era un’esagerazione.
Meno di due mesi dopo, la Fpö ampliò il suo curriculum di successi
elettorali in tre elezioni regionali. In Carinzia ottenne il 33,28% ed
arrivò ad un seggio dal pareggio con la Spö; inoltre ottenne piccoli
incrementi a Salisburgo e in Tirolo.
In tutte e tre queste elezioni, gli exit polls mostrarono di nuovo che
la protesta contro la coalizione Spö-Övp e contro il trattato che
essa aveva di recente negoziato per l’ingresso dell’Austria nell’Unione
Europea, nonché il timore dell’immigrazione, erano i fattori
dominanti del voto per la Fpö. Tali motivazioni sono congruenti con i
precedenti incrementi di consenso e con gli atteggiamenti della “Nuova
Destra” populista radicale in tutti gli altri paesi; ma suggerire,
come fanno gli Antifa austriaci, che esse sono il riflesso di un
passato irriducibile sembra un esagerazione, che non consente di
riconoscere che il razzismo e la xenofobia sono fenomeni moderni, che
non devono necessariamente essere, e probabilmente non sono, collegati
al nazionalsocialismo.
Il risultato del referendum del 1994 sull’approvazione del trattato
negoziato per aderire all’Unione Europea offrì un esempio della
volatilità di questo nuovo elettorato. Pensando di sfruttare la
tendenza populista venuta alla luce sia in due paesi dell’Unione
come Danimarca e Francia, dove il trattato di Maastricht era stato
approvato solo di stretta misura dagli elettori, sia in Svizzera, dove
era stata respinta l’ipotesi di adesione, la Fpö spinse per l’astensione,
cercando di giustificare la revoca dell’appoggio a lungo concesso
all’integrazione europeo con l’affermazione secondo cui il
trattato assegnava troppo potere ai “burocrati di Bruxelles”. Un
sonante 66,34% respinse questa questa posizione, il tasso di
popolarità di Haider scese ai livelli più bassi e i suoi nemici nel
mondo giornalistico interpretarono il voto come una sconfitta per l’estremismo
di destra, che associavano alla sfortunata campagna anti-Ue.
Ciò che una simile interpretazione non riusciva a riconoscere è che
i successi della Fpö negli otto anni precedenti non erano stati
costruiti sulla base di nessun tipo di ideologica nostalgica di
estrema destra, ma piuttosto sulla protesta contro l’ordine
costituito e, più di recente, sui propositi radicali di porre un
termine all’ossificato status quo. Un voto favorevole all’adesione
all’Unione Europea non alleviava assolutamente l’alienazione dell’elettorato,
e la tanto citata “euroforia” non ne cancellava gli effetti sulla
coalizione Spö-Övp.
La campagna parlamentare della Fpö iniziata tre mesi dopo offre
alcuni elementi specifici atti a giustificarne l’inserimento nella
categoria dei partiti populisti della destra radicale, secondo i
criteri tratteggiati dalle opere di Betz e di Plasser e Ulram. I suoi
temi, tuttavia, non rappresentano un estremismo in relazione alla
tendenza politica generale, che a livello internazionale era già
stato spostato a destra da Margaret Thatcher e da Ronald Reagan.
Questa nuova destra populista è però lungi dall’essere
conservatrice e, rispecchiando la «nuova rivoluzione americana» di
Newt Gingrich, Jörg Haider propose all’Austria una «terza
Repubblica».
Agli americani che in quel momento stavano affrontando le elezioni di
mid-term per il Congresso, e in particolare per i californiani che
stavano facendo anche l’esperienza della costosissima corsa
senatoriale tra Feinstein e Huffington e il tentativo di rielezione
del governatore Wilson, sullo sfondo della campagna per la Proposition
187, l’enfasi della Fpö sulla delinquenza, sull’immigrazione e
sui valori morali sarebbe apparsa familiare.
Per mettere in evidenza il problema della criminalità, Haider scelse,
come seconda candidata della lista del partito, una giurista, già
appartenente alla Övp, che esprimeva la sua preoccupazione rispetto
alla delinquenza e all’immigrazione e denotava la sua personale
fiducia nella pena di morte. Diversamente da quanto sarebbe accaduto
in California, dove il suo sostegno alla pena capitale sarebbe stato
considerato troppo moderato, il settimanale «Profil» raffigurò
senza troppe sottigliezze la sua preoccupazione per la criminalità
come un’ossessione per il «Blut und Banden» ed accusò di
semplicismo la sua affermazione secondo cui «vivere in prigione deve
voler dire vivere».
Sull’immigrazione, la Fpö aveva presentato le sue credenziali con l’iniziativa
«L’Austria prima di tutto». Anche l’attenuazione del problema
dovuta alla legislazione fortemente restrittiva adottata dal governo
può essere andata a vantaggio della Fpö. Chi concordava con la
critica di «Profil» secondo cui le misure legislative adottate erano
eccessive ed erano state prese solo per dare soddisfazione agli
elettori, non era contento di aver votato, in fin dei conti, per la
Fpö, mentre chi era preoccupato per l’immigrazione, anche se si era
guardato bene dall’ammettere apertamente questo disagio firmando la
petizione «L’Austria prima di tutto», poteva attribuire il
miglioramento alla pressione esercitata dalla Fpö.
Sul fronte dei principii, con la Övp impegnata, «senza alcun se, e o
ma», a continuare la politica di coalizione con una Spö che molti
conservatori giudicavano responsabile del declino dei valori, la
destra morale non aveva nessun altro luogo dove collocarsi all’infuori
della Fpö. Haider mise in chiaro la richiesta di sostegno che il
partito nazional-liberale rivolgeva a questo settore nel suo libro Die
Freiheit die ich meine, indicando nello Stato assistenziale e nel
materialismo indifferente ai valori morali le fonti del malessere
moderno.
Un buon esempio di ciò che vi è di sbagliato nella società moderna,
sosteneva, è quel che è accaduto alla famiglia, sostanzialmente
perché il materialismo ha spinto le madri a lavorare. Prendendosela
con le femministe, Haider proponeva incentivi fiscali per consentire
alle madre di stare a casa ed allevare i figli, e per le donne che
devono o vogliono lavorare suggeriva più asili, senza limitazioni di
classe o di appartenenza a partiti.
Reagendo a queste proposte, uno dei critici tracciò l’inevitabile
parallelismo con la politica nazista di Kinder, Kirche, Küche
[bambini, chiesa, cucina] e lo accusò di razzismo anti-stranieri
perché voleva incoraggiare l’aumento del tasso di natalità degli
austriaci. Queste acque ideologiche furono però notevolmente
introrbidate nell’estate del 1994 dalla moglie del cancelliere
socialista, la quale, in un’intervista a «Profil», propagandò i
«valori della famiglia» e criticò le madri che lasciavano i figli
all’asilo alle 7 del mattino «per guadagnare forse quattro o
cinquemila scellini». La Spö si trovò in imbarazzo e le femministe
si infuriarono, ma un sondaggio mostrò che l’opinione pubblica si
divideva in parti eguali nel giudizio su quei punti di vista. Per
estensione, quindi, si può inferire che circa la metà del pubblico
non vedeva nelle opinione di Haider e della Fpö su quel tema nessuna
riminiscenza del nazionalsocialismo.
Nella campagna della Fpö del 1994 si rivelarono cruciali soprattutto
gli attacchi basati sugli scandali e sul clientelismo. Le accuse di
favoritismo di partito, sperperi e corruzione erano state una
caratteristica delle campagne elettorali della Fpö sin dalle origini,
e nel suo dibattito televisivo con il cancelliere socialista
Vranitzky, Haider insistette pesantemente su questi temi. Prendendo
spunto da Ross Perot, sventolò un documento che mostrava gli
esorbitanti stipendi e pensioni pagati ai colleghi di partito del
cancelliere dalla Camera del lavoro della Stiria e attaccò gli
«accordi segreti» come esempi della «palude» della politica
finanziaria, economica e degli alloggi prodotta dal clientelismo dei
“vecchi partiti” attraverso la «collaborazione sociale» ed
esasperata da venticinque anni di governo «socialista». Vranitzky
dichiarò che quelle lagnanze erano «trite e ritrite» e non
toccavano la sua responsabilità, ma esse fecero registrare una
reazione favorevole a Haider in un sondaggio successivo al dibattito.
Tutti quei temi finivano con l’avvicinarsi notevolmente alle più
importanti motivazioni del voto per la Fpö citate dagli elettori
intervistati nei sondaggi: a) perché la Fpö combatte sul serio gli
scandali e il clientelismo; b) perché la Fpö incarna la posizione
giusta sulla questione degli stranieri; c) perché la Fpö si batte
contro il potere dei partiti e per maggiori diritti ai cittadini.
Delle quattro motivazioni rimanenti, tre possono essere ricondotte,
come al solito, ad una diffusa protesta contro, e disgusto per, la
politica. Soltanto una, «la Fpö rappresenta più chiaramente i miei
interessi, o la mia tradizione», può essere interpretata come una
traccia evidente dell’ideologia tedesco-nazionale che i critici
della Fpö associano all’estremismo di destra, al fascismo e al
nazismo.
Il maggiore aumento di consensi del partito, del resto, non si
verificava nei settori dell’elettorato tipicamente associati all’estremismo
di destra. Scioccando chi credeva che la Fpö avesse raggiunto il
limite del suo naturale bacino di consenso nel 1990, il partito balzò
in avanti di quasi il 6%, raggiungendo il 22,5%. Sebbene perdesse un
certo numero di elettori di classe media a favore dei Verdi, del Forum
liberale e delle astensioni, le sole defezioni dalla Spö ammontavano
a duemila voti in più di quelli che rappresentavano il totale della
sua crescita. Gli ex elettori socialdemocratici costituivano quasi un
quarto dell’intero totale della Fpö, e gli operai continuavano ad
occupare la posizione di maggiore singolo gruppo demografico nell’elettorato
della Fpö, come già era accaduto nel 1990. L’11,1% per cento del
totale dei suoi elettori aveva votato Övp nel 1990.
Oltre ad aumentare del 6,7% nei centri urbani con “tradizionali”
distretti operai, la Fpö otteneva incrementi pressoché identici in
zone rurali e miste, nonché una crescita del 5,6% in regioni di
industrie e servizi situate in zone dove i problemi economici erano
rilevanti, come la Stiria, l’Alta Austria e la Carinzia, e nelle
regioni occidentali industriali e turistiche. L’aumento più
contenuto era il 4,4% ottenuto in regioni con un’alta concentrazione
di impiegati di alta qualificazione, che tradizionalmente erano stati
il gruppo più rappresentato nell’elettorato del partito.
Un altro tema che emerse, ma non venne registrato sugli schermi radar
degli elettori, fu la provocatoria affermazione di Haider che la
Seconda Repubblica era obsoleta e avrebbe dovuto essere sostituita da
una «Terza Repubblica». Collocato nel contesto della storia della
Seconda Repubblica, quel che Haider stava effettivamente dicendo era
che la democrazia austriaca era cresciuta al di là dello Stato
partitico e corporativo sul quale inizialmente aveva poggiato. Per
adattarsi alla realtà contemporanea, sosteneva Haider, avrebbe dovuto
verificarsi una transizione ad una democrazia plebiscitaria, nella
quale i partiti sarebbero serviti solo come veicolo per eleggere
rappresentanti, i quali avrebbero quindi preso ordini da un’attiva
cittadinanza e non da un partito a sé stante.
A tale scopo, la Fpö cominciò ad autodefinirsi Movimento-F, o «die
Freiheitlichen», e adottò nel 1995 un nuovo statuto per incorporare
il cambiamento. Propose inoltre modifiche costituzionali per ottenere
l’elezione diretta di governatori e sindaci e un forte Primo
Ministro-Presidente, secondo i modelli francese e statunitense. Il
governo federale sarebbe stato eletto dal parlamento e reso
responsabile nei confronti della volontà del popolo attraverso
frequenti referenda consultivi.
Mentre i riformatori della Fpö vedevano un futuro di accresciuta
libertà locale e regionale dal governo federale e una più attiva
partecipazione dei cittadini, gli Antifa richiamarono l’attenzione
alla combinazione che Hitler aveva creato fra la sua carica di
Cancelliere e quella di Presidente dopo la morte di Hindenburg nel
1934.
Questo dibattito teorico sul presunto estremismo di destra della Fpö
venne oscurato da un vero atto estremista, un attentato esplosivo nel
paese di Oberwart, nel Burgenland, il 5 febbraio 1995, in cui vennero
uccisi due Rom. Se ne sospettò immediatamente, e in seguito se ne
accertò, un legame con le recenti lettere-bomba spedite dall’«Esercito
di liberazione bajuvara» (Bba), nazionalista tedesco e rivolto contro
gli stranieri. Malgrado la mancanza di qualunque indizio concreto di
un’implicazione della Fpö, buona parte della stampa che conta
ritenne il partito responsabile della creazione di un clima di odio
che incoraggiava violenze di quel genere.
Nel dibattito parlamentare che si tenne tre giorni dopo l’esplosione
di Oberwart, Haider respinse il «terrorismo» che, prevedeva, i
«pietosi» uomini della sinistra avrebbero scatenato contro di lui e
il suo gruppo, sostenendo che la violenza non aveva un marchio
ideologico, ed era semmai opera di «una rete, che in tutta Europa sta
operando allo scopo di destabilizzare le democrazie». Citando il
problema dei diritti delle minoranze come un’altra possibile causa,
magnificò i successi da lui ottenuti in Carinzia a tale proposito e
mise sotto accusa il governo Spö del Burgenland e il governo Övp di
Oberwart per non essere riusciti a integrare «una minoranza etnica
che cinquant’anni fa è stata praticamente sterminata nei campi
penali nazionalsocialisti».
I «terroristi pietosi» della Spö lo accusarono di minimizzare i
crimini del nazionalsocialismo usando il termine «campo penale», ma
in questo caso la critica di un discorso nel quale richiamava
specificamente l’attenzione sul genocidio nazionalsocialista
probabilmente gli fece guadagnare qualche punto fra quanti non
sopportavano più il frasario “politicamente corretto”.
Un’altra bomba esasperò tuttavia la tensione tra la Fpö e la Spö
nelle prime ore del mattino del 20 aprile, quando due ragazzi rimasero
uccisi in un tentativo di far saltare in aria un traliccio dell’elettricità
nel paese di Ebergassing, vicino a Vienna. Dal momento che il “cacciatore
di nazisti” Wolfgang Purtscheller aveva messo in guardia circa la
possibilità di attentati esplosivi attorno a Pasqua, e dato che il 20
aprile è il giorno della nascita di Hitler, circolarono alcune
supposizioni sul fatto che anche in questo caso si trattasse dell’opera
di estremisti di destra. Investigazioni più accurate, tuttavia,
rivelarono che le vittime erano anarchici-autonomi di sinistra, che si
erano fatti saltare in aria per errore nel tentativo di protestare
contro la costruzione della linea elettrica.
Haider trasse spunto dall’accaduto per avanzare l’illazione che
anche gli altri attentati esplosivi fossero opera di estremisti di
sinistra che cercavano di screditare la Fpö. Il giornale del partito
accompagnava queste accuse con un diagramma della «rete» che legava
assieme i quartier generali degli attentatori, i partiti comunista,
socialdemocratico e verde, l’Archivio documentario (Döw), gli
scrittori antifascisti militanti, la televisione di stato, «Profil»
ed altri giornali di spicco.
L’attacco della Fpö si fece ancora più acuto quando si scoprì che
il ministro socialdemocratico degli Interni, Caspar Einem, aveva
donato del denaro alla pubblicazione radicale di sinistra
«TATblatt», che il partito accusava di aver incoraggiato il
terrorismo di sinistra. Einem era stato nominato ministro degli
Interni solo poche settimane prima ed era immediatamente diventato il
beniamino dei mezzi d’informazione, che lo accreditavano come il
nuovo “anti-Haider” e come un possibile successore del cancelliere
Vranitzky, che era apparso fiacco nella campagna elettorale dell’autunno
precedente. Haider, a cui la reputazione di estremista di destra era
stata assegnata grazie ad un’accusa di concorso con ambienti
sospetti, adesso rivoltava la tattica a proprio vantaggio, richiedendo
un voto di sfiducia contro il ministro degli Interni. Il cancelliere e
i portavoce della Spö risposero per le rime, denunciando il fatto che
gli articoli e le interviste di Haider comparsi sulle pubblicazioni di
destra erano responsabili della creazione del clima al cui interno si
era sviluppato il terrorismo di destra.
Quando questo accesso di collera sia a sinistra che a destra fu
passato, il problema del deficit e del modo in cui lo si doveva
affrontare eclissò tutti gli altri argomenti politici. La coalizione
Spö-Övp che era stata rimessa insieme dopo le elezioni del 1994 era
stata seriamente messa sotto tensione dal tentativo di concordare una
manovra finanziaria di risanamento in primavera, e andò in crisi
venerdì 13 ottobre, quando il nuovo presidente della Övp, Wolfgang
Schüssel, si ritirò dall’alleanza per protesta contro l’errata
conduzione della politica economica e puntando sul fatto che la
popolarità che i sondaggi gli accreditavano avrebbe potuto dargli la
maggioranza relativa alle nuove elezioni, fissate per il 17 dicembre,
facendolo diventare cancelliere.
Jörg Haider aveva indirettamente contribuito a questa serie di eventi
quando all’indomani delle elezioni, giusto un anno prima, si era
offerto di appoggiare un governo di minoranza dell’Övp,
considerandolo un modo per farla finita con la consueta routine. Il
presidente dell’ Övp Eduard Busek respinse l’offerta, onorando l’impegno
assunto durante la campagna di sostenere la coalizione «senza alcun
sé, e o ma». Per coloro che ne avevano abbastanza di servire da
ancella alla Spö, la promessa di Busek fu la causa del peggior
risultato ottenuto dall’Övp in tutta la sua storia.
Nell’aprile del 1995, Busek venne sostituito da Wolfgang Schüssel,
che cercò di darsi un’immagine ben definita sostenendo con forza l’idea
conservatrice, da qualche tempo di moda, di riduzione delle dimensioni
del governo, risparmio e contenimento del deficit, in contrapposizione
ai suoi alleati di governo socialdemocratici. In breve tempo si fece
la fama di un “ammazza-Haider” che avrebbe potuto riunire buona
parte della classe media e mettere fine ai venticinque anni di dominio
della Spö, che ancora veniva indicata, nei circoli conservatori, con
l’espressione «i socialisti».
Quasi che volesse prestarsi a questa strategia, la Spö entrò in una
fase di dubbi. Si diceva in giro che Vranitzky fosse “stanco della
carica” e il segretario generale Josef Cap era oggetto di attacchi,
tanto che «Profil» si chiese se la Spö potesse «ancora essere
salvata». In un sondaggio pubblicato ai primi di ottobre dalla
rivista, il cancelliere si classificava soltanto al quarto posto nella
hitparade dei politici: era il suo risultato peggiore da sempre, con
un calo di 14 punti rispetto al sondaggio precedente. Nel frattempo,
Jörg Haider aveva guadagnato 7 punti e il vertice della classifica
era occupato dal presidente dell’Övp Wolfgang Schüssel, che era
diventato il beniamino politico dell’Austria standosene comodamente
ai margini e lasciando la Spö a combattere con il bilancio e
criticandola perché voleva «semplicemente continuare le frodi del
passato per un altro anno».
Indubbiamente incoraggiato dalla popolarità personale e della
prospettiva che sarebbe stato in grado di condurre il suo partito ad
ottenere la maggioranza, Schüssel afferrò al volo l’opportunità
di diventare cancelliere e il 13 ottobre fece approvare una
risoluzione che indicava nel 17 dicembre la data delle elezioni.
La questione che dominò la successiva campagna, ancor più delle
difficoltà di bilancio, fu se Schüssel avrebbe formato una
coalizione con la Fpö oppure no. Haider fece conoscere la propria
disponibilità ad un accordo con l’Övp, pur affermando che, se il
suo partito non fosse risultato il più forte, sarebbe personalmente
rimasto in parlamento e avrebbe nominato qualcun altro
vice-cancelliere. Schüssel non volle escludere la possibilità di una
coalizione con la Fpö, spingendo la Spö, i verdi e il Forum Liberale
verso una campagna decisamente antifascista contro Haider e il suo
partito.
Schüssel, dal canto suo, abbandonò la «politica di centro» che
aveva causato la disfatta del suo predecessore negli anni precedenti.
Presentandosi come un “Haider buono”, adottò buona parte del
programma populista della Fpö sui tagli al welfare state, svalutando
tutto ciò che stava alla destra dell’Övp come «energia
negativa». Per la prima volta, Haider veniva messo sulla difensiva. I
sondaggi mostravano che il bilancio, il taglio delle spese pubbliche,
l’economia e le tasse erano i problemi che più stavano a cuore all’elettorato,
e che la Övp era considerata, fra i due partiti conservatori, quello
più competente ad occuparsene. Inoltre, l’economia era in via di
miglioramento e l’immigrazione, che il governo Spö-Övp aveva
tenuto sotto controllo, aveva perso importanza.
L’elemento centrale della campagna della Fpö era un «contratto con
l’Austria» in venti punti, che sostanzialmente risponde ai criteri
di identificazione del populismo radicale di destra delineati da
Plasser/Ulram e Betz. Il «contratto» reclamava frugalità, riduzione
delle tasse, la sostituzione dei sussidi alle attività economiche con
incentivi fiscali, una riduzione dei contributi ai partiti e l’eliminazione
di quelli destinati alla stampa, la cessazione delle pensioni
anticipate, collegata all’assicurazione della stabilità dei
fondi-pensione, l’azzeramento del debito pubblico e il pareggio del
bilancio federale, una difesa contro il rischio di perdita di
sovranità a vantaggio dell’Unione Europea, il rafforzamento della
democrazia diretta attraverso l’uso di proposte di legge di
iniziativa popolare e referenda, la restrizione dell’immigrazione.
Il tutto era presentato in un agile opuscolo che recava in copertina
una foto di Haider su sfondo dorato, accompagnata dal seguente testo
in lettere blu (colore del partito): «Lui non vi ha mentito!
Semplicemente onesto, semplicemente Jörg». La Spö reagì con un
opuscolo che imitava quello della Fpö ma si intitolava «Le bugie di
Jörg Haider», e «Profil» la appoggiò con una copertina che
riprendeva lo slogan della Fpö ma in cui si leggeva «Vi ha
mentito!», e nel sottotitolo, laddove la Fpö vantava l’onestà di
Haider, si prometteva che nel testo si sarebbero trovate «le sue
maggiori bugie raccolte e riprodotte». All’interno spiccavano la
fotografia di un tabellone pubblicitario dei Freiheitlichen imbrattato
in modo tale da mostrare Haider con un naso da Pinocchio e un articolo
in cui lo si accusava di star conducendo la più brutale campagna dell’intera
storia della Seconda Repubblica.
In effetti, era una campagna senza esclusione di colpi, e un articolo
di «Profil», Macchie di sangue su una veste bianca, vi contribuì.
Questo era il titolo dato a un reportage sull’apertura di una mostra
dove venivano esibite testimonianze fotografiche della atrocità
commesse dalla Wehrmacht, nella quale avevano prestato servizio
familiari di moltissimi austriaci, inclini a pensare di non essere
colpevoli dei crimini di guerra attribuiti alle Ss. «Profil» faceva
notare le visite alla mostra di politici della Spö, dei Verdi e del
Forum liberale e commentava causticamente che gli esponenti dell’Övp
e della Fpö erano stati «troppo impegnati» per recarvisi, ma
avevano trovato il tempo per partecipare alla cerimonia di
Ulrichsberg, nella lontana Carinzia, dove venivano onorati i reduci
della Seconda Guerra mondiale.
Del sangue vero venne versato quella stessa settimana, quando si
verificarono altri attentati con lettere-bomba indirizzate a persone
che simpatizzavano con gli immigrati. Gran parte dei commentatori
interpretarono i nuovi incidenti come uno sforzo per minare la Seconda
Repubblica e preparare la strada alla Terza Repubblica reclamata dalla
Fpö, mentre Haider reiterò la sua congettura secondo cui i
perpetratori degli attentati erano in realtà terroristi di sinistra
che cospiravano per screditare lui e la sua presa di posizione contro
l’immigrazione eccessiva e illegale. Il giornale del partito avanzò
speculazioni, sostenendo che gli accusati erano anarchici-autonomi
legati a quelli che si erano fatti saltare in aria nel malriuscito
attentato della primavera precedente, e che facevano parte di una “rete”
collegata ai Verdi.
Malgrado il veleno della campagna antifascista contro la Fpö e le
corrispondenti risposte di quest’ultima, i temi radical-populisti di
destra che il partito aveva sfruttato con successo nei cinque anni
precedenti avevano in una certa misura attenuato il loro impatto. Un
sondaggio effettuato a scadenze regolari nel periodo di campagna
mostrava che, subito prima delle elezioni, i consueti temi della Fpö
su stranieri, costi e benefici dell’adesione all’Unione europea,
scandali e corruzione rappresentavano tutti meno del 10% dei problemi
citati come importanti. Le pensioni anticipate e gli scandali del
welfare ottenevano il 16%; i problemi di bilancio, i tagli alle spese
pubbliche, l’economia e le tasse il 43% e la preoccupazione che i
risparmi sul bilancio pubblico potessero essere fatti senza riguardo
per i bisognosi il 28%.
Dato che i temi usuali non avevano una forte risonanza, venne trovato
un nuovo argomento scottante, l’arte. La campagna si concentrò sul
ruolo svolto dal ministro socialdemocratico dell’arte, Rudolf
Scholten, per sussidiarne e dirigerne lo sviluppo. I conservatori, in
Austria, da molto tempo non si trovavano in sintonia con l’arte
moderna ed erano critici della politica di sussidi governativi a suo
favore, che dette il via ad una “guerra culturale” in occasione
delle elezioni del 1995.
Le ostilità si erano aperte nell’ottobre del 1988 con l’opposizione
alla messa in scena da parte di Claus Peymann, il direttore tedesco e
di sinistra del venerabile Burgtheater, di Heldenplatz, del “rinnegato”
e “infangatore di famiglie” Thomas Bernhard. Nel marzo di quell’anno,
l’Austria aveva affrontato con grande imbarazzo la difficile
commemorazione del cinquantesimo anniversario dell’Anschluss da
parte della Germania nazista, e l’intenzione dell’opera di
ricordare l’entusiasmo con cui l’annessione era stata accolta da
molti, nonché l’implicazione che una certa parte di quel sentimento
esisteva ancora, vennero apprezzate dalla sinistra antifascista, ma
indispettirono i conservatori e vennero messe alla berlina dai
quotidiani popolari.
La decisione di sostenere e mantenere al suo posto Peymann assunta da
Scholten, che per il suo patrocinio di drammaturghi che animavano la
campagna antifascista e promuovevano politiche multiculturali era
assurto ad arcinemico di Övp e Fpö, aumentò le tensioni. Così, in
aggiunta agli abituali attacchi ai «parassiti sociali», in
particolare gli stranieri che sfruttavano ingiustamente il sistema di
previdenza sociale, agli sprechi, alla corruzione, agli eccessivi
stipendi dei pubblici funzionari nominati dai partiti e così via, la
Fpö affisse un manifesto che chiedeva: «Amate Scholten, Jelinek,
Häupl, Peymann, Pasterk… oppure l’arte e la cultura?».
Date le recenti lettere-bomba, quell’indicazione di bersagli, non
solo politici della Spö ma anche artisti, spinse la drammaturga
Elfriede Jelinek ad esprimere il timore di essere, «in quanto
femminista, di sinistra e non pura ariana», in pericolo. La vera
vittima, le replicò Haider, era lui, preso a bersaglio dai «fascisti
culturali di sinistra» sussidiati da Scholten. Questo attacco può
essere considerato radicale di destra e populista perlomeno a due
livelli: 1) l’attacco all’arte moderna, che è paragonabile a
quello di Jesse Helms e dei repubblicani statunitensi all’opera dell’ultimo
Robert Mapplethorpe, riflette l’accusa di Haider secondo cui tale
arte evidenzia la decadenza morale e la necessità di ritornare ai
valori tradizionali, e 2) usa questa posizione morale per mettere in
discussione lo stesso concetto dei sussidi statali all’arte. In un
periodo di drastici tagli dei programmi sociali in genere, la
richiesta di riduzione o eliminazione delle sovvenzioni statali
contenuta nel «Contratto con l’Austria», evidentemente ripresa
dalla campagna dei Repubblicani americani nel 1994, aveva una forte
presa sul pubblico.
Una “bomba” giornalistica che può avere avuto sulle elezioni un
impatto maggiore di quello che avevano avuto le bombe vere dei mesi
recenti venne tirata da oltre frontiera dalla rete televisiva tedesca
Ard. Si trattava della trasmissione, solo quattro giorni prima del
voto, di un video amatoriale che mostrava Haider mentre parlava ad un
raduno di ex combattenti, inclusi ex appartenenti alle Waffen-Ss,
tenutosi a Krumpendorf in Carinzia il 30 settembre nel quadro delle
festività che accompagnavano la celebrazione di Ulrichsberg del
giorno seguente.
Nelle sue non improvvisate considerazioni, Haider condannava la
political correctness dei mezzi di informazione, che demonizzavano
simili «incontri della generazione anziana, che vuole soltanto
radunarsi in un clima di cameratismo e ricordare che cosa ha dovuto
affrontare assieme, che cosa ha sperimentato e che cosa deve
sopportare oggi». Non c’era nessuna ragionevole obiezione per
opporsi a incontri di quel genere, sosteneva: «solo che certe persone
non possono sopportare che a questo mondo esistano ancora rispettabili
esseri umani che hanno carattere e non demordono, e sono rimasti
fedeli alle loro convinzioni anche andando controcorrente […] Noi
abbiamo denaro per i terroristi, abbiamo denaro per giornali che
istigano il terrorismo e abbiamo denaro per una feccia di oziosi, ma
non abbiamo denaro per rispettabili esseri umani».
Haider esprimeva poi rispetto per «questa generazione anziana,
rispetto per le sue vite, rispetto per ciò che essa ha dovuto
affrontare e rispetto per tutto ciò che ha conservato per noi […] E
chiunque oggi dice che i membri della generazione che ha fatto la
guerra e della Wehrmacht sono stati tutti dei criminali, fa violenza
ai suoi genitori, alla sua famiglia, a suo padre. E un popolo che non
onora i propri antenati è condannato alla distruzione. Ma dal momento
che noi vogliamo avere un futuro, insegneremo ai politicamente
corretti uomini di sinistra che non siamo qui per farci distruggere e
che alla fine la rispettabilità sarà ristabilita nel nostro mondo;
anche se per il momento non siamo in maggioranza, siamo mentalmente e
spiritualmente superiori agli altri, e questo è ciò che conta».
Benche la televisione austriaca avesse deciso di non trasmettere il
video che mostrava il discorso tenuto da Haider al raduno sino a dopo
le elezioni, esso venne ampiamente ripreso dalla stampa, che lo
travisò sostenendo che il leader dei Freiheitlichen aveva chiamato
«cari amici» i veterani delle Ss e li aveva lodati per il loro
carattere e le loro convinzioni.
È difficile dire con precisione quanto abbia inciso il video di
Krumpendorf sui risultati elettorali, dato che si era convenuto che i
sondaggi dovessero cessare dieci giorni prima del voto e che a quella
data vi era ancora un 30% di indecisi. Un riassunto delle proiezioni
dei quattro maggiori istituti di sondaggio relative ai risultati
effettivi suggerisce che la Spö, come ci si poteva aspettare, ne
trasse il maggior vantaggio. Anche gli exit polls del Fessel-Institut
mostrano che il 56% degli elettori che erano passati alla Spö lo
avevano deciso nelle ultime due settimane.
Per la Spö, benché si trattasse della seconda percentuale più bassa
di voti ottenuta nel corso della sua storia, l’incremento del 3,4%
rispetto all’anno precedente era significativo, ed era il primo dal
1975. Del totale dei voti socialdemocratici, il 2,75% circa proveniva
dalla Fpö, probabilmente da operai tornati all’ovile, e circa l’1,85%
ciascuno dai Verdi e dal Forum liberale, probabilmente in risposta
alla minaccia di una coalizione Övp-Fpö. Questo risultato era già
stato preannunciato durante la campagna elettorale, quando i sondaggi
avevano mostrato la Spö al 30-32%, la Övp al 25-27% e la Fpö al
25-27%.
Quando tuttavia alle persone veniva chiesto come avrebbero votato se
avessero dovuto decidere se Haider sarebbe diventato o no cancelliere,
le intenzioni di voto per la Fpö calavano a solo il 16%, mentre
quelle per la Spö salivano quasi esattamente al livello da essa
effettivamente raggiunto alle elezioni. Oltre al fattore paura, un
altro ingrediente del recupero socialdemocratico fu la promessa di
proteggere l’Austria da eccessivi tagli nei programmi sociali, che
stavano provocando massicci scioperi in Francia proprio in quel
momento.
Malgrado la campagna contro la possibilità di un accordo Övp-Fpö
messa in atto dalla Spö, le perdite subite dai Verdi e dal Forum
liberale significavano che una coalizione “semaforo”
(rossi-verdi-gialli) non era più vicina ad un’effettiva maggioranza
di quanto non lo fosse prima delle elezioni. Allo stesso modo, lo
spostamento di Schüssel a destra e il “gioco del gatto e del topo”
sulla questione della coalizione fecero ottenere al suo partito
soltanto il 28,3%, uno scarso 0,6% al di sopra del minimo storico dell’anno
precedente, e non gli fecero compiere nessun passo avanti verso il
potere.
L’attacco concentrico di tutti i partiti contro Haider ebbe,
apparentemente, qualche effetto. La Fpö raccolse 13.000 voti in meno
rispetto al 1994 e, tradotto in percentuale, il 21,89% risultante dopo
le verifiche conclusive delle schede contestate risultò nettamente al
di sotto del 24-26% previsto dalla previsioni dei primi sondaggi ed
accettato come l’obiettivo del partito. Il calo dello 0,61% e la
perdita di due seggi era poi la prima flessione in un’elezione,
federale o locale, da quando Haider aveva assunto il controllo del
partito. La Fpö continuava tuttavia ad accrescere a vista d’occhio
la sua condizione di partito di operai specializzati.
Inoltre, benché il partito avesse condotto un’ennesima campagna
radical-populista di destra, le motivazioni dei suoi votanti erano
più differenziate. La preoccupazione per l’immigrazione era in
effetti importante, ma si classificava solo al terzo posto, dietro
alla motivazione di voto che rispondeva alla formulazione: «perché
la Fpö è per l’austerità fiscale e contro l’abuso del sistema
di assistenza sociale» e molto dietro la fama che si era costruita
scoprendo corruzione e scandali. Haider, la tradizione del partito, la
voglia di «spedire un messaggio a lorsignori» e «il minore dei
mali» si collocavano, nell’ordine, dal quarto al settimo posto.
I risultati delle elezioni in realtà precludevano ogni soluzione
diversa da quella di una riedizione della grande coalizione. Nel
capitolo che ho scritto per il libro curato da Betz e Immerfall, ho
convenuto con il punto di vista convenzionale e ho scritto che
«quantunque nel 1994 fosse stata persa la maggioranza dei due terzi
necessaria per approvare emendamenti costituzionali, comunque un’altra
edizione della “grande coalizione” tra Spö e Övp» sarebbe stata
realizzata.Non sottoscrivevo però l’ipotesi sostenuta da alcuni
osservatori secondo cui la corrente si era rivoltata contro Haider e
la Fpö.
Scrivevo viceversa che «le circostanze sembrano tuttora favorire la
Fpö. Le relazioni fra la Spö e la Övp sono ancora peggiori adesso
di quanto lo fossero prima, e Wolfgang Schüssel si troverà preso fra
un rafforzato Vranitzky, che aveva rabbiosamente attaccato durante la
campagna elettorale, e un partito deluso dal suo insuccesso nel
tentativo di fare molto di più che arrestare l’emorragia di vori in
corso. La crisi di bilancio rimane, la Övp continuerà a richiedere
una riduzione dei campi di intervento del governo e la Spö cercherà
di salvare perlomeno qualcuna delle caratteristiche del Welfare
state».
Il difficile negoziato per una nuova grande coalizione venne infatti
in seguito condotto con successo, e alla fine si trovò un accordo sul
bilancio, ma i fattori che avevano portato alla crescita della
Politikverdrossenheit nei dieci anni precedenti e della correlativa
popolarità della Fpö rimanevano. La Övp sembrava immersa in uno
scontro ideologico interno e l’accresciuto rilievo del presidente
del gruppo parlamentare conservatore Andreas Khol prometteva solo di
aumentare la tensione nei confronti della Spö.
La persistente alienazione pubblica ebbe un riflesso nelle elezioni
del Landtag del Burgenland il 9 giugno di quell’anno, in cui la Fpö
riprese il cammino vincente con una percentuale del 14,57%, il 4,83%
in più rispetto al 1991, mentre la Spö e la Övp persero
rispettivamente il 3,66% e il 2,17%. L’ampiezza del successo della
Fpö era, tuttavia, meno significativa di quanto non apparisse.
Le elezioni precedenti si erano svolte cinque anni prima, in un
periodo in cui l’effetto-Haider sulle elezioni locali era stato
sensazionale. Soltanto dieci giorni prima delle elezioni nel
Burgenland, però, Haider aveva perso il posto di governatore della
Carinzia sull’onda del furore che seguì il suo infame commento a
riguardo della politica dell’impiego del Terzo Reich. Le minute di
quella sessione mostrano che un delegato socialista interruppe Haider,
sostenendo che la sua proposta di ridurre i sussidi di disoccupazione
a chi rifiutava lavori che gli venivano offerti nel suo ambito di
competenza ricordava le politiche sull’occupazione del Terzo Reich.
Haider gli rispose bruscamente: «Il Terzo Reich aveva un’efficace
politica dell’impiego, che il vostro governo a Vienna non è nemmeno
capace di mettere in piedi». Nella baraonda che ne seguì, egli perse
il posto di governatore della Carinzia a seguito di un voto di
sfiducia richiesto dalla Spö con il sostegno della Övp, il cui
presidente venne chiamato a succedergli. Perciò la Fpö nel 1991
raccolse solo il 9,75% invece dell’11-13% previsto da un sondaggio
della settimana che aveva preceduto l’affermazione di Haider.
In questo contesto, una metà del guadagno può essere considerato un
recupero di voti che erano stati persi all’ultimo minuto nel 1991. E
in effetti la Fpö non attribuì la vittoria al suo programma,
interpretandola invece come una protesta contro il bilancio federale e
un’espressione di disappunto per i risultati dell’adesione all’Unione
Europea nell’unica parte dell’Austria che era stata designata come
«regione obiettivo-1», destinata a ricevere le sovvenzioni più
consistenti.
Proprio nel momento in cui questo articolo venne redatto nella sua
prima stesura, si stavano per contare i voti per la rappresentanza
austriaca al Parlamento europeo e per le elezioni comunali di Vienna.
I risultati di quei due appuntamenti dimostrano che la delusione verso
l’Unione Europea, le reazioni negative alle restrizioni di bilancio
decise poco tempo prima dal governo Spö-Övp e la rabbia per i doppi
o tripli stipendi dei politici fecero delle elezioni una sorta di
referendum su un’ulteriore prosecuzione della coalizione.
La mia previsione che la protesta avrebbe potuto fare della Fpö la
seconda forza per dimensioni nella delegazione austriaca a Strasburgo,
forse solo leggermente più piccola rispetto alla Spö, era solo
leggermente fuori bersaglio. La Fpö conquistò il 27,6% dei voti
espressi, il miglior risultato mai ottenuto in un’elezione a livello
federale. La sorpresa emersa dai risultati fu la vittoria della Övp,
guidata dal suo candidato più popolare, la giornalista televisiva
Ursula Stenzl. Ognuno dei due partiti della coalizioni raccolse all’incirca
il 29% dei voti, il peggior risultato mai ottenuto dalla Spö in un’elezione
federale.
A Vienna, i sondaggi mostravano che il candidato della Spö alla
carica di sindaco, Michael Häupl, non conosceva sfide in termini di
popolarità, ma il suo partito non era in grado di raccogliere la
maggioranza assoluta di cui aveva goduto nel corso dell’intera
storia della Seconda Repubblica. Gli stessi temi che avevano agevolato
la Fpö alle elezioni europee pesarono anche a Vienna. Inoltre, l’immigrazione
continuava ad essere una questione “calda” per i Freiheitlichen in
una campagna che «Profil», con la sua caratteristica mancanza di
mezze misure, definì, con allusione a uno slogan nazionalsocialista,
«Kraft durch Feinde».
In primavera, l’opposizione della Fpö contribuì alla decisione del
governo di rinviare l’applicazione di un controverso “pacchetto
integrazione” che avrebbe consentito l’ingresso nel paese ai
familiari degli immigrati rimasti nei paesi d’origine. Il candidato
sindaco socialdemocratico avrebbe voluto lasciare fuori della
discussione il problema dell’immigrazione, ma venne contraddetto ad
agosto, quando il compagno di partito e ministro degli Interni, Einem,
propose di aprire il mercato del lavoro a tutti gli stranieri che
avevano vissuto legalmente in Austria per cinque anni. Ciò fece il
gioco della Fpö, che aveva chiesto la sospensione dell’immigrazione
e l’espulsione di tutti gli stranieri privi di lavoro e di quelli
condannati per qualche reato. In una situazione di crescente mancanza
di possibilità di impiego per gli austriaci e di disoccupazione con
percentuali a doppia cifra per gli stranieri, questo tema centrale del
populismo radicale di destra aiutò a rafforzare la situazione della
Fpö come secondo partito.
In quella che un tempo era la “rossa Vienna”, la Spö perse il 9%
e la maggioranza grazie a cui governava. La Övp sprofondò al minimo
storico con il 15,26% e la Fpö si innalzò al 27,98%. Inoltre, i
sondaggi condotti sulla «questione della domenica» indicavano che il
balzo della Fpö al secondo posto nel parlamento federale, che si è
verificato nell’ottobre del 1999, avrebbe potuto verificarsi tre
anni prima.
Questo recupero di consenso può suggerire che gli antifascisti
militanti avevano “gridato al lupo” una volta di troppo. Lo
scienziato politico tedesco Claus Leggewie lo sosteneva in un forum
intitolato «Questo isterico muggito “nazista, nazista”»,
pubblicato nel mezzo della campagna del 1995 da «Profil». Egli
giudicava l’Austria una democrazia europeo-occidentale quasi del
tutto normale (stinknormale). Una delle eccezioni era la fissazione
nell’impedire una coalizione borghese che includesse Haider, dato
che rifletteva un’incomprensione della modernizzazione che si era
verificata all’interno della società.
Solo due condizioni, riteneva, avrebbero dovuto essere modificate per
inserire pienamente l’Austria nella tendenza comune alle democrazie
dell’Europa occidentale: 1) la fine della neutralità e 2) l’adesione
alla Nato. Paradossalmente, Haider le aveva proposte entrambe sull’onda
della fine della Guerra fredda e della riunificazione tedesca, e per
questo suggerimento era stato accusato di estremismo di destra.
Lo scrittore e saggista Robert Menasse ha descritto Haider come un
tardo austrofascista, ma ha ammesso che che era stato un «utile
idiota», in quanto era servito da catalizzatore del processo di
sviluppo democratico che sta attualmente ridisegnando i contorni della
politica austriaca. Lo scienziato politico austriaco Rudolf Burger non
ha condiviso l’uso dell’etichetta di austrofascista, definendo
Haider un eclettico e ha giudicato coloro che sostengono di trovare in
lui un potenziale fascismo come persone accecate dalla storia e
incapaci di comprendere le realtà moderne austriaca e internazionale.
Leggewie e Burger sostengono la tesi esposta all’inizio di questo
saggio, e ciò che la minaccia posta dalla Fpö non è quella di una
recrudescenza del fascismo. Mentre altri partiti, intellettuali e
giornalisti possono credere di sapere che cosa sia meglio per il
proprio paese e individuano spesso tendenze totalitarie nel suo
populismo radicale di destra, l’opinione pubblica austriaca sembra
dare scarsa importanza ai loro moniti, considerandoli alla stregua di
irrilevanti esagerazioni di élites liberali di sinistra il cui gioco
è ormai entrato in crisi.
Sino a quando i governi austriaci continueranno ad essere costituiti
da partiti che hanno filosofie fondamentalmente opposte, è probabile
che l’attuale incomunicabilità proseguirà; la Fpö ha pertanto
beneficiato della lunga collocazione all’opposizione, a dispetto del
fatto che i suoi esponenti siano senza soste denunciati come i più
dannosi per l’immagine del paese.
Il crescente disgusto dell’elettorato verso la “solita politica”
e la continua erosione delle lealtà di partito suggerisce che
movimenti elettorali più liberi, del tipo previsto dalla
riorganizzazione dei Freiheitlichen nel 1995, possono essere in vista.
Un’ottimistica visione di questa tendenza può portare a ritenere
che il suo risultato sarà la fine dello “Stato dei partiti” e un
parlamento più forte, caratterizzato da una più stretta connessione
dei suoi membri con la loro base di legittimità; non il caos e la
conseguente dittatura di un Führerstaat che gli antifascisti
militanti vedono riflessa nella Terza Repubblica proposta da Haider.
Certo, presidenti forti e plebisciti richiamano alla mente le tecniche
usate da Napoleone III, Mussolini e Hitler; le loro dittature,
tuttavia, vennero edificate in società prive di qualunque esperienza
di lunga durata della democrazia rappresentativa. L’Austria di oggi,
malgrado la crisi di bilancio e i problemi del debito, esplosi come
questioni di grande rilevanza politica nel 1995, gode di di uno dei
livelli di vita più alti al mondo ed è maturata, come repubblica
democratica, negli scorsi cinquant’anni.
In uno studio comparato fra le risposte degli austriaci e degli
statunitensi a domande identiche o simili miranti ad accertare le loro
opinioni sui temi connessi al nazionalpopulismo, ho riscontrato che
gli elettori della Fpö sono vicini, nel loro fastidio per la
politica, all’elettorato nordamericano nel suo complesso, mentre l’elettorato
austriaco nel suo complesso è per certi versi meno alienato.
In ogni caso gli austriaci non mostrano sostegno per un fascismo ormai
passato di attualità, e la tecnologia, che le generazioni precedenti
temevano avrebbero contribuito al totalitarismo, adesso sembra semmai
poter indebolire il potere del governo centrale. I cambiamenti
proposti dalla Fpö sono in effetti radicali e i sentimenti che li
guidano sono populisti di destra, ma potrebbero incontrare un consenso
maggioritario fra i conservatori americani proiettati verso il futuro,
dai quali Haider ammette di aver tratto idee e ispirazione.
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