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La Fpö dalla protesta al populismo di destra



Max Riedlsperger



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Il seguente saggio, con il titolo "Dalla protesta al populismo radicale di destra: la Freiheitliche Partei Österreichs negli anni Novanta", è uscito in Italia nel numero 29 della rivista quadrimestrale di cultura politica "Trasgressioni", diretta da Marco Tarchi. L'autore, austriaco, è professore di Storia alla California Polytechnic State University. Ne proponiamo ai lettori una versione priva delle note e delle tabelle contenute nel testo originario.

Il titolo di questo articolo è frutto di un ripensamento che mi si è affacciato alla mente mentre stavo riflettendo sul programmi del Partito liberale austriaco Il progetto della Fpö: dallo Stato dei partiti alla democrazia dei cittadini. La via verso la Terza Repubblica, per sottolineare le trasformazioni in atto nel panorama politico e sociale austriaco. Che la Fpö intenda sostituire la Seconda repubblica austriaca con un altro tipo di regime è quanto sostengono coloro che catalogano il partito e il suo presidente Jörg Haider nell’estrema destra e considerano i suoi progetti di “Terza Repubblica” come la copertura per costituire un “Quarto Reich”.

Io ho a lungo rifiutato di applicare l’etichetta di estrema destra alla Fpö, e in un saggio che ho pubblicato nel 1992, Heil Haider! The Revitalization of the Austrian Freedom Party since 1986, eccepivo in merito alla decisione di Hans-Georg Betz di includerlo in una «marea in crescita di partiti radicali di destra nell’Europa occidentale», sostenendo una linea simile a quella successivamente adottata da Michael Minkenberg rispetto alla Nuova Destra tedesca, e cioè che la rinascita della Fpö era dovuta a cambiamenti strutturali dell’elettorato austriaco, che avevano prodotto nuovi cleavages e nuove linee di conflitto partitico e che la ponevano al di fuori dello schema dell’estremismo di destra del passato.

In quel periodo stavo reagendo contro il punto di vista del Dokumentationsarchiv des österreichischen Widerstandes (Döw), che effettivamente vede i moderni fenomeni dell’area politica di destra all’interno dello schema storico del fascismo e del nazionalsocialismo e di recente ha ulteriormente inasprito la sua posizione sulla Fpö facendo di Haider, raffigurato con la simbolica bandiera del neonazismo, l’“uomo copertina” dell’edizione 1993 del suo Handbuch des Österreichischen Rechtsextremismus.

Il presente articolo non rappresenta un capovolgimento del mio precedente rifiuto di questa interpretazione, ma piuttosto un successivo raffinamento, nato dalla richiesta di Betz di contribuire con un capitolo dedicato alla Fpö ad un libro sui partiti populisti di destra radicale che lui e Stefan Immerfall avevano in mente di mettere insieme. In un primo momento declinai l’invito, facendo presente che preferivo riservare la designazione “estrema destra” per gli assassini di medici che praticano aborti, per chi spedisce lettere-bomba e per altri soggetti consimili. Insistendo sulla distinzione fra radicali di destra ed estremisti di destra, Hans-Georg Betz espresse la convinzione che quello che avrei scritto sarebbe stato assolutamente compatibile con il previsto orientamento del libro e mi spinse a leggere il suo Radical-Right-Wing Populism in Western Europe prima di rifiutare. Dopo averlo fatto, mi accorsi che in effetti la mia percezione della Fpö si accordava con lo schema del libro progettato ed accettai di parteciparvi. I rilievi che seguono sono tratti, in parte, da quel contributo.

Tecnicamente, la Freiheitliche Partei Österreichs non è un partito nuovo. Fondata nel 1956, è una diretta discendente del campo (Lager) nazional-liberale tedesco, che risale alla rivoluzione del 1848. Sino a pochi anni addietro, era un partito di protesta relativamente piccolo, collocato all’interno del sistema austriaco a due partiti e mezzo dominato dalla Sozialistische Partei Österreichs (Spö) e dalla Österreichische Volkspartei (Övp). Cominciò a trasformarsi nel 1986, quando il trentaseienne Jörg Haider, un personaggio dalla bellezza sportiva, ne assunse la guida: un cambiamento che venne salutato dal rotocalco «Profil» con una vignetta in cui il neopresidente veniva rappresentato, con una camicia bruna modello Sa e un bracciale con la svastica, nell’atto di strangolare il suo predecessore nel ruolo di capo dei liberali. Da allora in poi, la Fpö ha accresciuto la sua percentuale di consensi in quasi tutte le elezioni a livello federale e statale ed è diventata il secondo partito in tre parlamenti regionali.

Contrariamente al messaggio implicito nella vignetta ora citata, la minaccia posta dalla Fpö non è la recrudescenza del fascismo. Mentre l’oratoria rumorosa e non di rado volgare di Haider infiamma il livello più basso delle emozioni politiche, il suo obiettivo dichiarato non è un totalitarismo neofascista altamente centralizzato, ma piuttosto un governo di dimensioni più ridotte, nel quale il popolo possa svolgere un ruolo più diretto autogovernandosi. La combinazione del suo appello libertario (freiheitlich) con l’istinto di Haider per lo sfruttamento del risentimento dell’opinione pubblica intorno ai problemi di attualità ha fatto della Fpö il partito neopopulista di maggiore successo in Europa.

La Seconda repubblica austriaca, dominata dai partiti, venne instaurata nel 1945 con la creazione dei tre partiti “antifascisti”, la Övp, la Spö e il minuscolo partito comunista (Kpö), fondati solo pochi giorni prima. Sebbene le denominazioni fossero nuove, i partiti non erano altro che le riproduzioni contemporanee dei due campi ben divisi ed ostili, quello cristiano-sociale e quello marxista, che si erano sviluppati nel XIX secolo secondo linee ideologiche. Durante il periodo fra le due guerre, i due campi si combatterono per cercare di strutturare la nuova Repubblica in base alle rispettive ideologie. Ciò condusse alla guerra civile e poi alla dittatura sotto i cristiano-sociali. I partiti nazional-liberali tedeschi, che si erano sempre battuti per l’inclusione dell’Austria in una più grande Germania, furono completamente inghiottiti dai nazisti e tutti gli altri partiti vennero assorbiti dal totalitarismo nazionalsocialista nel 1938.

Quando si ricreò, nel 1945, un autonomo stato austriaco, i capi dei tre partiti politici si accordarono per governare in coalizione. A causa delle loro contrastanti visioni socioeconomiche, culturali e politiche si sviluppò un unico, condiviso sistema di governo, conosciuto con il nome di Proporz, che mise ciascun partito in condizione di sorvegliare gli altri ad ogni livello della struttura pubblica. Mentre la Kpö cadde vittima della Guerra Fredda, le élites di Övp e Spö impararono a cooperare orizzontalmente, attraversando le tradizionali linee di frattura tra i due pilastri, pur continuando nel contempo ad attizzare la lealtà di partito dall’alto verso il basso all’interno dei rispettivi campi.

Dato che entrambi i maggiori partiti erano stati perseguitati durante il Terzo Reich, i loro dirigenti erano uniti contro il nazionalismo tedesco. L’idea che la maggioranza degli austriaci facesse parte di una Kulturnation non politica basata su una comunità di lingua, storia ed etnicità veniva equiparata al nazismo, e il rifiuto del concetto di nazione austriaca veniva visto come un atteggiamento di estrema destra. Benché perlomeno metà della popolazione non condividesse questo punto di vista, non c’era nessuna mossa immediata in grado di rivitalizzare il campo nazional-liberale, a causa della condanna per associazione con il nazionalsocialismo che lo aveva colpito.

A rivitalizzare il terzo campo fu una politica di denazificazione concepita frettolosamente, che non riuscì a distinguere i semplici membri del partito dai veri criminali di guerra. Temendo che la crescente ostilità potesse stimolare una rinascita del nazismo, due giornalisti di Salisburgo, che erano finiti in carcere durante il Terzo Reich, fondarono la Lega degli Indipendenti (Verband der Unabhängigen: VdU) e misero in piedi una campagna contro le misure per la denazificazione, denunciandole come violazioni dei diritti politici ed economici individuali. Alle elezioni federali del 1949 la VdU raccolse l’11,87% dei voti, il risultato più ampio raggiunto da un terzo partito sino alla vittoria del partito liberale guidato da Haider nel 1990.

La VdU sognava di diventare l’«ago della bilancia in un parlamento che votasse liberamente». Invece, tanto la VdU quanto la Fpö, che le successe nel 1956, furono denigrate come reincarnazioni del partito nazista ed escluse da qualunque coinvolgimento nei governi dai partiti che formavano le coalizioni. Un poco alla volta, tuttavia, le condizioni politiche cambiarono, permettendo alla Övp di formare il primo governo monocolore della Seconda Repubblica nel 1966.

Giocando d’anticipo, il dirigente della Spö e successivamente presidente e cancelliere, Bruno Kreisky, era già entrato in relazione con il presidente della Fpö ed ex ufficiale delle Ss Friedrich Peter, che progettava uno spostamento della Fpö verso il centro liberale. Nel 1970 la Spö conquistò la maggioranza relativa e, con la tolleranza della Fpö, iniziò la sua incrollabile egemonia sulla politica austriaca. Sotto i benevoli auspici di Kreisky, una nuova generazione postbellica di liberali della Fpö diede sostanza ideologica al pragmatico liberalismo di Peter e portò il partito ad essere accolto nelle fila dell’Internazionale Liberale, per poi farne il partner minore di una coalizione di governo con la Spö del dopo-Kreitsky, dal 1983 al 1986.

Il 1986 segnò un punto di svolta nella storia politica della Seconda Repubblica. Alla Fpö tre anni di coalizione con i socialisti erano costati il voto di protesta e la stessa identità. Di fronte a sondaggi elettorali che mostravano come il consenso per il partito fosse sceso al di sotto del 2%, conservatori, tedesco-nazionali e altri dissidenti si accordarono per assicurare l’elezione di Jörg Haider ad un congresso di partito, il che venne dipinto da buona parte della stampa come una prova di sentimenti estremisti di destra se non totalmente nazisti.

Il cancelliere Vranitzky ruppe immediatamente l’alleanza del suo partito con la Fpö e convocò immediate elezioni, nelle quali la Fpö diretta da Haider raccolse il 9,7%. Il voto di protesta, i candidati presentati e soprattutto la personalità di Haider furono di gran lunga le più significative determinanti della scelta degli elettori della Fpö.

Fra il 1986 e le elezioni del 1990, la Fpö sperimentò una rapida crescita di consenso elettorale in sette consecutive elezioni a livello regionale. Durante quel periodo, le sue campagne si concentrarono in primo luogo su problemi che potevano essere portati a carico del governo federale: disoccupazione, sperpero delle entrate fiscali, corruzione ed eccessivo clientelismo politico, scandali. Nel contempo, la Fpö sosteneva la privatizzazione delle imprese di proprietà dello Stato, la riduzione delle tasse e la diminuzione delle regolamentazioni sugli affari e sugli individui. Sebbene si trattasse di temi di battaglia significativi della Fpö sin dagli inizi, essi cominciarono a diventare politicamente popolari a partire dalla metà degli anni Ottanta. Di conseguenza, la Fpö accrebbe costantemente i suoi consensi alle urne, in gran parte a spese della Övp, che andò vicina a sostituire come secondo partito in ordine di grandezza alla metà degli anni Novanta. Nel 1990, quando i cambiamenti prodotti dalla fine della guerra fredda, l’espansione dell’Unione Europea e, più di recente, della Nato, crearono una quantità notevole di temi da utilizzare, cominciò una nuova fase della storia della Fpö.

Riflettendo su ciò che è stata nel suo primo decennio la leadership di Haider, propendo al momento a dividere il periodo in due parti, con un primo periodo, quello che va dalle elezioni legislative dell’ottobre 1990 alle elezioni comunali di Vienna di un anno dopo, che può essere considerato di transizione. I successi degli anni precedenti, come abbiamo visto, erano legati a temi di interesse quotidiano per i cittadini. L’affermazione che la maggior parte degli austriaci facevano parte della «comunità etnica e culturale tedesca» rimaneva nel programma, ma gli aperti appelli al nazionalismo tedesco che erano stati al centro del campo ideologico dal quale la Fpö proveniva, e che la Döw ritiene caratteristica centrale dell’estremismo di destra, non avevano avuto alcuna evidenza.

A partire dalla metà degli anni Ottanta, l’insoddisfazione verso il moderno welfare state che aveva prodotto i successi di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald Reagan negli Usa stava cominciando a manifestarsi anche in Austria. Ciò era costato alla Spö la maggioranza assoluta nel 1983 ed aveva contribuito alla rivolta del 1986 contro la dirigenza liberale della Fpö, suo partner di coalizione, che si era scelta Haider come presidente. Quando, a seguito delle elezioni del 1986, la Övp accettò l’invito della Spö a mettere fine ad una assenza del governo che durava da sedici anni, essa si spostò al centro, proprio in quel momento in cui un notevole segmento dell’elettorato stava diventando sensibile al populismo radicale di destra che nel corso degli anni Ottanta era andato crescendo in altre democrazie di tipo occidentale.

Come detto, la presenza della Fpö sino ad allora era stata secondaria, in un sistema che è stato descritto come «a due partiti e mezzo». La svolta del 1990 portò l’Austria, sino ad allora relativamente protetta da quelle correnti che avevano stimolato la crescita del populismo radicale di destra in altri paesi, all’interno della corrente principale di quelle forze della cui nascita Plasser e Ulram giudicano responsabili l’«erosione del tradizionale ambiente sociale, una crescita della frammentazione sociale, la sempre più pronunciata individualizzazione dell’economia e del rischio sociale, lo sbriciolamento del mercato del lavoro, l’immigrazione di massa, il confilitto tra multiculturalismo ed etnocentrismo, la dissoluzione dei tradizionali legami di partito e l’indebolimento della capacità delle tradizionali figure politiche di tenere in vita la lealtà di partito».

Nel caso dell’Austria essi specificamente citano «un disgusto per i partiti e la politica che è significativamente al di sopra della media […] un’eccessiva manipolazione del sistema politico da parte dei partiti […] il pervadente clientelismo […] le reazioni dell’opposizione contro una “eccessivamente potente” coalizione di governo».

Applicando il termine «populismo radicale di destra» alla Fpö, Plasser e Ulram hanno accettato la tipologia che, riguardo a questo tipo di partiti, è stata stabilita da Hans-Georg Betz, e io faccio lo stesso, perché ciò consente di evitare l’etichetta di estrema destra correntemente usata, che giudico più appropriato riservare a coloro che agiscono al di fuori del sistema democratico e che incitano o ricorrono al terrore per promuovere i propri obiettivi. La Fpö, in definitiva, rispetta i criteri socioculturali, sociopolitici e socioeconomici del populismo radicale di destra. È radicale nella retorica contro gli immigrati e i “parassiti sociali” e anche perché vuole sostituire la Seconda Repubblica statalista con una Terza Repubblica basata sulle tecniche di democrazia diretta, ravvivando ulteriormente l’immagine populista che ha a lungo incarnato ergendosi a voce dell’“uomo qualunque” contro i “grandi partiti” e il dominio e i privilegi che il loro accordo consociativo comportavano.

Lo slogan «Vienna non deve diventare Chicago», usato dalla Fpö viennese nella campagna per le elezioni del parlamento federale nel 1990, è forse il primo segno evidente del passaggio ad un populismo di destra più radicale e moderno. Esso connetteva implicitamente l’immigrazione esplosa sull’onda della caduta della “Cortina di ferro” con la percentuale di delitti commessi, che era salita del 5% l’anno precedente e stava innalzandosi all’8% in quell’anno.

Benché fosse meno vistoso degli appelli dell’Övp, lo slogan della Fpö «Vienna ai viennesi» era, agli occhi degli accusatori, la conferma del suo razzismo. Alla lista delle caratteristiche che costoro avevano a lungo utilizzato per etichettare la Fpö come estremista, venivano adesso aggiunti lo sfruttamento dell’angoscia sollevata dall’immigrazione e l’antipatia per il multiculturalismo, che a sua volta univa le élites intellettuali della sinistra in quella che è stata in seguito conosciuta come la causa “antifa” [si potrebbe rendere come “antifascismo militante”, ndt]. Nel frattempo la classe operaia, un tempo compattamente socialista, riecheggiava le lamentazioni della Fpö a proposito delle politiche di “ingegneristica sociale” delle élites schiki-micki che stanno “lassù in alto”, accettando la diretta correlazione da essa suggerita fra la crescita del numero degli stranieri residenti nel paese e la crescita di delinquenza e disoccupazione.

All’acutezza di quella campagna va probabilmente messa in conto la perdita di alcuni elettori del ceto medio con più elevati livelli di istruzione, ma l’aumento di consensi tra gli operai compensò abbondantemente le perdite ed aiutò la Fpö ad ottenere la migliore percentuale di voti mai raggiunta da un terzo partito nella Seconda Repubblica. Nelle altre zone la campagna della Fpö contenne maggiormente il carattere di opposizione di protesta e il profilo strutturale dei suoi elettori rimase quello del periodo 1986-1989.

Il neopopulismo radicale di destra che aveva fatto capolino a Vienna nel 1990 diventò ancor più evidente nelle elezioni comunali di quella città, tenutesi l’anno seguente. C’erano tre problemi basilari sul tappeto: i trasporti, gli alloggi e gli stranieri, e la Fpö attribuì le deficienze amministrative e gli sperperi nell’edilizia e nella costruzione della metropolitana che stavano emergendo al governo sostanzialmente ininterrotto della Spö. L’immigrazione, tuttavia, rimaneva l’argomento scottante. La Fpö enfatizzò la pressione che questo fenomeno esercitava sulla questione degli alloggi e sulla disponibilità di posti di lavoro, ma concentrò la sua campagna soprattutto sulle scuole; in alcuni distretti, sosteneva, i bambini di lingua tedesca erano ridotti a una minoranza del 20-25%.

Malgrado le accuse di razzismo, quasi il 40% della popolazione identificava l’immigrazione come un problema serio e attuale. All’interno di questa percentuale, un elettore su due vedeva nella Fpö il partito più competente ad affrontare la questione degli stranieri, un fattore che veniva dichiarato decisivo da un terzo degli elettori nazional-liberali, soprattutto da quelli che provenivano dalla Spö.

Le analisi condotte dopo le elezioni mostrano tuttavia che la protesta rimaneva il fattore dominante che stava dietro il successo della Fpö, mentre nessun elemento indicava una simpatia nostalgica per temi tedesco-nazionali, fascisti o nazionalsocialista. Perfino Haider, che viene così spesso raffigurato come una “camicia bruna” in abiti moderni, era fra le ragioni meno citate del passaggio alla Fpö.

L’establishment viennese rimase tramortito da questo nuovo clima politico. La Spö scivolò per la prima volta nella storia della Seconda Repubblica sotto il 50% e la Fpö ascese dal 9,7% del 1987 al 22,5%, triplicò il numero dei seggi occupati nel consiglio comunale e diventò il secondo partito in ordine di rappresentanza. Colpì particolarmente il fatto che oltre il 26% della classe operaia e il 35% del complesso degli operai specializzati votarono per la Fpö. Anche alle elezioni dei Länder della Stiria e dell’Alta Austria, tenutesi poche settimane prima, la Fpö aveva ottenuto successi, attribuiti a «una massiccia breccia aperta nelle circoscrizioni dove la Spö aveva tradizionalmente i suoi feudi», alla «questione degli stranieri» e alla «truffa del welfare», nonché alla trasformazione della Fpö «da partito di élites a partito operaio».

Nel 1992, la Fpö raccolse un consenso popolare ancora maggiore quando tentò di capitalizzare sul rifiuto che il governo aveva opposto alla sue proposte restrittive in materia di immigrazione attraverso il lancio di una campagna intitolata «L’Austria innanzitutto». Essa proponeva di aggiungere un paragrafo alla Costituzione federale, nel quale venisse dichiarato che l’Austria non era un classico paese di immigrazione, nonché di prendere un certo numero di altri provvedimenti per affrontare i problemi della sanità, dell’educazione, dell’assistenza sociale e degli alloggi, che a suo avviso erano oggetto di una situazione negativa.

Un sondaggio condotto all’inizio della campagna mostrò che 1.680.000 austriaci la condividevano, ma a quel punto un’associazione di alto profilo per i diritti degli immigrati montò una controcampagna che dipinse abilmente la campagna come una crociata razzista anti-stranieri, implicitamente nazista, rivolta contro gli industriosi e indispensabili lavoratori stranieri e i rifugiati abbandonati a se stessi, che cercavano di sfuggire alla povertà, alla repressione politica e alla guerra civile. La Spö appoggiò questa iniziativa ad alto livello.

All’interno della Fpö, un piccolo gruppo di parlamentari trasse le stesse conclusioni da un progetto di legge che si proponeva di limitare al 30% nelle classi della scuola pubblica il numero di bambini in età scolare che non parlavano il tedesco come madrelingua e di creare classi parallele per gli stranieri quando tale percentuale veniva superata. Quando non riuscirono ad ottenerne la modifica, l’ex segretaria generale del partito e candidata presidenziale della Fpö nel 1992, Heide Schmidt, l’ex ministro della difesa Friedhelm Frischenschlager e alcuni altri si scissero, formando il Forum Liberale.

Quando ho chiesto ad Haider del loro dissenso sul fatto che la condizione della madrelingua significasse etnicità e non competenza linguistica, egli ha negato la fondatezza dell’accusa, sostenendo che la Fpö si era limitata ad usare il modello berlinese adottato sotto il rispettatissimo ex sindaco e poi presidente federale Richard von Weiszäcker. Sebbene Berlino in effetti avesse dovuto affrontare lo stesso problema, in quel caso il criterio usato era però stato la «conoscenza della lingua tedesca» da parte dei «bambini stranieri». Si deve tuttavia anche notare che il termine «madrelingua» venne usato, nella discussione parlamentare, da entrambi i partiti della coalizione e non può pertanto essere assolutamente considerato un’esclusività della Fpö.

Rispondendo ad ulteriori domande su questo argomento, Haider lasciò l’impressione di essere preoccupato in realtà da qualcosa di più della semplice abilità nell’uso delle lingue. Il problema è la cultura, ed è collegato al desiderio da lui più volte asserito di proteggere «la patria» dalla pressione delle politiche multiculturali del governo. La sua affermazione secondo cui gli immigrati che si stavano integrando «non erano più un problema» suggerisce che l’accusa di razzismo era fuori luogo e che la vera discussione avrebbe dovuto essere attorno al reale obiettivo della Fpö di preservare le caratteristiche culturali dell’Austria dagli inevitabili cambiamenti che si verificano quando c’è una pesante immigrazione.

Un dibattito di questo genere, però, non si aprì, e sullo sfondo di aggressioni a stranieri, dimostrazioni contro il terrorismo di destra in Germania e un corteo di massa al lume delle candele contro l’iniziativa “anti-stranieri” a Vienna, poco più della metà di coloro che inizialmente avevano dichiarato che avrebbero sostenuto il progetto «L’Austria innanzitutto» lo firmarono effettivamente. I mezzi d’informazioni definirono quanto accaduto un flop, si congratularono con gli austriaci perché si erano ripresi dalla recente inclinazione verso destra e dichiararono Haider politicamente morto.

Come Mark Twain quando seppe della pubblicazione del suo necrologio, Haider avrebbe potuto far notare che la notizia della sua morte era un’esagerazione. Meno di due mesi dopo, la Fpö ampliò il suo curriculum di successi elettorali in tre elezioni regionali. In Carinzia ottenne il 33,28% ed arrivò ad un seggio dal pareggio con la Spö; inoltre ottenne piccoli incrementi a Salisburgo e in Tirolo.

In tutte e tre queste elezioni, gli exit polls mostrarono di nuovo che la protesta contro la coalizione Spö-Övp e contro il trattato che essa aveva di recente negoziato per l’ingresso dell’Austria nell’Unione Europea, nonché il timore dell’immigrazione, erano i fattori dominanti del voto per la Fpö. Tali motivazioni sono congruenti con i precedenti incrementi di consenso e con gli atteggiamenti della “Nuova Destra” populista radicale in tutti gli altri paesi; ma suggerire, come fanno gli Antifa austriaci, che esse sono il riflesso di un passato irriducibile sembra un esagerazione, che non consente di riconoscere che il razzismo e la xenofobia sono fenomeni moderni, che non devono necessariamente essere, e probabilmente non sono, collegati al nazionalsocialismo.

Il risultato del referendum del 1994 sull’approvazione del trattato negoziato per aderire all’Unione Europea offrì un esempio della volatilità di questo nuovo elettorato. Pensando di sfruttare la tendenza populista venuta alla luce sia in due paesi dell’Unione come Danimarca e Francia, dove il trattato di Maastricht era stato approvato solo di stretta misura dagli elettori, sia in Svizzera, dove era stata respinta l’ipotesi di adesione, la Fpö spinse per l’astensione, cercando di giustificare la revoca dell’appoggio a lungo concesso all’integrazione europeo con l’affermazione secondo cui il trattato assegnava troppo potere ai “burocrati di Bruxelles”. Un sonante 66,34% respinse questa questa posizione, il tasso di popolarità di Haider scese ai livelli più bassi e i suoi nemici nel mondo giornalistico interpretarono il voto come una sconfitta per l’estremismo di destra, che associavano alla sfortunata campagna anti-Ue.

Ciò che una simile interpretazione non riusciva a riconoscere è che i successi della Fpö negli otto anni precedenti non erano stati costruiti sulla base di nessun tipo di ideologica nostalgica di estrema destra, ma piuttosto sulla protesta contro l’ordine costituito e, più di recente, sui propositi radicali di porre un termine all’ossificato status quo. Un voto favorevole all’adesione all’Unione Europea non alleviava assolutamente l’alienazione dell’elettorato, e la tanto citata “euroforia” non ne cancellava gli effetti sulla coalizione Spö-Övp.

La campagna parlamentare della Fpö iniziata tre mesi dopo offre alcuni elementi specifici atti a giustificarne l’inserimento nella categoria dei partiti populisti della destra radicale, secondo i criteri tratteggiati dalle opere di Betz e di Plasser e Ulram. I suoi temi, tuttavia, non rappresentano un estremismo in relazione alla tendenza politica generale, che a livello internazionale era già stato spostato a destra da Margaret Thatcher e da Ronald Reagan. Questa nuova destra populista è però lungi dall’essere conservatrice e, rispecchiando la «nuova rivoluzione americana» di Newt Gingrich, Jörg Haider propose all’Austria una «terza Repubblica».

Agli americani che in quel momento stavano affrontando le elezioni di mid-term per il Congresso, e in particolare per i californiani che stavano facendo anche l’esperienza della costosissima corsa senatoriale tra Feinstein e Huffington e il tentativo di rielezione del governatore Wilson, sullo sfondo della campagna per la Proposition 187, l’enfasi della Fpö sulla delinquenza, sull’immigrazione e sui valori morali sarebbe apparsa familiare.

Per mettere in evidenza il problema della criminalità, Haider scelse, come seconda candidata della lista del partito, una giurista, già appartenente alla Övp, che esprimeva la sua preoccupazione rispetto alla delinquenza e all’immigrazione e denotava la sua personale fiducia nella pena di morte. Diversamente da quanto sarebbe accaduto in California, dove il suo sostegno alla pena capitale sarebbe stato considerato troppo moderato, il settimanale «Profil» raffigurò senza troppe sottigliezze la sua preoccupazione per la criminalità come un’ossessione per il «Blut und Banden» ed accusò di semplicismo la sua affermazione secondo cui «vivere in prigione deve voler dire vivere».

Sull’immigrazione, la Fpö aveva presentato le sue credenziali con l’iniziativa «L’Austria prima di tutto». Anche l’attenuazione del problema dovuta alla legislazione fortemente restrittiva adottata dal governo può essere andata a vantaggio della Fpö. Chi concordava con la critica di «Profil» secondo cui le misure legislative adottate erano eccessive ed erano state prese solo per dare soddisfazione agli elettori, non era contento di aver votato, in fin dei conti, per la Fpö, mentre chi era preoccupato per l’immigrazione, anche se si era guardato bene dall’ammettere apertamente questo disagio firmando la petizione «L’Austria prima di tutto», poteva attribuire il miglioramento alla pressione esercitata dalla Fpö.

Sul fronte dei principii, con la Övp impegnata, «senza alcun se, e o ma», a continuare la politica di coalizione con una Spö che molti conservatori giudicavano responsabile del declino dei valori, la destra morale non aveva nessun altro luogo dove collocarsi all’infuori della Fpö. Haider mise in chiaro la richiesta di sostegno che il partito nazional-liberale rivolgeva a questo settore nel suo libro Die Freiheit die ich meine, indicando nello Stato assistenziale e nel materialismo indifferente ai valori morali le fonti del malessere moderno.

Un buon esempio di ciò che vi è di sbagliato nella società moderna, sosteneva, è quel che è accaduto alla famiglia, sostanzialmente perché il materialismo ha spinto le madri a lavorare. Prendendosela con le femministe, Haider proponeva incentivi fiscali per consentire alle madre di stare a casa ed allevare i figli, e per le donne che devono o vogliono lavorare suggeriva più asili, senza limitazioni di classe o di appartenenza a partiti.

Reagendo a queste proposte, uno dei critici tracciò l’inevitabile parallelismo con la politica nazista di Kinder, Kirche, Küche [bambini, chiesa, cucina] e lo accusò di razzismo anti-stranieri perché voleva incoraggiare l’aumento del tasso di natalità degli austriaci. Queste acque ideologiche furono però notevolmente introrbidate nell’estate del 1994 dalla moglie del cancelliere socialista, la quale, in un’intervista a «Profil», propagandò i «valori della famiglia» e criticò le madri che lasciavano i figli all’asilo alle 7 del mattino «per guadagnare forse quattro o cinquemila scellini». La Spö si trovò in imbarazzo e le femministe si infuriarono, ma un sondaggio mostrò che l’opinione pubblica si divideva in parti eguali nel giudizio su quei punti di vista. Per estensione, quindi, si può inferire che circa la metà del pubblico non vedeva nelle opinione di Haider e della Fpö su quel tema nessuna riminiscenza del nazionalsocialismo.

Nella campagna della Fpö del 1994 si rivelarono cruciali soprattutto gli attacchi basati sugli scandali e sul clientelismo. Le accuse di favoritismo di partito, sperperi e corruzione erano state una caratteristica delle campagne elettorali della Fpö sin dalle origini, e nel suo dibattito televisivo con il cancelliere socialista Vranitzky, Haider insistette pesantemente su questi temi. Prendendo spunto da Ross Perot, sventolò un documento che mostrava gli esorbitanti stipendi e pensioni pagati ai colleghi di partito del cancelliere dalla Camera del lavoro della Stiria e attaccò gli «accordi segreti» come esempi della «palude» della politica finanziaria, economica e degli alloggi prodotta dal clientelismo dei “vecchi partiti” attraverso la «collaborazione sociale» ed esasperata da venticinque anni di governo «socialista». Vranitzky dichiarò che quelle lagnanze erano «trite e ritrite» e non toccavano la sua responsabilità, ma esse fecero registrare una reazione favorevole a Haider in un sondaggio successivo al dibattito.

Tutti quei temi finivano con l’avvicinarsi notevolmente alle più importanti motivazioni del voto per la Fpö citate dagli elettori intervistati nei sondaggi: a) perché la Fpö combatte sul serio gli scandali e il clientelismo; b) perché la Fpö incarna la posizione giusta sulla questione degli stranieri; c) perché la Fpö si batte contro il potere dei partiti e per maggiori diritti ai cittadini. Delle quattro motivazioni rimanenti, tre possono essere ricondotte, come al solito, ad una diffusa protesta contro, e disgusto per, la politica. Soltanto una, «la Fpö rappresenta più chiaramente i miei interessi, o la mia tradizione», può essere interpretata come una traccia evidente dell’ideologia tedesco-nazionale che i critici della Fpö associano all’estremismo di destra, al fascismo e al nazismo.

Il maggiore aumento di consensi del partito, del resto, non si verificava nei settori dell’elettorato tipicamente associati all’estremismo di destra. Scioccando chi credeva che la Fpö avesse raggiunto il limite del suo naturale bacino di consenso nel 1990, il partito balzò in avanti di quasi il 6%, raggiungendo il 22,5%. Sebbene perdesse un certo numero di elettori di classe media a favore dei Verdi, del Forum liberale e delle astensioni, le sole defezioni dalla Spö ammontavano a duemila voti in più di quelli che rappresentavano il totale della sua crescita. Gli ex elettori socialdemocratici costituivano quasi un quarto dell’intero totale della Fpö, e gli operai continuavano ad occupare la posizione di maggiore singolo gruppo demografico nell’elettorato della Fpö, come già era accaduto nel 1990. L’11,1% per cento del totale dei suoi elettori aveva votato Övp nel 1990.

Oltre ad aumentare del 6,7% nei centri urbani con “tradizionali” distretti operai, la Fpö otteneva incrementi pressoché identici in zone rurali e miste, nonché una crescita del 5,6% in regioni di industrie e servizi situate in zone dove i problemi economici erano rilevanti, come la Stiria, l’Alta Austria e la Carinzia, e nelle regioni occidentali industriali e turistiche. L’aumento più contenuto era il 4,4% ottenuto in regioni con un’alta concentrazione di impiegati di alta qualificazione, che tradizionalmente erano stati il gruppo più rappresentato nell’elettorato del partito.

Un altro tema che emerse, ma non venne registrato sugli schermi radar degli elettori, fu la provocatoria affermazione di Haider che la Seconda Repubblica era obsoleta e avrebbe dovuto essere sostituita da una «Terza Repubblica». Collocato nel contesto della storia della Seconda Repubblica, quel che Haider stava effettivamente dicendo era che la democrazia austriaca era cresciuta al di là dello Stato partitico e corporativo sul quale inizialmente aveva poggiato. Per adattarsi alla realtà contemporanea, sosteneva Haider, avrebbe dovuto verificarsi una transizione ad una democrazia plebiscitaria, nella quale i partiti sarebbero serviti solo come veicolo per eleggere rappresentanti, i quali avrebbero quindi preso ordini da un’attiva cittadinanza e non da un partito a sé stante.

A tale scopo, la Fpö cominciò ad autodefinirsi Movimento-F, o «die Freiheitlichen», e adottò nel 1995 un nuovo statuto per incorporare il cambiamento. Propose inoltre modifiche costituzionali per ottenere l’elezione diretta di governatori e sindaci e un forte Primo Ministro-Presidente, secondo i modelli francese e statunitense. Il governo federale sarebbe stato eletto dal parlamento e reso responsabile nei confronti della volontà del popolo attraverso frequenti referenda consultivi.

Mentre i riformatori della Fpö vedevano un futuro di accresciuta libertà locale e regionale dal governo federale e una più attiva partecipazione dei cittadini, gli Antifa richiamarono l’attenzione alla combinazione che Hitler aveva creato fra la sua carica di Cancelliere e quella di Presidente dopo la morte di Hindenburg nel 1934.

Questo dibattito teorico sul presunto estremismo di destra della Fpö venne oscurato da un vero atto estremista, un attentato esplosivo nel paese di Oberwart, nel Burgenland, il 5 febbraio 1995, in cui vennero uccisi due Rom. Se ne sospettò immediatamente, e in seguito se ne accertò, un legame con le recenti lettere-bomba spedite dall’«Esercito di liberazione bajuvara» (Bba), nazionalista tedesco e rivolto contro gli stranieri. Malgrado la mancanza di qualunque indizio concreto di un’implicazione della Fpö, buona parte della stampa che conta ritenne il partito responsabile della creazione di un clima di odio che incoraggiava violenze di quel genere.

Nel dibattito parlamentare che si tenne tre giorni dopo l’esplosione di Oberwart, Haider respinse il «terrorismo» che, prevedeva, i «pietosi» uomini della sinistra avrebbero scatenato contro di lui e il suo gruppo, sostenendo che la violenza non aveva un marchio ideologico, ed era semmai opera di «una rete, che in tutta Europa sta operando allo scopo di destabilizzare le democrazie». Citando il problema dei diritti delle minoranze come un’altra possibile causa, magnificò i successi da lui ottenuti in Carinzia a tale proposito e mise sotto accusa il governo Spö del Burgenland e il governo Övp di Oberwart per non essere riusciti a integrare «una minoranza etnica che cinquant’anni fa è stata praticamente sterminata nei campi penali nazionalsocialisti».

I «terroristi pietosi» della Spö lo accusarono di minimizzare i crimini del nazionalsocialismo usando il termine «campo penale», ma in questo caso la critica di un discorso nel quale richiamava specificamente l’attenzione sul genocidio nazionalsocialista probabilmente gli fece guadagnare qualche punto fra quanti non sopportavano più il frasario “politicamente corretto”.

Un’altra bomba esasperò tuttavia la tensione tra la Fpö e la Spö nelle prime ore del mattino del 20 aprile, quando due ragazzi rimasero uccisi in un tentativo di far saltare in aria un traliccio dell’elettricità nel paese di Ebergassing, vicino a Vienna. Dal momento che il “cacciatore di nazisti” Wolfgang Purtscheller aveva messo in guardia circa la possibilità di attentati esplosivi attorno a Pasqua, e dato che il 20 aprile è il giorno della nascita di Hitler, circolarono alcune supposizioni sul fatto che anche in questo caso si trattasse dell’opera di estremisti di destra. Investigazioni più accurate, tuttavia, rivelarono che le vittime erano anarchici-autonomi di sinistra, che si erano fatti saltare in aria per errore nel tentativo di protestare contro la costruzione della linea elettrica.

Haider trasse spunto dall’accaduto per avanzare l’illazione che anche gli altri attentati esplosivi fossero opera di estremisti di sinistra che cercavano di screditare la Fpö. Il giornale del partito accompagnava queste accuse con un diagramma della «rete» che legava assieme i quartier generali degli attentatori, i partiti comunista, socialdemocratico e verde, l’Archivio documentario (Döw), gli scrittori antifascisti militanti, la televisione di stato, «Profil» ed altri giornali di spicco.

L’attacco della Fpö si fece ancora più acuto quando si scoprì che il ministro socialdemocratico degli Interni, Caspar Einem, aveva donato del denaro alla pubblicazione radicale di sinistra «TATblatt», che il partito accusava di aver incoraggiato il terrorismo di sinistra. Einem era stato nominato ministro degli Interni solo poche settimane prima ed era immediatamente diventato il beniamino dei mezzi d’informazione, che lo accreditavano come il nuovo “anti-Haider” e come un possibile successore del cancelliere Vranitzky, che era apparso fiacco nella campagna elettorale dell’autunno precedente. Haider, a cui la reputazione di estremista di destra era stata assegnata grazie ad un’accusa di concorso con ambienti sospetti, adesso rivoltava la tattica a proprio vantaggio, richiedendo un voto di sfiducia contro il ministro degli Interni. Il cancelliere e i portavoce della Spö risposero per le rime, denunciando il fatto che gli articoli e le interviste di Haider comparsi sulle pubblicazioni di destra erano responsabili della creazione del clima al cui interno si era sviluppato il terrorismo di destra.

Quando questo accesso di collera sia a sinistra che a destra fu passato, il problema del deficit e del modo in cui lo si doveva affrontare eclissò tutti gli altri argomenti politici. La coalizione Spö-Övp che era stata rimessa insieme dopo le elezioni del 1994 era stata seriamente messa sotto tensione dal tentativo di concordare una manovra finanziaria di risanamento in primavera, e andò in crisi venerdì 13 ottobre, quando il nuovo presidente della Övp, Wolfgang Schüssel, si ritirò dall’alleanza per protesta contro l’errata conduzione della politica economica e puntando sul fatto che la popolarità che i sondaggi gli accreditavano avrebbe potuto dargli la maggioranza relativa alle nuove elezioni, fissate per il 17 dicembre, facendolo diventare cancelliere.

Jörg Haider aveva indirettamente contribuito a questa serie di eventi quando all’indomani delle elezioni, giusto un anno prima, si era offerto di appoggiare un governo di minoranza dell’Övp, considerandolo un modo per farla finita con la consueta routine. Il presidente dell’ Övp Eduard Busek respinse l’offerta, onorando l’impegno assunto durante la campagna di sostenere la coalizione «senza alcun sé, e o ma». Per coloro che ne avevano abbastanza di servire da ancella alla Spö, la promessa di Busek fu la causa del peggior risultato ottenuto dall’Övp in tutta la sua storia.

Nell’aprile del 1995, Busek venne sostituito da Wolfgang Schüssel, che cercò di darsi un’immagine ben definita sostenendo con forza l’idea conservatrice, da qualche tempo di moda, di riduzione delle dimensioni del governo, risparmio e contenimento del deficit, in contrapposizione ai suoi alleati di governo socialdemocratici. In breve tempo si fece la fama di un “ammazza-Haider” che avrebbe potuto riunire buona parte della classe media e mettere fine ai venticinque anni di dominio della Spö, che ancora veniva indicata, nei circoli conservatori, con l’espressione «i socialisti».

Quasi che volesse prestarsi a questa strategia, la Spö entrò in una fase di dubbi. Si diceva in giro che Vranitzky fosse “stanco della carica” e il segretario generale Josef Cap era oggetto di attacchi, tanto che «Profil» si chiese se la Spö potesse «ancora essere salvata». In un sondaggio pubblicato ai primi di ottobre dalla rivista, il cancelliere si classificava soltanto al quarto posto nella hitparade dei politici: era il suo risultato peggiore da sempre, con un calo di 14 punti rispetto al sondaggio precedente. Nel frattempo, Jörg Haider aveva guadagnato 7 punti e il vertice della classifica era occupato dal presidente dell’Övp Wolfgang Schüssel, che era diventato il beniamino politico dell’Austria standosene comodamente ai margini e lasciando la Spö a combattere con il bilancio e criticandola perché voleva «semplicemente continuare le frodi del passato per un altro anno».

Indubbiamente incoraggiato dalla popolarità personale e della prospettiva che sarebbe stato in grado di condurre il suo partito ad ottenere la maggioranza, Schüssel afferrò al volo l’opportunità di diventare cancelliere e il 13 ottobre fece approvare una risoluzione che indicava nel 17 dicembre la data delle elezioni.

La questione che dominò la successiva campagna, ancor più delle difficoltà di bilancio, fu se Schüssel avrebbe formato una coalizione con la Fpö oppure no. Haider fece conoscere la propria disponibilità ad un accordo con l’Övp, pur affermando che, se il suo partito non fosse risultato il più forte, sarebbe personalmente rimasto in parlamento e avrebbe nominato qualcun altro vice-cancelliere. Schüssel non volle escludere la possibilità di una coalizione con la Fpö, spingendo la Spö, i verdi e il Forum Liberale verso una campagna decisamente antifascista contro Haider e il suo partito.

Schüssel, dal canto suo, abbandonò la «politica di centro» che aveva causato la disfatta del suo predecessore negli anni precedenti. Presentandosi come un “Haider buono”, adottò buona parte del programma populista della Fpö sui tagli al welfare state, svalutando tutto ciò che stava alla destra dell’Övp come «energia negativa». Per la prima volta, Haider veniva messo sulla difensiva. I sondaggi mostravano che il bilancio, il taglio delle spese pubbliche, l’economia e le tasse erano i problemi che più stavano a cuore all’elettorato, e che la Övp era considerata, fra i due partiti conservatori, quello più competente ad occuparsene. Inoltre, l’economia era in via di miglioramento e l’immigrazione, che il governo Spö-Övp aveva tenuto sotto controllo, aveva perso importanza.

L’elemento centrale della campagna della Fpö era un «contratto con l’Austria» in venti punti, che sostanzialmente risponde ai criteri di identificazione del populismo radicale di destra delineati da Plasser/Ulram e Betz. Il «contratto» reclamava frugalità, riduzione delle tasse, la sostituzione dei sussidi alle attività economiche con incentivi fiscali, una riduzione dei contributi ai partiti e l’eliminazione di quelli destinati alla stampa, la cessazione delle pensioni anticipate, collegata all’assicurazione della stabilità dei fondi-pensione, l’azzeramento del debito pubblico e il pareggio del bilancio federale, una difesa contro il rischio di perdita di sovranità a vantaggio dell’Unione Europea, il rafforzamento della democrazia diretta attraverso l’uso di proposte di legge di iniziativa popolare e referenda, la restrizione dell’immigrazione.

Il tutto era presentato in un agile opuscolo che recava in copertina una foto di Haider su sfondo dorato, accompagnata dal seguente testo in lettere blu (colore del partito): «Lui non vi ha mentito! Semplicemente onesto, semplicemente Jörg». La Spö reagì con un opuscolo che imitava quello della Fpö ma si intitolava «Le bugie di Jörg Haider», e «Profil» la appoggiò con una copertina che riprendeva lo slogan della Fpö ma in cui si leggeva «Vi ha mentito!», e nel sottotitolo, laddove la Fpö vantava l’onestà di Haider, si prometteva che nel testo si sarebbero trovate «le sue maggiori bugie raccolte e riprodotte». All’interno spiccavano la fotografia di un tabellone pubblicitario dei Freiheitlichen imbrattato in modo tale da mostrare Haider con un naso da Pinocchio e un articolo in cui lo si accusava di star conducendo la più brutale campagna dell’intera storia della Seconda Repubblica.

In effetti, era una campagna senza esclusione di colpi, e un articolo di «Profil», Macchie di sangue su una veste bianca, vi contribuì. Questo era il titolo dato a un reportage sull’apertura di una mostra dove venivano esibite testimonianze fotografiche della atrocità commesse dalla Wehrmacht, nella quale avevano prestato servizio familiari di moltissimi austriaci, inclini a pensare di non essere colpevoli dei crimini di guerra attribuiti alle Ss. «Profil» faceva notare le visite alla mostra di politici della Spö, dei Verdi e del Forum liberale e commentava causticamente che gli esponenti dell’Övp e della Fpö erano stati «troppo impegnati» per recarvisi, ma avevano trovato il tempo per partecipare alla cerimonia di Ulrichsberg, nella lontana Carinzia, dove venivano onorati i reduci della Seconda Guerra mondiale.

Del sangue vero venne versato quella stessa settimana, quando si verificarono altri attentati con lettere-bomba indirizzate a persone che simpatizzavano con gli immigrati. Gran parte dei commentatori interpretarono i nuovi incidenti come uno sforzo per minare la Seconda Repubblica e preparare la strada alla Terza Repubblica reclamata dalla Fpö, mentre Haider reiterò la sua congettura secondo cui i perpetratori degli attentati erano in realtà terroristi di sinistra che cospiravano per screditare lui e la sua presa di posizione contro l’immigrazione eccessiva e illegale. Il giornale del partito avanzò speculazioni, sostenendo che gli accusati erano anarchici-autonomi legati a quelli che si erano fatti saltare in aria nel malriuscito attentato della primavera precedente, e che facevano parte di una “rete” collegata ai Verdi.

Malgrado il veleno della campagna antifascista contro la Fpö e le corrispondenti risposte di quest’ultima, i temi radical-populisti di destra che il partito aveva sfruttato con successo nei cinque anni precedenti avevano in una certa misura attenuato il loro impatto. Un sondaggio effettuato a scadenze regolari nel periodo di campagna mostrava che, subito prima delle elezioni, i consueti temi della Fpö su stranieri, costi e benefici dell’adesione all’Unione europea, scandali e corruzione rappresentavano tutti meno del 10% dei problemi citati come importanti. Le pensioni anticipate e gli scandali del welfare ottenevano il 16%; i problemi di bilancio, i tagli alle spese pubbliche, l’economia e le tasse il 43% e la preoccupazione che i risparmi sul bilancio pubblico potessero essere fatti senza riguardo per i bisognosi il 28%.

Dato che i temi usuali non avevano una forte risonanza, venne trovato un nuovo argomento scottante, l’arte. La campagna si concentrò sul ruolo svolto dal ministro socialdemocratico dell’arte, Rudolf Scholten, per sussidiarne e dirigerne lo sviluppo. I conservatori, in Austria, da molto tempo non si trovavano in sintonia con l’arte moderna ed erano critici della politica di sussidi governativi a suo favore, che dette il via ad una “guerra culturale” in occasione delle elezioni del 1995.

Le ostilità si erano aperte nell’ottobre del 1988 con l’opposizione alla messa in scena da parte di Claus Peymann, il direttore tedesco e di sinistra del venerabile Burgtheater, di Heldenplatz, del “rinnegato” e “infangatore di famiglie” Thomas Bernhard. Nel marzo di quell’anno, l’Austria aveva affrontato con grande imbarazzo la difficile commemorazione del cinquantesimo anniversario dell’Anschluss da parte della Germania nazista, e l’intenzione dell’opera di ricordare l’entusiasmo con cui l’annessione era stata accolta da molti, nonché l’implicazione che una certa parte di quel sentimento esisteva ancora, vennero apprezzate dalla sinistra antifascista, ma indispettirono i conservatori e vennero messe alla berlina dai quotidiani popolari.

La decisione di sostenere e mantenere al suo posto Peymann assunta da Scholten, che per il suo patrocinio di drammaturghi che animavano la campagna antifascista e promuovevano politiche multiculturali era assurto ad arcinemico di Övp e Fpö, aumentò le tensioni. Così, in aggiunta agli abituali attacchi ai «parassiti sociali», in particolare gli stranieri che sfruttavano ingiustamente il sistema di previdenza sociale, agli sprechi, alla corruzione, agli eccessivi stipendi dei pubblici funzionari nominati dai partiti e così via, la Fpö affisse un manifesto che chiedeva: «Amate Scholten, Jelinek, Häupl, Peymann, Pasterk… oppure l’arte e la cultura?».

Date le recenti lettere-bomba, quell’indicazione di bersagli, non solo politici della Spö ma anche artisti, spinse la drammaturga Elfriede Jelinek ad esprimere il timore di essere, «in quanto femminista, di sinistra e non pura ariana», in pericolo. La vera vittima, le replicò Haider, era lui, preso a bersaglio dai «fascisti culturali di sinistra» sussidiati da Scholten. Questo attacco può essere considerato radicale di destra e populista perlomeno a due livelli: 1) l’attacco all’arte moderna, che è paragonabile a quello di Jesse Helms e dei repubblicani statunitensi all’opera dell’ultimo Robert Mapplethorpe, riflette l’accusa di Haider secondo cui tale arte evidenzia la decadenza morale e la necessità di ritornare ai valori tradizionali, e 2) usa questa posizione morale per mettere in discussione lo stesso concetto dei sussidi statali all’arte. In un periodo di drastici tagli dei programmi sociali in genere, la richiesta di riduzione o eliminazione delle sovvenzioni statali contenuta nel «Contratto con l’Austria», evidentemente ripresa dalla campagna dei Repubblicani americani nel 1994, aveva una forte presa sul pubblico.

Una “bomba” giornalistica che può avere avuto sulle elezioni un impatto maggiore di quello che avevano avuto le bombe vere dei mesi recenti venne tirata da oltre frontiera dalla rete televisiva tedesca Ard. Si trattava della trasmissione, solo quattro giorni prima del voto, di un video amatoriale che mostrava Haider mentre parlava ad un raduno di ex combattenti, inclusi ex appartenenti alle Waffen-Ss, tenutosi a Krumpendorf in Carinzia il 30 settembre nel quadro delle festività che accompagnavano la celebrazione di Ulrichsberg del giorno seguente.

Nelle sue non improvvisate considerazioni, Haider condannava la political correctness dei mezzi di informazione, che demonizzavano simili «incontri della generazione anziana, che vuole soltanto radunarsi in un clima di cameratismo e ricordare che cosa ha dovuto affrontare assieme, che cosa ha sperimentato e che cosa deve sopportare oggi». Non c’era nessuna ragionevole obiezione per opporsi a incontri di quel genere, sosteneva: «solo che certe persone non possono sopportare che a questo mondo esistano ancora rispettabili esseri umani che hanno carattere e non demordono, e sono rimasti fedeli alle loro convinzioni anche andando controcorrente […] Noi abbiamo denaro per i terroristi, abbiamo denaro per giornali che istigano il terrorismo e abbiamo denaro per una feccia di oziosi, ma non abbiamo denaro per rispettabili esseri umani».

Haider esprimeva poi rispetto per «questa generazione anziana, rispetto per le sue vite, rispetto per ciò che essa ha dovuto affrontare e rispetto per tutto ciò che ha conservato per noi […] E chiunque oggi dice che i membri della generazione che ha fatto la guerra e della Wehrmacht sono stati tutti dei criminali, fa violenza ai suoi genitori, alla sua famiglia, a suo padre. E un popolo che non onora i propri antenati è condannato alla distruzione. Ma dal momento che noi vogliamo avere un futuro, insegneremo ai politicamente corretti uomini di sinistra che non siamo qui per farci distruggere e che alla fine la rispettabilità sarà ristabilita nel nostro mondo; anche se per il momento non siamo in maggioranza, siamo mentalmente e spiritualmente superiori agli altri, e questo è ciò che conta».

Benche la televisione austriaca avesse deciso di non trasmettere il video che mostrava il discorso tenuto da Haider al raduno sino a dopo le elezioni, esso venne ampiamente ripreso dalla stampa, che lo travisò sostenendo che il leader dei Freiheitlichen aveva chiamato «cari amici» i veterani delle Ss e li aveva lodati per il loro carattere e le loro convinzioni.

È difficile dire con precisione quanto abbia inciso il video di Krumpendorf sui risultati elettorali, dato che si era convenuto che i sondaggi dovessero cessare dieci giorni prima del voto e che a quella data vi era ancora un 30% di indecisi. Un riassunto delle proiezioni dei quattro maggiori istituti di sondaggio relative ai risultati effettivi suggerisce che la Spö, come ci si poteva aspettare, ne trasse il maggior vantaggio. Anche gli exit polls del Fessel-Institut mostrano che il 56% degli elettori che erano passati alla Spö lo avevano deciso nelle ultime due settimane.

Per la Spö, benché si trattasse della seconda percentuale più bassa di voti ottenuta nel corso della sua storia, l’incremento del 3,4% rispetto all’anno precedente era significativo, ed era il primo dal 1975. Del totale dei voti socialdemocratici, il 2,75% circa proveniva dalla Fpö, probabilmente da operai tornati all’ovile, e circa l’1,85% ciascuno dai Verdi e dal Forum liberale, probabilmente in risposta alla minaccia di una coalizione Övp-Fpö. Questo risultato era già stato preannunciato durante la campagna elettorale, quando i sondaggi avevano mostrato la Spö al 30-32%, la Övp al 25-27% e la Fpö al 25-27%.

Quando tuttavia alle persone veniva chiesto come avrebbero votato se avessero dovuto decidere se Haider sarebbe diventato o no cancelliere, le intenzioni di voto per la Fpö calavano a solo il 16%, mentre quelle per la Spö salivano quasi esattamente al livello da essa effettivamente raggiunto alle elezioni. Oltre al fattore paura, un altro ingrediente del recupero socialdemocratico fu la promessa di proteggere l’Austria da eccessivi tagli nei programmi sociali, che stavano provocando massicci scioperi in Francia proprio in quel momento.

Malgrado la campagna contro la possibilità di un accordo Övp-Fpö messa in atto dalla Spö, le perdite subite dai Verdi e dal Forum liberale significavano che una coalizione “semaforo” (rossi-verdi-gialli) non era più vicina ad un’effettiva maggioranza di quanto non lo fosse prima delle elezioni. Allo stesso modo, lo spostamento di Schüssel a destra e il “gioco del gatto e del topo” sulla questione della coalizione fecero ottenere al suo partito soltanto il 28,3%, uno scarso 0,6% al di sopra del minimo storico dell’anno precedente, e non gli fecero compiere nessun passo avanti verso il potere.

L’attacco concentrico di tutti i partiti contro Haider ebbe, apparentemente, qualche effetto. La Fpö raccolse 13.000 voti in meno rispetto al 1994 e, tradotto in percentuale, il 21,89% risultante dopo le verifiche conclusive delle schede contestate risultò nettamente al di sotto del 24-26% previsto dalla previsioni dei primi sondaggi ed accettato come l’obiettivo del partito. Il calo dello 0,61% e la perdita di due seggi era poi la prima flessione in un’elezione, federale o locale, da quando Haider aveva assunto il controllo del partito. La Fpö continuava tuttavia ad accrescere a vista d’occhio la sua condizione di partito di operai specializzati.

Inoltre, benché il partito avesse condotto un’ennesima campagna radical-populista di destra, le motivazioni dei suoi votanti erano più differenziate. La preoccupazione per l’immigrazione era in effetti importante, ma si classificava solo al terzo posto, dietro alla motivazione di voto che rispondeva alla formulazione: «perché la Fpö è per l’austerità fiscale e contro l’abuso del sistema di assistenza sociale» e molto dietro la fama che si era costruita scoprendo corruzione e scandali. Haider, la tradizione del partito, la voglia di «spedire un messaggio a lorsignori» e «il minore dei mali» si collocavano, nell’ordine, dal quarto al settimo posto.

I risultati delle elezioni in realtà precludevano ogni soluzione diversa da quella di una riedizione della grande coalizione. Nel capitolo che ho scritto per il libro curato da Betz e Immerfall, ho convenuto con il punto di vista convenzionale e ho scritto che «quantunque nel 1994 fosse stata persa la maggioranza dei due terzi necessaria per approvare emendamenti costituzionali, comunque un’altra edizione della “grande coalizione” tra Spö e Övp» sarebbe stata realizzata.Non sottoscrivevo però l’ipotesi sostenuta da alcuni osservatori secondo cui la corrente si era rivoltata contro Haider e la Fpö.

Scrivevo viceversa che «le circostanze sembrano tuttora favorire la Fpö. Le relazioni fra la Spö e la Övp sono ancora peggiori adesso di quanto lo fossero prima, e Wolfgang Schüssel si troverà preso fra un rafforzato Vranitzky, che aveva rabbiosamente attaccato durante la campagna elettorale, e un partito deluso dal suo insuccesso nel tentativo di fare molto di più che arrestare l’emorragia di vori in corso. La crisi di bilancio rimane, la Övp continuerà a richiedere una riduzione dei campi di intervento del governo e la Spö cercherà di salvare perlomeno qualcuna delle caratteristiche del Welfare state».

Il difficile negoziato per una nuova grande coalizione venne infatti in seguito condotto con successo, e alla fine si trovò un accordo sul bilancio, ma i fattori che avevano portato alla crescita della Politikverdrossenheit nei dieci anni precedenti e della correlativa popolarità della Fpö rimanevano. La Övp sembrava immersa in uno scontro ideologico interno e l’accresciuto rilievo del presidente del gruppo parlamentare conservatore Andreas Khol prometteva solo di aumentare la tensione nei confronti della Spö.

La persistente alienazione pubblica ebbe un riflesso nelle elezioni del Landtag del Burgenland il 9 giugno di quell’anno, in cui la Fpö riprese il cammino vincente con una percentuale del 14,57%, il 4,83% in più rispetto al 1991, mentre la Spö e la Övp persero rispettivamente il 3,66% e il 2,17%. L’ampiezza del successo della Fpö era, tuttavia, meno significativa di quanto non apparisse.

Le elezioni precedenti si erano svolte cinque anni prima, in un periodo in cui l’effetto-Haider sulle elezioni locali era stato sensazionale. Soltanto dieci giorni prima delle elezioni nel Burgenland, però, Haider aveva perso il posto di governatore della Carinzia sull’onda del furore che seguì il suo infame commento a riguardo della politica dell’impiego del Terzo Reich. Le minute di quella sessione mostrano che un delegato socialista interruppe Haider, sostenendo che la sua proposta di ridurre i sussidi di disoccupazione a chi rifiutava lavori che gli venivano offerti nel suo ambito di competenza ricordava le politiche sull’occupazione del Terzo Reich. Haider gli rispose bruscamente: «Il Terzo Reich aveva un’efficace politica dell’impiego, che il vostro governo a Vienna non è nemmeno capace di mettere in piedi». Nella baraonda che ne seguì, egli perse il posto di governatore della Carinzia a seguito di un voto di sfiducia richiesto dalla Spö con il sostegno della Övp, il cui presidente venne chiamato a succedergli. Perciò la Fpö nel 1991 raccolse solo il 9,75% invece dell’11-13% previsto da un sondaggio della settimana che aveva preceduto l’affermazione di Haider.

In questo contesto, una metà del guadagno può essere considerato un recupero di voti che erano stati persi all’ultimo minuto nel 1991. E in effetti la Fpö non attribuì la vittoria al suo programma, interpretandola invece come una protesta contro il bilancio federale e un’espressione di disappunto per i risultati dell’adesione all’Unione Europea nell’unica parte dell’Austria che era stata designata come «regione obiettivo-1», destinata a ricevere le sovvenzioni più consistenti.

Proprio nel momento in cui questo articolo venne redatto nella sua prima stesura, si stavano per contare i voti per la rappresentanza austriaca al Parlamento europeo e per le elezioni comunali di Vienna. I risultati di quei due appuntamenti dimostrano che la delusione verso l’Unione Europea, le reazioni negative alle restrizioni di bilancio decise poco tempo prima dal governo Spö-Övp e la rabbia per i doppi o tripli stipendi dei politici fecero delle elezioni una sorta di referendum su un’ulteriore prosecuzione della coalizione.

La mia previsione che la protesta avrebbe potuto fare della Fpö la seconda forza per dimensioni nella delegazione austriaca a Strasburgo, forse solo leggermente più piccola rispetto alla Spö, era solo leggermente fuori bersaglio. La Fpö conquistò il 27,6% dei voti espressi, il miglior risultato mai ottenuto in un’elezione a livello federale. La sorpresa emersa dai risultati fu la vittoria della Övp, guidata dal suo candidato più popolare, la giornalista televisiva Ursula Stenzl. Ognuno dei due partiti della coalizioni raccolse all’incirca il 29% dei voti, il peggior risultato mai ottenuto dalla Spö in un’elezione federale.

A Vienna, i sondaggi mostravano che il candidato della Spö alla carica di sindaco, Michael Häupl, non conosceva sfide in termini di popolarità, ma il suo partito non era in grado di raccogliere la maggioranza assoluta di cui aveva goduto nel corso dell’intera storia della Seconda Repubblica. Gli stessi temi che avevano agevolato la Fpö alle elezioni europee pesarono anche a Vienna. Inoltre, l’immigrazione continuava ad essere una questione “calda” per i Freiheitlichen in una campagna che «Profil», con la sua caratteristica mancanza di mezze misure, definì, con allusione a uno slogan nazionalsocialista, «Kraft durch Feinde».

In primavera, l’opposizione della Fpö contribuì alla decisione del governo di rinviare l’applicazione di un controverso “pacchetto integrazione” che avrebbe consentito l’ingresso nel paese ai familiari degli immigrati rimasti nei paesi d’origine. Il candidato sindaco socialdemocratico avrebbe voluto lasciare fuori della discussione il problema dell’immigrazione, ma venne contraddetto ad agosto, quando il compagno di partito e ministro degli Interni, Einem, propose di aprire il mercato del lavoro a tutti gli stranieri che avevano vissuto legalmente in Austria per cinque anni. Ciò fece il gioco della Fpö, che aveva chiesto la sospensione dell’immigrazione e l’espulsione di tutti gli stranieri privi di lavoro e di quelli condannati per qualche reato. In una situazione di crescente mancanza di possibilità di impiego per gli austriaci e di disoccupazione con percentuali a doppia cifra per gli stranieri, questo tema centrale del populismo radicale di destra aiutò a rafforzare la situazione della Fpö come secondo partito.

In quella che un tempo era la “rossa Vienna”, la Spö perse il 9% e la maggioranza grazie a cui governava. La Övp sprofondò al minimo storico con il 15,26% e la Fpö si innalzò al 27,98%. Inoltre, i sondaggi condotti sulla «questione della domenica» indicavano che il balzo della Fpö al secondo posto nel parlamento federale, che si è verificato nell’ottobre del 1999, avrebbe potuto verificarsi tre anni prima.

Questo recupero di consenso può suggerire che gli antifascisti militanti avevano “gridato al lupo” una volta di troppo. Lo scienziato politico tedesco Claus Leggewie lo sosteneva in un forum intitolato «Questo isterico muggito “nazista, nazista”», pubblicato nel mezzo della campagna del 1995 da «Profil». Egli giudicava l’Austria una democrazia europeo-occidentale quasi del tutto normale (stinknormale). Una delle eccezioni era la fissazione nell’impedire una coalizione borghese che includesse Haider, dato che rifletteva un’incomprensione della modernizzazione che si era verificata all’interno della società.

Solo due condizioni, riteneva, avrebbero dovuto essere modificate per inserire pienamente l’Austria nella tendenza comune alle democrazie dell’Europa occidentale: 1) la fine della neutralità e 2) l’adesione alla Nato. Paradossalmente, Haider le aveva proposte entrambe sull’onda della fine della Guerra fredda e della riunificazione tedesca, e per questo suggerimento era stato accusato di estremismo di destra.

Lo scrittore e saggista Robert Menasse ha descritto Haider come un tardo austrofascista, ma ha ammesso che che era stato un «utile idiota», in quanto era servito da catalizzatore del processo di sviluppo democratico che sta attualmente ridisegnando i contorni della politica austriaca. Lo scienziato politico austriaco Rudolf Burger non ha condiviso l’uso dell’etichetta di austrofascista, definendo Haider un eclettico e ha giudicato coloro che sostengono di trovare in lui un potenziale fascismo come persone accecate dalla storia e incapaci di comprendere le realtà moderne austriaca e internazionale.

Leggewie e Burger sostengono la tesi esposta all’inizio di questo saggio, e ciò che la minaccia posta dalla Fpö non è quella di una recrudescenza del fascismo. Mentre altri partiti, intellettuali e giornalisti possono credere di sapere che cosa sia meglio per il proprio paese e individuano spesso tendenze totalitarie nel suo populismo radicale di destra, l’opinione pubblica austriaca sembra dare scarsa importanza ai loro moniti, considerandoli alla stregua di irrilevanti esagerazioni di élites liberali di sinistra il cui gioco è ormai entrato in crisi.

Sino a quando i governi austriaci continueranno ad essere costituiti da partiti che hanno filosofie fondamentalmente opposte, è probabile che l’attuale incomunicabilità proseguirà; la Fpö ha pertanto beneficiato della lunga collocazione all’opposizione, a dispetto del fatto che i suoi esponenti siano senza soste denunciati come i più dannosi per l’immagine del paese.

Il crescente disgusto dell’elettorato verso la “solita politica” e la continua erosione delle lealtà di partito suggerisce che movimenti elettorali più liberi, del tipo previsto dalla riorganizzazione dei Freiheitlichen nel 1995, possono essere in vista. Un’ottimistica visione di questa tendenza può portare a ritenere che il suo risultato sarà la fine dello “Stato dei partiti” e un parlamento più forte, caratterizzato da una più stretta connessione dei suoi membri con la loro base di legittimità; non il caos e la conseguente dittatura di un Führerstaat che gli antifascisti militanti vedono riflessa nella Terza Repubblica proposta da Haider.

Certo, presidenti forti e plebisciti richiamano alla mente le tecniche usate da Napoleone III, Mussolini e Hitler; le loro dittature, tuttavia, vennero edificate in società prive di qualunque esperienza di lunga durata della democrazia rappresentativa. L’Austria di oggi, malgrado la crisi di bilancio e i problemi del debito, esplosi come questioni di grande rilevanza politica nel 1995, gode di di uno dei livelli di vita più alti al mondo ed è maturata, come repubblica democratica, negli scorsi cinquant’anni.

In uno studio comparato fra le risposte degli austriaci e degli statunitensi a domande identiche o simili miranti ad accertare le loro opinioni sui temi connessi al nazionalpopulismo, ho riscontrato che gli elettori della Fpö sono vicini, nel loro fastidio per la politica, all’elettorato nordamericano nel suo complesso, mentre l’elettorato austriaco nel suo complesso è per certi versi meno alienato.

In ogni caso gli austriaci non mostrano sostegno per un fascismo ormai passato di attualità, e la tecnologia, che le generazioni precedenti temevano avrebbero contribuito al totalitarismo, adesso sembra semmai poter indebolire il potere del governo centrale. I cambiamenti proposti dalla Fpö sono in effetti radicali e i sentimenti che li guidano sono populisti di destra, ma potrebbero incontrare un consenso maggioritario fra i conservatori americani proiettati verso il futuro, dai quali Haider ammette di aver tratto idee e ispirazione.


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