I
lettori scrivono
Da: GIADA BIGETTI <gibiget@tin.it>
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Data: Mercoledì, 22 novembre 2000 14:39
Oggetto: Amartya
Sen
Ho trovato molto stimolante l'articolo di Amartya Sen. Sono pienamente
d'accordo con l'autore quando sostiene che i "flussi
migratori" (proprio come la globalizzazione...) sono processi
irreversibili, inscritti nella Storia che noi tutti stiamo vivendo,
qualcosa, insomma, contro cui poco o nulla può la volontà del
singolo.
Ma se non è concepibile - come afferma Sen - il tentativo di
arrestare il fenomeno e di invertire una tendenza già da diversi anni
saldamente avviata, è però possibile e fattibile determinare a
grandi linee la "forma" di questo fenomeno. E qui entrano in
gioco le funzioni e le prerogative specifiche dello Stato-nazione.
E' indiscutibile: gli immigrati che entrano nel nostro Paese (ma il
caso-Italia è ampiamente generalizzabile) devono essere messi in
grado di condurre una vita dignitosa. "Devono" lavorare.
"Devono" avere una casa. "Devono" costruirsi una
famiglia, un solido nucleo di affetti. "Devono" integrarsi
nella società che li ha accolti, e questo significa essere, sentirsi
cittadini: e a un tale sentimento di appartenza ad una comunità di
pari, deve necessariamente seguire un riconoscimento giuridico e
politico.
Fino a quando all'immigrato (con regolare permesso di soggiorno) non
verrà riconosciuto il diritto al voto, questo stesso immigrato sarà
una sorta di non-persona, e vivrà in un limbo di incertezze e
confusioni identitarie.
Nei fatti oggi la maggior parte degli immigrati residenti in Italia
sono non-persone: alienati; disadattati; per sbarcare il lunario si
trovano spesso costretti a delinquere... Senza voler minimamente
giustificare quanti scelgono la strada della devianza per puro
"diletto".
Questa situazione e i titoli altisonanti ed allarmistici dei media
attizzano le paure più ataviche ed elementari del cittadino, che si
sente assediato, braccato, non sufficientemente tutelato dalle
istituzioni. L'immigrato è il nemico numero uno, la sua alterità è
irriducibile e minacciosa...
Sì, oggi più che mai gli Stati sono chiamati ad assolvere a questa
enorme incombenza: "regolare" i flussi migratori:
"agire" sulla "forma" degli stessi, e cioè
controllarne la "qualità". In termini molto banali: i
governi nazionali (coordinandosi fra di loro) dovrebbero stabilire
delle soglie di ingresso magari anche molto rigide, purché poi agli
immigrati "ammessi" vengano garantiti, e non soltanto
nominalmente, tutti quei diritti che derivano dal possesso della
cittadinanza.
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