Ragazzi, facciamo argine al cinismo
Giovanna Melandri con Giancarlo Bosetti
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cinismo
“Una sinistra che si vuole bene rispetta le regole, si dà un metodo
per discutere, erige argini contro il cinismo”. Nella discussione
aperta da Reset, che nell’ultimo numero dedica un dossier al
“cinismo in politica” e alla “sinistra che non si piace”,
interviene Giovanna Melandri, ministro dei Beni culturali e figura di
rilievo dei Ds e dell’Ulivo.
Come mai la sinistra va raccogliendo antipatie anche da parte di
coloro che finiranno comunque per votarla, pur di non votare per il
Polo? Come mai tanta esibizione di cinismo in politica, anche tra i
leader del centrosinistra?
Il problema è collegato, direi persino banalmente, all’assenza di
regole, di procedure, di metodo, il che per alcuni politici
rappresenta un alibi per esprimere indisturbati un certo tasso di
cinismo. Le regole sono l’unica cosa che ci consente di pensare la
politica come l'esercizio di una responsabilità collettiva, non come
l’espressione immediata degli interessi individuali e soggettivi di
un ceto, compreso il ceto politico.

Soltanto regole?
Badate, abbiamo un problema serio: la rottura delle regole del secolo
che ci si è chiuso alle spalle. Sono cambiate le regole dei partiti
di massa e della comunicazione di massa e questo comporta una svolta
antropologica e culturale profonda. Ma certo, lo riconosco, c’è
anche qualcosa che riguarda questa generazione di persone in politica.
Esempi?
A me ha ferito molto vedere in questi giorni lo spettacolo tutto
massmediatico del conflitto tra il segretario della CGIL e il nostro
candidato premier: penso che sia stata una brutta pagina politica.
Prima ancora di dire qualcosa sul merito, sento di dover criticare il
metodo. Una sinistra che si piace, che si vuole bene, che vuole
vincere le elezioni, utilizza innanzitutto i suoi organismi, la sede
di partito o la Presidenza del Consiglio, per trovare un accordo, per
confrontarsi. Prima di leggere l’intervista di Cofferati su Repubblica,
sarei voluta venire a conoscenza di almeno tre riunioni all’interno
del centrosinistra: tra Amato e Rutelli; Amato, Rutelli e Cofferati;
e, nel mio partito, tra Cofferati e chi è responsabile delle economie
del lavoro.
E poi?
Dopodiché, se Cofferati fosse stato ancora insoddisfatto, avrebbe
potuto rilasciare l'intervista: ma quella doveva la sua quinta mossa,
non la prima. Naturalmente ho citato un caso che nel merito è più
complicato perché Cofferati ha una parte di ragione.
Però anche Cofferati potrebbe contestare un metodo: quello con cui
è stato scelto Rutelli, che è passato direttamente alla quinta
mossa, candidandosi da solo.
Rutelli non si è candidato da solo, non credo che si possa dire
questo. Rutelli è stato candidato, per lo meno c’è stata una regia
politica dietro la sua candidatura. Anche se il problema della giusta
sede vale anche per lui. Ma non voglio iscrivermi nella lista di
quelli a cui la sinistra non piace, perché, malgrado tutto, a me la
sinistra piace, e perché penso che nel modo con cui i corpi
collettivi si organizzano oggi esistano problemi che prescindono dalle
dinamiche interne al mio partito e alla mia coalizione.
Insomma, un male comune?
C’è chi sta cercando una scorciatoia, come quella di sostituire il
partito di massa non solo con il partito azienda, ma con una dinamica
che azzera il problema della fatica di costruire la condivisione di
opinioni e di ispirazioni. Il capo è quello che comanda perché è
quello che paga. Al sentimento diffuso di rigetto della politica
contribuisce molto anche questo fattore: il cittadino si è fatto l’idea
che oggi o ti arruoli in un’azienda e ti metti dietro un capo,
oppure partecipi ad un processo non chiaro. Credo che sia importante e
legittimo tirare fuori la propria opinione finché si è in
allenamento ed io avevo già espresso la mia opinione sulle procedure,
sui metodi che erano stati scelti. Ora però siamo in campo e dobbiamo
giocare: è finito il tempo della discussione, bisogna fare goal.
Il suo discorso sul metodo, sulla mancanza di procedure, sulla
cultura delle vecchie regole si traduce in una proposta concreta?
Innanzitutto bisogna dire che Rutelli con la sua candidatura un
risultato positivo l’ha raggiunto: è riuscito a ridurre il tasso di
entropia dell’area centrale della coalizione con la creazione della
Margherita.. Mi sembra un risultato molto buono, da guardare con
rispetto, perché penso veramente che il tarlo che ha corroso e in
parte neutralizzato la forza dell’azione politica di questi anni è
stata la frammentazione della coalizione, l’utilità marginale dell’uno
che prevaleva sulla valorizzazione del collettivo di governo.
Tuttavia, Rutelli non deve commettere lo stesso errore di Gore, che si
è dimenticato che il primo punto del suo programma doveva essere
quello di valorizzare il buon governo dell’amministrazione Clinton.
A Milano, Giuliano Amato gli ha consegnato il testimone di una
staffetta della “quattro per cento” e questo significa che Rutelli
non dovrà ricominciare da capo.
Rutelli dice che anche a chi si candiderà al Campidoglio
conseglierà di parlare di futuro e non della sua amministrazione.
Sicuramente è necessario ridisegnare una prospettiva per la prossima
legislatura, ma intanto dobbiamo capitalizzare il fatto che abbiamo
comunque garantito una stabilità di governo. È stato un fattore
decisivo: senza stabilità, non avrei potuto iniziare la
pianificazione del Centro per le arti contemporanee di Roma, che è
uno dei più grandi progetti di architettura contemporanea del nostro
paese. Io ho avuto il vantaggio di operare in una legislatura in cui
si sono dati la staffetta due ministri che avevano per lo più un
sentire comune, ma dobbiamo stare attenti a non ripetere l’errore di
Gore in ogni campo e settore. Dopo l’errore della caduta del governo
Prodi, il cui progetto politico ci aveva consentito di vincere in un
Paese in cui gli umori erano di centrodestra, abbiamo dovuto far
rimarginare le ferite.
Il centrosinistra è un aggregato molto composito. Secondo lei,
ministro, è possibile riunificare le varie componenti? Quali garanzie
democratiche, quali procedure che non siano l’arbitrio o l’ultima
invenzione di qualcuno, propone per rendere più solido quest’aggregato?
Ribadisco la premessa: Rutelli ha messo a segno un punto positivo
riducendo la frammentazione nella coalizione. Così come è avvenuto
in area centrista, dobbiamo impegnarci a far accadere qualcosa di
simile anche nell’area della sinistra democratica. L’illogicità
dei metodi, dei processi di selezione e di formazione delle procedure
politiche è stata causata dalla frammentazione di questa
legislazione. Il primo punto strategico è ridurre il tasso di
frammentazione, poi dobbiamo strutturare il partito, le forze
politiche e il governo con le giuste regole. Da questo punto di vista
abbiamo avuto una legislatura veramente difficile, perché l’esperienza
del governo dell’Ulivo Prodi-Veltroni non è stata sufficientemente
valorizzata dai Ds, così come i risultati dell’esperienza D’Alema
non sono stati sufficientemente valorizzati da molti dei nostri
alleati.
Come mettere questi buoni propositi al riparo dalle battaglie per
stabilire chi sarà il capo del centrosinistra?
Che ci sia la battaglia per chi sarà il capo è normale, l’importante
è che questa battaglia non sia permanente. Per ora, intorno alla
premiership di Rutelli si deve costruire questo: una lealtà. Alcuni
passaggi positivi ci sono già stati. Siamo stati due anni a discutere
se i partiti si dovevano sciogliere nei democratici o se bisognava
fare la federazione e abbiamo dedicato molto tempo a neutralizzare la
rissosità. In quel modo non parlavamo del paese ma parlavamo di noi.
Per questo è importante capire qual è l’Italia che vogliamo:
dobbiamo partire da qui. Io credo che per la prossima legislatura ci
sia bisogno di un forte coordinamento della coalizione. Il problema di
sostanza rimane sempre lo stesso: regole condivise.
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