La cultura non è un genere televisivo
Renato Parascandolo con Paola Casella
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La cultura non è un genere televisivo
Questa intervista è apparsa sul numero 60 di
Caffè Europa
"Alle due di notte si punti su un film porno, che è più
adatto". E' stato questo lo sfogo del ministro del Tesoro
Giuliano Amato quando la trasmissione di Rai Educational Il Grillo,
alla quale Amato aveva recentemente partecipato, è stata mandata in
onda nel cuore della notte. Il Grillo è un programma educativo basato
sul dialogo fra personalità del mondo della politica e della cultura
e allievi delle scuole superiori e, come altre trasmissioni di Rai
Educational dedicate ai giovani, ad esempio Impariamo la tv e
Mediamente, "va in onda quando i giovani sono a scuola oppure a
nanna", come ha commentato Alberto Contri, consigliere
d'amministrazione della Rai, che ha anche aggiunto: "Se vi sembra
normale..."
Renato Parascandolo, da un anno direttore editoriale di Rai
Educational, si esprime in modo pacato, cercando di smorzare i toni
della polemica, ma ci tiene a sottolineare che trovare la giusta
collocazione in palinsesto per i diversi tipi di programma offerti
dalla televisione pubblica, compresi quelli culturali, è prima di
tutto una questione di buon senso. "Piu' ancora che penalizzanti,
certe collocazioni appaiono illogiche, perche' ogni tipologia di
programma e' mirata a un target specifico, e far coincidere orario e
target e' semplicemente una scelta sensata. Altrimenti diventa davvero
uno spreco"
Anche perche' il vero senso delle affermazioni di Amato, secondo
Parascandolo, sta non tanto nell'aver segnalato l'incongruente
collocazione dei programmi di Rai Educational, ma nel riconoscimento
della loro qualità. "Il caso si è creato non per una questione
di orario ma perchè Amato ha affermato che Il Grillo è una bella
trasmissione, e come tale meriterebbe di essere seguita da un pubblico
ampio. In questo senso, è una forma di riconoscimento del lavoro che
facciamo."
Non crede che questo riconoscimento dovrebbe arrivarle anche dai
vertici Rai?
"Inannzitutto bisogna riconoscere alla Rai di aver comunque dato
spazio ai nostri programmi culturali, anche quando si e' trattato di
proposte difficili, che le emittenti pubbliche di altri paesi
avrebbero senz'altro rifiutato. Se penso che la Rai ha accettato di
produrre serie anche lunghe, cioè di almeno 15 puntate, su argomenti
come la storia del design o la guerra civile spagnola, per non parlare
delle 30 puntate delle lezioni di latino, direi che è stata
abbastanza coraggiosa. Alcuni nostri programmi però hanno
obbiettivamente ottenuto un buon successo, e quindi si tratterebbe di
sfruttare al meglio un patrimonio acquisito"
Un patrimonio culturale, certo, ma forse non di ascolto.
"Invece anche come audience ci difendiamo bene. Il Grillo ha
raddoppiato lo share nella sua fascia oraria, ottenendo più del 10%,
nonostante sia collocato dopo il TG notturno e prima di Marzullo. E
Mediamente, (il programma sulle nuove tecnologie, anch'esso prodotto
da Rai Educational, ndr), che nell'orario delle 8:30 ottiene solo il
2% di share, quando viene rimandato in onda al sabato su Rai 3 sale
all'8-9% e con le repliche estive raggiunge anche il 14%"
Il che dimostra che la collocazione oraria incide molto sui dati di
ascolto di un programma.
"Certo, l'orario mattutino in cui viene mandato in onda
Mediamente, dal lunedì al venerdì, vede come audience un pubblico di
ultrasessantenni, di pensionati e infermi, il 50% dei quali possiede
solo la licenza elementare. E' evidente che c'è un'incongruenza fra
la tipologia del programma e il pubblico al quale è destinato dalla
collocazione in palinsesto. Tantopiù che l'obbiettivo di Mediamente
è quello di alfabetizzare i giovani ai nuovi media, che è una
priorità del paese, non solo una scelta culturale."
Quale sarebbe secondo lei la collocazione ideale di questi
programmi?
"Il pomeriggio, che è l'orario più accessibile ai giovani, e
per Mediamente anche la tarda seconda serata: non dimentichiamo che il
settore delle nuove tecnologie interessa anche a un pubblico adulto.
Ma in quegli orari la televisione vuole ancora un'audience elevata.
In effetti chi fa palinsesti segue la logica dei numeri, e dovendo
competere con le televisioni commerciali è comprensibile. Anche
perchè quando si va a parlare di numeri le proporzioni saltano subito
all'occhio: un punto di share nella tv generalista costa 60 miliardi,
e duqnue il costo contatto dei nostri programmi, che anche quando
ottengono il 10 o il 14% di share lo fanno in fasce orarie marginali
dove gli spettatori rimangono numericamente pochi, diventa altissimo.
D'altra parte i costi di produzione dei nostri programmi sono
infinitamente inferiori a quelli dei programmi di prima serata:
l'intero ciclo di Mediamente, che va in onda cinque volte la settimana
per 7-8 mesi, costa quanto una sola puntata dell'Ultimo valzer di
Fabio Fazio, cosi' come l'intero budget di Rai Educational corrisponde
alla realizzazione di dieci spot pubblicitari."
Insomma, siete ancora la Cenerentola della televisione pubblica.
Ma ci tengo a sottolineare che avere un budget limitato significa
anche andare incontro a un minor margine di rischio economico per
l'azienda e quindi ci consente di rischiare su programmi che hanno
coefficienti di difficolta' maggiori, cosi' come mandare in onda
programmi culturali in certi orari ci da una maggiore possibilita' di
sperimentazione. In pratica, e' come avere uno spazio di laboratorio
dove rodare nuove trasmissioni. Poi pero' se i risultati ci sono,
bisogna dare il giusto spazio a quelle trasmissioni culturali che
hanno dimostrato di saper reggere l'impatto all'interno della tv
generalista"
Quanto spazio dovrebbe essere riservato dalla tv generalista alla
cultura?
Lo dico anche se va contro il mio interesse: la televisione pubblica
non deve tanto offrire piu' programmi culturali, quanto piu' cultura
all'interno dei programmi di grande ascolto, e mi riferisco anche ai
varieta' del sabato sera, o alle soap opera. Ci vuole piu' ironia,
piu' buon gusto. E anche i programmi educativi non devono essere per
forza noiosi, perche' hanno carattere divulgativo: per questo noi
parliamo di intrattenimento culturale. La cultura non e' un genere
televisivo, e' un'avventura dell'intelletto, e' civilita'. In questo
senso, tutto puo' essere cultura, e tutto incultura. Il vero
discrimine e' quello fra educazione e diseducazione: e' li' che si
gioca la partita.
La televisione puo' davvero educare?
In realta' io sono convinto che la televisione sia il mezzo meno
adatto per l'apprendimento, perche' passa e va, e non concede tempo
alla riflessione. La televisione puo' essere educativa, ma non
istruttiva, informa, ma non forma. L'idea e' quella di mescolare
intrattenimento e informazione per creare una forma mentis piu'
recettiva in senso ampio. I programmi culturali devono limitarsi a
incuriosire, ad appassionare, ma l'approfondimente avviene in altra
sede. A questo proposito, sono fiero di aver portato in Rai il
concetto di intermedialita', cioe' la necessita' di far interagire i
media fra di loro. Per questo noi di Rai Educational ci stiamo
concentrando sulla produzione di opere multimediali progettate per
essere distribuite su diversi media in diversi formati, come la storia
della filosofia in CDRom e videocassette che uscira' in questi giorni.
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