I
lettori scrivono
Da: Natale Fioretto <pessoa@interfree.it>
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Data: Lunedì, 23 ottobre 2000 6:13
Oggetto: Pomodori
e paradossi/2
Mi sono trovato a rincorrere vari pensieri leggendo la riflessione sui
"pomodori paradossali" di Odette Hassan. Pensieri
romanticamente incongrui, rivolti, cioè, all'infanzia in cui i
pomodori, quelli veri, succosi e "sudati" io li coglievo per
gioco durante le vacanze estive. E quanti ne mangiavo durante la
raccolta! Non ricordo più se faticosa o festosa.
Difficile trovarne due uguali, per forma o sapore. Scomodi da
raccogliere, dunque. Eppure in cuor mio ero felice perché facevo
qualcosa che riportava me, figlio di contadini inurbati, a contatto
con quella natura prepotente e benefica che la città degli anni
sessanta voleva accantonare. Ma allora le cose andavano così: tutto
doveva modernizzarsi e la campagna, prodotti inclusi, avrebbe dovuto
adeguarsi alle necessità del progresso di plastica.
Ricordo quantitativi impressionanti di pesticidi nelle rimesse delle
case di campagna. Guai, allora, a consumare il "terribile"
olio d'oliva, meglio il più leggero olio di semi. E che dire del poco
raccomandabile pane scuro?
Mi chiedo, per ricollegarmi all'articolo di Odette Hassan, per quanto
ancora avranno cittadinanza i nostri "buoni" sentimenti di
fronte alla marea crescente dell'informazione che, inesorabilmente,
orienterà i nostri gusti e le nostre necessità verso i più comodi,
igienici e congrui cibi manipolati.
Domanda retorica, ovviamente. E non perché ci scopriremo meno buoni o
incapaci di spingerci oltre la linea del nostro orizzonte visibile, ma
perché, né buoni, né cattivi, saremo esattamente "così",
condizionati da quelle esigenze che vorremmo non avere. Perché il
nostro bene è stato già racchiuso, in buona parte, in un
....pomodoro.
Natale Fioretto.
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