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Racconto/Un inizio (pagina 3)

Mauro Covacich

- Ha fatto bene. O lo fai vivere sul serio o lo lasci morire, - gli ho detto, abbastanza convinto. Cercavo di darmi un tono ma pensavo agli ultimi giorni dell'orango. Chissa' se si era rassegnato a morire o aspettava ancora che qualcuno venisse a parlargli e a dargli da mangiare.

Per fortuna di li' a poco sono arrivati gli altri. Le ragazze hanno salutato, un po' intimidite dagli sguardi strafottenti di chi non le conosceva. Vlado mi ha anche detto con un certo sarcasmo che la prossima volta avrebbe portato sua sorella, ma io non gli ho badato e gliele ho presentate come se niente fosse. Bogdan ha fatto un sorriso furbo a Keta e le ha passato il pallone, come a dire "vediamo". Keta ha affrontato il provino con indifferenza, si e' mossa di poco verso la lunetta con movimenti morbidi e disinvolti, e' salita in cielo ed e' rimasta ancora su, dopo il tiro, con il polso sciolto, mentre il pallone seguiva la sua parabola a canestro.

Mirna e' andato per prenderlo a rimbalzo ma e' stato anticipato da Mariana, che ha replicato il gesto dell'amica con il medesimo stile. Ero orgoglioso delle mie amiche, avrei potuto infierire su quegli sguardi allibiti e invidiosi, ma ho deciso di fare il signore e le ho invitate a fare le squadre. Mariana ha rifiutato dicendo che lei preferiva stare in squadra con Keta, che non si sentiva in forma, che aveva dei problemi e che stare con la compagna la confortava. E in effetti Mariana non stava bene. Anche durante la partita si lamentava continuamente in segreto con l'amica, ma ogni volta che provavo ad informarmi, entrambe mi rispondevano che non erano affari miei, e gli altri sghignazzavano eccitati e mi prendevano a cazzottoni sulle spalle, perche' ficcavo il naso in cose da donne.

Abbiamo accettato, da cavalieri, che le ragazze stessero insieme, e loro nella scelta hanno chiamato per primo Dejan, che evidentemente, rispettando le mie previsioni, le aveva conquistate. Mi vedevo Dejan col culo nudo a mo' di bersaglio, che gridava e insultava uno sconosciuto, e le ragazze che rimanevano rapite dal suo coraggio. Dopo Dejan hanno scelto me, ma sapevo che era per la mia bravura e non per altro. Fatte le squadre, ci siamo dati un nome. Prima di giocare una partita decidiamo sempre chi siamo. Ognuno fa finta di essere un giocatore famoso, in genere, di quelli della nazionale: certo non quella di adesso, ma quella di una volta, che batteva tutto il mondo.

Il gioco si e' animato subito. Le squadre erano equilibrate. Giocavamo nel nostro modo tradizionale: molti contropiedi, continui cambi di velocita', difesa a uomo, un po' larga, azioni rapide, pochi passaggi e tiro da fuori. Keta aveva la mano calda, Mariana si lamentava che stava male, ma prendeva dei gran bei rimbalzi. Bogdan era incontenibile, segnava da tutte le parti. Io ero marcato da Mirna, che mi dominava con la sua stazza, ma nell'uno contro uno lo battevo ogni volta: una finta e via, e lui si voltava indietro a guardarmi come un elefante guarda la sua coda. Ogni tanto per provocarlo mi detergevo il sudore delle mani sulla sua pancia - a ripensarci adesso, ne sono un po' pentito. Sotto canestro volavano gomitate e spintoni - ma questo e' naturale -, la soggezione dei primi minuti verso le ragazze era sparita. Ci imbarazzava solo un poco il mescolarsi dei loro odori con i nostri.

C'eravamo solo noi li' intorno. Si sentivano soltanto le nostre voci che chiamavano la palla e il rumore delle scarpe sbattute sul cemento. Eppure c'era qualcosa di strano nell'aria. Ogni tanto, quando la palla usciva, mi guardavo in giro. Sembrava di essere in capo al mondo ed eravamo a meno di mezz'ora dal centro. Soli: noi, una distesa di erba gialla e un bosco nero.

Ricordo perfettamente l'ultima azione. Stavamo perdendo di poco. Bogdan ha tentato l'ennesima penetrazione, ma questa volta e' stato stoppato da Mariana che ha lanciato subito il contropiede. Ci siamo trovati Io e Keta davanti a Zoran e Vlado. Ho visto la palla volarmi sulla testa, ho fintato il passaggio a Keta e sono andato da solo a canestro. Ma non ho fatto in tempo a segnare.

All'improvviso sono stato travolto da un tuono e da una luce, e un vento forte mi ha buttato a terra. Per qualche istante ho creduto di essere diventato sordo. Vedevo anche Keta, Zoran e Vlado a terra come me, vedevo che mi guardavano con la stessa aria sorda che dovevo avere io. Il contropiede ci aveva salvati. Ci guardavamo a pancia in giu' e intanto ci piovevano addosso schegge di canestro, terriccio, pietre e brandelli di vestiti: si', pezzi di tuta, di jeans, di maglia, resi pesanti dal sangue, come zolle di fango. Dall'altra parte del campo c'era un buco enorme con dentro e ai margini tutti gli altri.

Bogdan e Mirna erano vicini, come sempre, ma erano morti. I loro corpi erano per meta' coperti dalla polvere e dal cemento sbriciolato. Si vedevano soltanto i capelli biondi e gli occhi stupiti. Erik era seduto e urlava che gli faceva male il braccio, ma il suo braccio era molto lontano. Vlado glielo ha raccolto, senza pero' farglielo vedere. Sembrava il braccio di un manichino, solo un po' sporco, con il polsino attorno al polso. Zoran e' corso a casa. I suoi avevano sentito, e quando li ha incontrati stavano gia' a meta' strada.

Di Dejan non si poteva neanche dire dove fosse veramente: brani del suo corpo erano seminati ovunque senza un centro preciso, come quei gatti che vengono investiti dai camion e ricadono a piccoli pezzi lungo la strada, finche' le ruote non si sono pulite del tutto. Mariana chiamava la sua amica, stava appoggiata su un gomito - aveva i jeans completamente squarciati - e si guardava un osso bianco e lungo spuntarle dalla coscia. Quando mi sono avvicinato io, mi ha mandato via e ha messo una mano tra le gambe perche' non vedessi che l'assorbente le penzolava fuori dallo slip. Poi ha chiamato piu' forte Keta.

Al contrario di Mariana, Peter cercava di non guardarsi - supino, gli occhi su, dritti al cielo, le mani a mezz'aria, in cerca di aiuto - e io per accontentarlo gli ho mentito spudoratamente. Diceva che si sentiva bruciare tutto e io gli dicevo che non era niente, mi mettevo davanti alle ferite piu' larghe, facevo come fanno nei film di guerra. Intanto il campo si stava popolando. Prima che arrivassero le ambulanze Peter mi ha chiesto di togliergli le scarpe e di tenerle io fino a che non sarebbe uscito dall'ospedale. Era un peccato che gliele rubassero dopo tutta la fatica che avevamo fatto per rubarle noi.

Le ambulanze tardavano, forse perche' avevano chiamato il soccorso civile. Quelli della televisione invece sono arrivati quasi subito. Erano in quattro. Per un po' sono andati in giro con le mani nei capelli, dicendo delle parole a bocca spalancata che erano probabilmente delle imprecazioni. Poi si sono spostati di poco, ci hanno voltato le spalle. Il capo ci ha fatto dire di correre, di darsi da fare, e si e' messo a parlare nella sua lingua con il riflettore in faccia. Keta gli ha detto: "Scusami se non riesco a piangere". Vlado gli ha detto: "Straniero di merda". Ma lui non ha capito una parola e ha risposto a entrambi: "Okay, okay friends".

Gli adulti volevano allontanarci dai nostri amici feriti, di cui ormai si erano impossessati. Ci trattenevano, ci abbracciavano, ma noi abbiamo resistito finche' non li hanno portati via: non con le ambulanze, che sono arrivate quando tutto e' finito, ma con le famigliari della polizia municipale. Sono stati infilati ognuno in un bagagliaio, ognuno con le proprie cose - Erik col suo braccio avvolto in un lenzuolo. Le loro urla erano coperte da quelle della gente, per cui, quando li abbiamo visti partire, sembrava che stessero zitti.

E' da questa mattina che continuo a pensare all'orango della storia di Zoran. L'ho detto a mia madre quando mi ha svegliato. Le ho detto anche che per un po' preferivo non andare in biblioteca civica e lei mi ha accarezzato come un bambino. Al pomeriggio non sono riuscito a restare in casa. Non ho resistito. Nella mia testa c'era l'orango, dovevo andare al campo. Era come se fosse li' ad aspettarmi, smagrito, con i suoi occhi tondi e la pancia tesa come un tamburo.

Al campo ho trovato Zoran e Vlado. Subito dopo e' arrivata anche Keta, che veniva dall'ospedale ("non me li hanno fatti vedere, hanno detto che Mariana e' fuori pericolo ma non riprendera' a camminare, che Erik restera' senza braccio e che Peter e' in fin di vita"). Lo stupore di essere li', tutti e quattro, e' durato un attimo. Il campo era cosparso di segatura. Detriti di ogni genere erano ammucchiati sull'orlo del cratere. Io ho chiesto a Zoran di parlarci dello zoo e intanto, mentre lui raccontava, mi sono messo a rovistare tra le macerie, cosi', tanto per fare, senza un motivo preciso. Gli altri mi hanno imitato, automaticamente.

Gli animali correvano nelle parole di Zoran e noi guardavamo dentro il buco, tra assi di legno, pezzi di ferro e grosse pietre - io aspettavo l'orango. Finche', d'un tratto, e' spuntato il pallone, il mio pallone. Zoran lo ha preso e, senza interrompere il discorso, e' andato palleggiando verso il canestro buono. C'era di nuovo silenzio al campo. Di nuovo il bosco ci guardava e noi ci siamo rimessi a giocare.


La nostra gente

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