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Joan Miro' a Roma

Paolo Marcesini

 



 

C'era anche la figlia di Mirò, Maria Dolores, piccola ed elegante in mezzo alla gran confusione di fotografi e telecamere. E con lei i figli, Joan e Teodoro. Ci ha detto di essere commossa perché i ricordi che si agitano nella mente sono tanti, troppi, e poi è meraviglioso vedere tutti quei quadri messi insieme, uno dietro l'altro, come i capitoli di un romanzo. Era il giorno dell'inaugurazione al Museo del Risorgimento di Palazzo del Vittoriano della mostra dedicata alle opere del grande maestro catalano (aperta sino al 20 febbraio), "Mirò e la trasgressione", 50 grandi oli e 40 opere grafiche inedite per il pubblico italiano.

Joan Punyet Mirò porta lo stesso nome del nonno e un po' gli assomiglia, è un critico d'arte, trascorreva con lui tutti i fine settimana. Ci racconta di quei lunghi pomeriggi solitari nel suo studio, a vederlo lavorare in silenzio, "Le pareti di quella stanza erano piene di animali imbalsamati, maschere africane. Quando morì avevo quindici anni. Mi lasciò in eredità la sua potenza distruttiva, ancora oggi se chiudo gli occhi vedo le sue mani, le rughe attorno alle dita, le vedo mentre dipinge, il gesto rabbioso, spesso addirittura furioso. Mi ha insegnato che nella vita non esiste mai nulla, di definitivo, che la rabbia muove il destino degli uomini, che la rabbia è un sentimento positivo, da alimentare con fiducia. E poi, che bisogna avere rispetto per la cultura, la natura e il silenzio".

Eravamo agli inizi degli anni Sessanta, quelli che segnano una svolta decisiva nella produzione di Mirò. Il pittore catalano infatti abbraccia l'astrattismo, i colori preferiti diventano il bianco il nero, per il resto usa solo i colori primari il giallo, il rosso, il blu. La sua pittura diventa gestuale, istintiva, apparentemente semplice, violenta. Dice basta alla tradizione, al surrealismo, alle fiabe, ai desideri onirici dell'arte. Sente su di se il peso della storia un grande senso di colpa che gli restituisce memorie di morte.

E' il tramonto dell'Occidente, della civiltà. Si isola. Vuole trovare le immagini per interpretare tutta la tragedia del mondo contemporaneo, annullare il pre-esistente, aggredire con violenza il suo stesso universo pittorico. Guardi i suoi quadri e ricordi le parole di San Giovanni della Croce: "Un pittore deve essere innamorato del silenzio e della solitudine perché soltanto attraverso di essi potrà realizzare un'opera contenente un messaggio al tempo stesso profondo ed elevato. Ha scritto Emilio, l'altro nipote, nel bel catalogo pubblicato da Viviani: "Bruciava le tele con la benzina e una volta che erano state perforate dal fuoco le spegneva con una scopa. Gli spazzolini da denti sparivano da casa perché Mirò li usava per spruzzare di pittura le sue opere. Giocattoli, mascherine e cappelli dei suoi nipotini diventavano parte delle sue sculture in bronzo. Più mio nonno invecchiava e più diventata nel suo lavoro libero e violento".

Già, libertà e violenza. Per Mirò l'unica battaglia che merita di essere combattuta sul serio è quella per la democrazia. Per anni combatte contro la dittatura franchista, odia allo stesso modo il totalitarismo e il conformismo. Sua figlia, Maria Dolores lo ricorda così: "In quegli anni parlava poco, si avvertiva nei suoi occhi un dolore lacerante, uno stato d'animo che preferiva commentare in silenzio, c'era spazio solo per l'espressione dei suoi quadri, dei suoi colori. Stava invecchiando. Passava tutto il giorno a dipingere, mescolava colori e materiali, lo confesso, mi faceva paura, confondevo la vitalità e la forza del suo gesto con un presagio di morte, pensavo che quei quadri fossero troppo audaci. Poi invece pensai, che coraggio mio padre, e divenni orgoglioso della sua forza d'animo, dalla voglia si rimettere in gioco tutti, di assassinare di nuovo la pittura".

Ormai aveva ottant'anni quando compì la "sua" rivoluzione, distrusse il proprio vocabolario artistico e si lasciò guidare dal puro istinto. Gli chiesero il perché di quella scelta stilistica. Lui rispose che: "Voleva togliersi la soddisfazione di dire "merde!" alla gente che vede nell'arte soltanto il suo valore commerciale, a quelli che credono e ammettono che le loro tele valgono una fortuna". Molte sue opere rimasero incompiute. Più dei risultati per lui erano importanti i punti di partenza, "un piccolo seme o un raggio di luce". Diceva: "Qualsiasi forma mi suggerisce una serie di cose e ogni cosa ne fa nascere altre. Il capo di un filo può farmi scoprire il significato del mondo".


Orari

Dal lunedì al venerdì 9,30 - 19,30

Sabato e domenica 9,30 - 20,30

Costo del biglietto

L.14.000 intero

L.10.000 ridotto

Prevendita

Tel. 147882211

http://www.bigliettoelettronico.it
 


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