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Caso Silone/Ipotesi su uno scrittore

Federigo Argentieri

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La tavola rotonda che Reset ha organizzato, svoltasi il 5 marzo scorso, ha preso lo spunto dalle ricerche d'archivio svolte dagli storici Dario Biocca e Mauro Canali, entrambe pubblicate sulla rivista Nuova Storia Contemporanea (rispettivamente a. II n.3, maggio-giugno 1998, e a. III n.1, gennaio-febbraio 1999) e dal dibattito che ne è conseguito.

Al di là del giudizio di merito, tali ricerche hanno avuto il pregio di avviare una discussione, che si spera non risulterà episodica né superficiale, sulla figura di Ignazio Silone, innegabilmente uno dei grandi del Novecento italiano ed europeo; una figura che è ancora assai lontana dall'aver ricevuto adeguata trattazione biografica. Con questo non si vuole dire che manchino gli studi critici sul personaggio: anzi, sul piano letterario Silone è stato ed è tuttora ampiamente trattato, le sue opere sono continuamente ristampate e da decenni incluse nelle antologie scolastiche, come si conviene ad un classico. Mancano però quasi del tutto gli studi sul Silone politico ed intellettuale militante, che visse da protagonista il cinquantennio più importante del secolo, dalla sua iscrizione al PSI nel 1919 alla chiusura di Tempo presente nel 1968; e manca soprattutto una biografia critica complessiva, che sappia adeguatamente trattare sia lo scrittore che il politico che l'intellettuale impegnato, e sia inoltre in grado di scavare nel profondo della complessa identità siloniana e di restituirci il personaggio in tutte le sue sfaccettature.

E' tempo, a più di vent'anni dalla morte e nell'approssimarsi del centenario della nascita, che la cultura italiana rivendichi Silone come il proprio Camus o il proprio Orwell, e che gli studiosi siano in grado di occuparsi della sua vicenda potendo disporre di tutte le fonti necessarie. Purtroppo, come rilevato qui di seguito dal nipote Romolo Tranquilli, la maggior parte dell'archivio personale di Silone è tuttora inaccessibile agli studiosi, il che naturalmente rende impossibile ogni ricerca completa, soprattutto per quanto riguarda gli anni del secondo dopoguerra: non resta dunque che augurarsi che la situazione si sblocchi al più presto, magari attraverso il diretto interessamento del Ministero dei Beni Culturali.

Venendo ora al merito delle ricerche qui discusse, bisogna dire in primo luogo che lo scrupolo professionale dei due studiosi e l'autenticità dei documenti da essi presentati sono al di sopra di ogni sospetto, corroborati da una serie quasi interminabile di riscontri incrociati e da un vaglio minuzioso di tutta la letteratura esistente in materia: è dunque fuor di dubbio che, dal 1919 al 1930 - cioè nel periodo in cui Silone fu militante e poi dirigente dapprima del PSI, poi del PC d'I - egli ebbe rapporti assidui con il funzionario di polizia Guido Bellone, il quale - si badi bene - fino al 1926, anno in cui fu promosso alla sezione politica, si occupava di ordine pubblico in alcuni quartieri di Roma. Non si insisterà mai abbastanza su un fatto: la collaborazione con Bellone è precedente sia al fascismo, che alla prima milizia socialista di Silone. Resta il grande punto interrogativo, senza aver sciolto il quale verosimilmente non si comprenderà mai a fondo il personaggio: per quale motivo esattamente il diciannovenne Silone iniziò questo rapporto, prima ancora di intraprendere la sua militanza politica?

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Bisogna subito dire che il movente economico non convince affatto. Come dice nella tavola rotonda Canali, con toni eccessivamente severi, dal 1919 al 1925 Silone non ha problemi di sopravvivenza, anzi riesce a trovare una sistemazione anche alle due sorelle della sua compagna, e tutto questo grazie allo stipendio percepito come giornalista e dirigente dei partiti della sinistra: si troverà in una situazione di bisogno più tardi, in seguito all'arresto del fratello nel 1928. Inoltre, è legittimo affermare - come fanno Esposito e Tranquilli senza provocare replica - che il disinteresse personale di Silone era al di sopra di ogni sospetto.

Sia permesso a questo punto di passare momentaneamente ad un altro problema, non meno importante: quello delle reazioni suscitate dalle ricerche di Biocca e Canali. Un anno fa, quando uscì il primo saggio, Montanelli affermò solennemente nella sua rubrica quotidiana sul Corriere della Sera che non avrebbe creduto a questa vicenda neanche se Silone fosse venuto a raccontargliela di persona; successivamente, Enzo Siciliano su La Repubblica scriveva frasi indignate, citate da Zani nel suo primo intervento, chiedendosi "in nome di cosa questo bagno di fango venga compiuto". A ciò va aggiunto il fatto che, prima di proporre le sue ricerche alla rivista che le ha pubblicate, di ispirazione chiaramente liberal-conservatrice, Biocca tentò invano di coinvolgerne altre, che a sua detta non vollero neanche prendere in considerazione l'idea. A questi atteggiamenti di rifiuto, comprensibili ma non giustificabili, si sono affiancate alcune incomprensibili e ingiustificabili sguaiatezze di segno opposto, come il fotomontaggio che mostrava Silone in orbace, eccetera.

Tornando al punto di prima, cioè alle ragioni che portarono Silone a collaborare con la polizia, non vi è dubbio che, oltre al movente economico, si debba anche escludere del tutto l'eventualità che il giovane Tranquilli iniziasse una militanza dapprima nel PSI, poi nel PCd'I semplicemente come spia, informatore, delatore, fiduciario o comunque lo si voglia chiamare: se così fosse, non si spiegherebbe in alcun modo il motivo per cui Silone iniziò a scrivere romanzi improntati al problema della giustizia sociale, al riscatto delle masse oppresse, eccetera, dei quali tutto si può dire tranne che non esprimano una genuina sofferenza, vissuta o comunque testimoniata in prima persona. A conferma di ciò, sta non solo l'indiscusso talento politico del nostro, un'autentica innegabile passione, ma anche il fatto che il suo scritto politico più noto, Uscita di sicurezza, è giustamente considerato uno dei capolavori della saggistica del Novecento proprio per la sua autenticità, per il modo impeccabile in cui ricostruisce la mentalità stalinista, e così via: un'impresa impossibile per un cinico infiltrato, oltretutto non in nome del fascismo - siamo del 1919, e Mussolini ha appena fondato il suo gruppo - ma di polverosi e scricchiolanti governi liberali, ipotesi assolutamente poco seria.

Quale fu dunque il motivo? E' evidente che le ricerche debbono continuare, anche se non è illecito avanzare qualche ipotesi. Biocca e Canali proseguono le loro indagini in direzione, tra l'altro, dei danni che l'attività di Silone può aver causato ai suoi compagni del PCd'I dopo il 1926: giusto aspettarne il risultato Troppo poco, però, si è indagato su Guido Bellone, commissario di polizia scapolo che viveva con la sorella nel quartiere Nomentano, da tutti descritto come persona brillante, capace e intelligente: è da escludere l'ipotesi che un rapporto ambiguo, con una componente di plagio da parte del più forte, si fosse venuto a creare tra il funzionario degli interni ed il giovane inquieto? Si può prendere in considerazione l'idea che il rapporto fra i due, comprendente richieste e scambi di informazioni, procedesse parallelamente alle rispettive carriere di poliziotto e di dirigente di partito? Si può pensare che questa doppiezza, un aspetto della quale evidentemente sfuggiva al controllo di Silone, fosse il motivo scatenante delle sue crisi e dei suoi malesseri psico-fisici così frequenti? Infine, è possibile ipotizzare che, per sfuggire al pericolo della follia, Silone abbia voluto rompere quasi simultaneamente sia il rapporto con Bellone che quello con il PCI, rifugiandosi in una clinica svizzera per liberarsi dai suoi problemi ossessivi e abbia poi ricostruito a posteriori la sua vicenda come qualcosa di esclusivamente politico, alterando parte della verità?

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A queste congetture, qualcuno potrebbe contrapporre l'esistenza concreta di Gabriella Seidenfeld, prima moglie di Silone; inoltre, come farà Giuseppe Tamburrano nel prossimo numero di Reset, il fatto che in due rapporti confidenziali su Silone provenienti dal Viminale, datati rispettivamente 1937 e 1957, non si fa parola della collaborazione degli anni Venti, ma ci si limita (nel primo) a segnalare una collaborazione occasionale con le autorità fasciste, fornita da Silone nei primissimi anni Trenta per cercare di aiutare il fratello Romolo, giovane comunista caduto nelle mani del regime. Come si vede, il lavoro di ricerca è appena iniziato ed il mistero è ancora fitto: anche le deduzioni sopra riportate, in forma doverosamente interrogativa, non sono suffragate da alcun documento.

In guisa di conclusione provvisoria, si possono tranquillamente affermare due cose: così come nessuno mai potrà seriamente pensare di sminuire il valore dello scrittore e dell'intellettuale impegnato contro il totalitarismo, è chiaro che la vita - pubblica e privata - di Silone tra il primo dopoguerra e l'inizio degli anni Trenta fu assai più complessa di quanto si immaginasse, e di quanto egli stesso abbia lasciato credere.

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