Reset/"Milano, ti odio!" l'urlo di
Sottsass
Intervista a Ettore Sottsass* di Andrea Begnini
"Larchitetto oggi quando disegna una casa raramente ci mette
vicino dei fiori, una stradina o una copertura allingresso perché si possa aprire
lombrello senza prendere la pioggia, ma sono queste piccole cose che alla fine fanno
la qualità della vita".
Gli oggetti sono "strumenti di arginamento al consumo
dellesistenza, della solitudine e della disperazione", le architetture
"pezzi di teatro del mondo dove la gente potrebbe forse respirare e mettersi al
riparo dallininterrotta volgarità che ci siamo creati attorno". Sottsass,
dentro la città più che altrove volgarità, solitudine e consumo dellesistenza
sono di casa.
Penso sempre a queste cose dalla mattina alla sera, anche se
bisogna dire che le città italiane sono davvero molto diverse tra loro. Alcune sono
inserite in ambienti nei quali si può fuggire e nascondersi, in altre non cè
niente da fare; si è imprigionati dentro la cultura metropolitana e per uscirne si fa
più fatica che a restarci dentro. A Milano per esempio si può viaggiare per un ora fino
a Bergamo o in altre direzioni senza che la città sinterrompa mai. Evidentemente il
problema non è soltanto urbanistico ma soprattutto sociologico, di cultura in generale;
è chiaro che se, oltre alla popolazione, in unarea metropolitana si addensano
parchi di automobili, traffico e informazione pubblicitaria, accompagnare il senso
disperato dellesistenza diventa quasi impossibile e quindi la qualità della vita si
avvicina allo zero assoluto. Io che sono un uomo psicologicamente forte perché ho vissuto
a lungo e sono quindi più preparato a resistere devo dire che a Milano mal sopporto prima
di tutto i rumori. Ma i rumori sono dovuti al fatto che le fabbriche di automobili devono
produrne migliaia al giorno e, visto che da qualche parte le dovranno pur cacciare, non
cè proprio nulla che si possa fare. Alla produzione necessaria segue poi
laggressione dellindustria sullindividuo per costringerlo a comperare
tramite la pubblicità, presente oggi anche sui tram, e tutta quella logica perversa per
cui la vita, le decisioni, il pensiero si accelerano in maniera insopportabile per la
presenza di fax e telefonini, insomma un insieme di problemi che non scopro io per la
prima volta ma che sono quelli che determinano oggi la qualità della vita.
Tutto questo come influenza la sua creatività?
Non ho più tempo per meditare, non ho quasi più solitudine. Se devo
continuamente rispondere a sollecitazioni di questo genere non mi rimane più occasione
per guardare le stelle, per sedermi su un marciapiede e dire "va bene, adesso
sto qui 5 minuti in silenzio", e questo incide sulla struttura più intima di me
stesso come persona qualunque. Forse penso così perché sono vecchio, forse i giovani
questo non lo sentono ai livelli ai quali lo sento io, anzi forse si divertono, si
autoeccitano attraverso la frenesia.
Lo spazio, il verde saranno un lusso nelle città del nuovo Millennio?
Ho recentemente costruito delle case per alcuni miliardari belgi che,
loro si, hanno soldi e spazio, anche se urbanisticamente si potrebbero forse progettare
anche in città delle zone di verde attorno alle case non solo dei ricchi. Già Le
Corbusier immaginava grandi grattacieli però inseriti in parchi. Secondo questa idea lo
spazio interno degli appartamenti verrebbe sacrificato, Le Corbusier immaginava infatti
ambienti molto piccoli pensando di poter ridurre tutte le dimensioni e tutti i movimenti,
mentre gli spazi esterni sarebbero ampi; i grattacieli verrebbero infatti costruiti a una
certa distanza uno dallaltro e non appiccicati come a Manhattan, in mezzo passerebbe
aria e lo sguardo avrebbe garantito il suo possesso di spazi. Il nostro studio è stato
incaricato qualche tempo fa di realizzare un progetto per gli insediamenti che verranno
costruiti attorno al nuovo aeroporto di Seoul, uno dei più grandi dellOriente.
Abbiamo studiato la concentrazione per chilometro quadrato della popolazione ed è
risultato che quella di Seoul è una delle maggiori. Il progetto, cercando di dare più
spazio alla gente, ne diminuiva la concentrazione attraverso lo studio di un sistema di
strade che, assieme a quelle per lo scorrimento delle auto, prevedesse la creazione di una
fitta rete di percorsi pedonali e per le biciclette. Ma, come per Le Curbusier, questa
direzione di lavoro è fortemente utopica.
Pensando alla città ideale larchitettura ha sempre nutrito la
sua ricerca di utopia. Ma come le utopie letterarie si sono sgonfiate con la crisi delle
grandi ideologie, anche larchitettura utopica sembra non trovare più il proprio
spazio.
Quello che penso è che il destino della cosiddetta civiltà
industriale si sia talmente compattato da non avere più bordi, confini; tutto rimane al
suo interno, non cè più niente da fare, non rimane più nemmeno lo spazio per
sognare. Tutte le volte che progetto un qualunque oggetto che non rispetta le leggi del
mercato, mi si dice "questo non si vende, fai piuttosto questaltro..." .
Lindustria produce e per produrre deve vendere, mettere di conseguenza in moto la
sua pazzesca tecnica di vendita che passa attraverso la creazione dei desideri della
gente; le condizioni che vengono imposte sono necessarie al destino, alla vita della
cultura della civiltà industriale. Sono minimi gli spazi per sognare.
Ma lei continua a progettare le sue utopie.
Più o meno riesco a farlo perché trovo qualche pazzo miliardario che
dice "va bene, facciamo la casa così", ma so benissimo che si tratta di
una presenza architettonica che ha un senso molto limitato e relativo. Spero, realizzando
certe utopie, di creare anchio desideri di altro genere, del tipo "ma se quello
lì ha la casa con il patio lo voglio anchio"; ma per il momento non ho molte
speranze, le condizioni sono quelle che sono. Nella mia vita ho fatto uno slalom in mezzo
ai disastri; lo stesso fenomeno Memphis, che è stato un momento forte, come aprire la
finestra e dire "guarda che cè anche questo paesaggio qui, si può anche
immaginare un paesaggio di questo genere", dopo due o tre anni è stato assunto,
consumato, completamente deformato e io per stare in piedi sono finito nelle gallerie
darte, non alla Rinascente ma nelle case dei ricchi collezionisti. Non credo che
progettare oggi sia altro che una forma di lavoro nel vuoto; mi chiedo spesso perché
faccio queste cose, forse per senso etico della vita e questo è già comunque un grande
spazio di utopia.
Pasolini pensava che per accorgersi di ciò che è bello occorresse
avere "unanima bella" e che la grande edilizia residenziale popolare che
ha macchiato il paesaggio urbano di tante periferie cittadine come quella romana fosse e
sia uno scempio per l anima bella.
Quanto accade attorno alle città non riguarda larchitettura ma
piuttosto ledilizia, altrimenti sarebbe come chiamare poesia le frasi dei
pubblicitari. Larchitettura si realizza quando tra chi abita e chi disegna cè
un momento di equilibrio felice, un momento in cui lanima bella è da tutte le
parti. Penso che ancor più in futuro ci sarà grande necessità di edilizia e pochissima
di architettura. Vivere è una cosa estremamente drammatica e credo che il compito di un
intellettuale e anche il mio sia proprio quello di avere unanima bella, di
utopizzare che il futuro della vita sia sempre più determinato dallestetica
piuttosto che dalle quantità e dal denaro. Non dico che non sia necessario vendere o che
non si possano costruire centri commerciali; qualche volta si è perfino arrivati a
disegnare unarea commerciale, un paesaggio non dico poetico ma in grado di aiutare
la vita. Io in fondo però non credo nel destino di queste cose, credo che si possano
continuamente discutere.
Vivere in città ha un costo.
Il costo è altissimo. Lo paghiamo ogni giorno con le bronchiti per
laria inquinata, con il cancro e con la morte agli incroci stradali. E
altissimo anche per una frenesia di distrazione così sollecitata dalle città
contemporanee, una frenesia che si manifesta attraverso i vari alibi seguendo i quali la
vita si vive quasi senza accorgersene perché si sta sempre facendo qualche cosa, alibi
che non sono altro che lo specchio della paura esistenziale che hanno tutti i cittadini.
Gli uomini hanno da sempre avuto paura, certe volte lhanno scaricata nella
religione, adesso forse cè chi preferisce farlo con una motocicletta a 300
chilometri allora, ma si tratta sempre delle manifestazioni di uno stato di terrore.
Forse le persone meno terrorizzate sono quelle che hanno più tempo per pensare alla morte
e piano piano si stancano persino di pensarla e la inghiottono nella propria esistenza. Mi
viene in mente India; lì basta guardare fuori dalla finestra dellalbergo per vedere
un morto che viene portato via. Dopo un po di tempo questo spettacolo, questa
continua presenza della morte crea una forma di dimestichezza che, invece di provocare
isteria, al contrario calma molto. Perfino la malattia costantemente di fronte agli occhi
cessa di essere una provocazione perché pensi "va bene, ho capito che è così,
posso sopportarlo". Nella città contemporanea tutti questi fenomeni vengono invece
sempre nascosti dietro lapparente soluzione di una continuità di energia che,
secondo me, non è altro che un modo per dimenticare, attraverso il quale in realtà si
dimentica ben poco e si sente di più la paura.
LIndia che "non si sottrae e non è ossessionata dalla
contemplazione dello sgretolamento, del decadimento, della degenerazione provocata dal
tempo" e lOccidente che cancella e nasconde in tutti i modi i segni lasciati
dalla vita che scorre sul corpo e negli ambienti che abita; sono entrambi atteggiamenti
naturali?
In Occidente si vorrebbe immaginare il tempo come una continuità
totale, dimenticandosi che il tempo distrugge tutto; in India il fatto che un muro sia
sgretolato non significa che il tempo sia passato quanto piuttosto che il muro è
sgretolato. Una delle prima volte che andai in quel paese ero ospite del pittore Francesco
Clemente vicino a Madras. La mia stanza era grande, vuota e dipinta di un azzurro
bellissimo consumato però a una certa altezza da licheni; mi dava molto fastidio il senso
di corruzione provocato da quei licheni e chiesi al padrone di casa a cosa fossero dovuti.
Mi spiegò che cera stata uninondazione e lacqua, entrata dentro, aveva
lasciato quelle tracce. Lì per lì la cosa mi infastidì ancora di più, poi, piano
piano, subentrò un senso di calma totale per il fatto che la stanza aveva dentro di sé
il germe del tempo che passa, perché era mia compagna e noi due non eravamo cose diverse
con percorsi vitali differenti. Per questo dico che ci sono modi per poter diminuire la
paura; quando in primavera ci sediamo sotto un albero allombra cè un momento
in cui non abbiamo paura, siamo in un contatto totale con il tempo che passa. Le città
che si potrebbero progettare in futuro dovrebbero proprio essere congegnate in modo da
rispettare attraverso la disposizione di spazi, vie di comunicazione e luci i momenti di
possibile meditazione come questi, la vera qualità della vita che smorza la paura.
Sto preparando un piccolo libro che si chiamerà "Trattato di
architettura" anche se non sarà un vero trattato. In uno dei disegni del libro
cè mia madre che cuce un paio di calze vicino a una piccola finestrina dalla quale
si vedono le montagne. Per me questa è unimmagine pazzesca di equilibrio totale, di
una forma di felicità evidentemente prodotta anche dalla possibilità di sentirsi in una
atmosfera di calma totale, possibilità io credo oggi molto difficile da sentire anche per
un giovane.
Come sarà progettare per la nuova società, per città dove il lavoro
sembra destinato a diminuire e il tempo libero a diventare unesigenza da inventare?
Ho fatto dei disegni che si chiamavano "Il pianeta come
festival" dove appunto ho immaginato che non si lavorasse più; in questa condizione
il tema dellarchitettura ovviamente cambia perché si tratta di progettare lunapark,
spiagge, discoteche. Ho immaginato chiatte che discendono il grande fiume Mekong
ascoltando Mozart, autostrade sotto il fiume dove si può passare in bicicletta, stadi di
perplex dove trascorrere la notte guardando le stelle e lacqua correre sotto i
piedi, una società dove non ci sono nemmeno più i centri commerciali e dalle fabbriche
completamente automatizzate i prodotti vengono spediti per posta pneumatica nei luoghi
più lontani; ho immaginato distributori di Lsd e di gas esilarante. Forse questi
sarebbero soltanto sistemi diversi per alleviare la paura perché il tema di base rimane
comunque lincognita della nostra esistenza. Io non so giudicare, credo di sapere
soltanto ciò che posso toccare con le mie mani che sono molto brevi, non vanno molto
lontano; so disegnare bene una stanza dove uno può fare bene lamore per esempio,
penso di poterlo fare, o penso di saper progettare la dimensione di certe finestre, ma non
credo di poter disegnare il futuro dellumanità e nemmeno di pensarci.
"Le finestre di Le Corbusier sono vere finestre e non tagli nel
muro". Quanta poca qualità nei condomini di città, muri vuoti che lasciano passare
tutti i rumori, finestre che sono appunto solo tagli nel muro...
Certamente la storia dellarchitettura è fatta dalla storia delle
finestre, perché una volta la finestra non doveva essere grande sia per difesa sia per
non fare entrare il freddo. Oggi che non importa più né cosa cè fuori né cosa
cè dentro, al punto che chi abita nei grattacieli o nei grandi condomini non esce
più con lo sguardo perché tanto cè un altra costruzione subito incollata, la
finestra diventa come un mattone qualsiasi. Io penso che la finestra sia un elemento
importante nel rapporto tra interno ed esterno, che ogni luogo dovrebbe avere una sua
finestra diversa e che ogni finestra dovrebbe essere messa in modo ragionato così come la
porta che è un momento di passaggio tra il caos esterno e il supposto ordine interno.
Questo significa per me pensare alla qualità della vita e progettare per essa;
larchitetto oggi quando disegna una casa raramente ci mette vicino un albero, o dei
fiori o una stradina o una copertura allingresso perché si possa aprire
lombrello senza prendere la pioggia, ma sono, ripeto, queste piccole cose che alla
fine fanno la qualità della vita. I discorsi che faccio possono sembrare un po
retorici, ma sono queste le cose a cui in realtà io continuo sempre a pensare, almeno nei
limiti nei quali questo mi è concesso.
*Chi è
Ettore Sottsass nasce in Austria a Innsbruck e si laurea in
architettura nel 1937 a Torino. Negli Anni Sessanta e Settanta collabora con Olivetti e ne
diviene il responsabile del design dei sistemi; progetta tra laltro la macchina da
scrivere Valentine completamente rossa e il modello elettrico Tekne 364. Fonda nel 1980 lo
studio Sottsass Associati e partecipa alla formazione del gruppo Memphis nel 1981, uno dei
centri internazionali di ricerca nel design più influenti e innovativi degli ultimi anni,
da cui ne esce nel 1985. Tra le altre sue esperienze professionali si ricordano
ledilizia popolare per lIna case, la progettazione di mobili per Poltronova
fino al 1973 e, più recentemente, design industriale per clienti come Apple, Philips e
Ntt, ville in Cina, Belgio e Hong Kong e il progetto per la costruzione di città di
servizi attorno al nuovo aeroporto di Seoul. Le citazioni tra virgolette nelle domande
sono tratte dal libro intitolato "Ettore Sottsass", pubblicato da Electa nel
1993, testo di Barbara Radice.
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