Caffe' Europa
 
Rassegna Internazionale




Die Zeit / Hobsbawm: se il secolo breve finisce in frantumi

Raffaele Oriani

 

Die Zeit, 12 maggio 1999

Sempre la guerra nei Balcani in primo piano sulla Zeit. Molti i servizi e gli articoli in cui si soppesano le alternative e si descrive il vicolo cieco in cui il conflitto sembra essersi arenato. Il titolo d’apertura e’ dedicato ai profughi e alla necessita’ di preservare gli stati confinanti dalla destabilizzazione in agguato: nell’articolo Andrea Boehm si chiede se gli europei attenderanno i primi roghi in Macedonia per avviare un serio programma di accoglimento dei diseredati del Kossovo. Ma e’ un lungo saggio di Eric Hobsbawm a continuare questa settimana la riflessione avviata da qualche tempo dalla Zeit sul tema del razzismo e della violenza del ventesimo secolo. Lo storico inglese ripercorre la storia dell’idea di nazione e della aspirazione tarda e moderna ad uno stato etnicamente omogeneo. Ci sara’ una ragione si chiede Hobsbawm se all’inizio del secolo gli stati europei sono diciannove, nel 1938 ventinove, ora quaranta e domani chissa’ quanti: il fatto e’ che da quasi un secolo la nazione ha perso la sua forza aggregante per diventare un fattore di divisione e miniaturizzazione delle comunita’. Le nostre societa’ sembrano d’altronde patire tutte di una strana malattia disgregante che affonda le radici negli anni sessanta e nelle rivendicazioni di gruppi etnici, di genere, culturali che confluirono nei movimenti di protesta del ‘68 e defluirono poi nelle forme piu’ diverse e non sempre innocue. Da una parte la nazione, quindi, dall’altra le identita’ culturali: e’ questo il quadro disgregatore in cui va inserita la guerra in corso in questi giorni e la fine della Yugoslavia. Secondo Hobsbawm non saranno allora le bombe della Nato a poter risolvere il problema, ma solo una paziente opera di mediazione a politica e culturale.

Dopo aver digerito le dimissioni clamorose dell’uomo simbolo della vecchia Spd da ministro delle finanze, la stampa tedesca e’ ora in attesa di un altro abbandono da titoli cubitali. Dopo Oskar Lafontaine sembra insomma che sara’ presto l’ora del ministro del lavoro Walter Riester. Presentato un anno fa come uno degli uomini chiave della squadra di rinnovatori attorno al candidato cancelliere Gerhard Schroeder, Riester e’ nel frattempo diventato il nuovo simbolo della vecchia guardia, di quella corposa fazione della Spd che non rinuncia al ruolo tradizionale in difesa del lavoro dipendente e non vuol sentir parlare di flessibilita’, nuovi rapporti di lavoro, esenzioni fiscali. Un articolo della Zeit ripercorre la carriera dell’ex leader sindacale e ne descrive la sorprendente metamorfosi attraverso titoli di giornale, atti concreti, repentini cambiamenti di posizione. Sullo sforno il malumore del cancelliere e del suo entourage, in primo piano le inquietudini di un uomo che si trova a rappresentare un ruolo diverso da quello per cui era salito agli onori ministeriali.



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