Medio Oriente: la sobria faziosita’
di Time
Raffaele Oriani
Time, 13 novembre 2000
Tornano
le bombe islamiche nelle strade israeliane e si ravviva ovviamente l’interesse
di Time per il problema medio-orientale. La testata americana non
perde occasione per esprimere la sua visione apparentemente oggettiva,
in realta’ profondamente di parte del conflitto israelo-palestinese.
In una lunga corrispondenza da Gerusalemme non si fa infatti
praticamente menzione dei morti palestinesi, si descrive invece con
dovizia di particolari fisici e psicologici la sorte delle vittime e
il dolore della comunita’ ebraica per l’attentato che nei giorni
scorsi ha scosso le strade di Gerusalemme. E’ davvero l’approccio
peggiore che si possa avere al conflitto, probabilmente la fonte
stessa della disperazione palestinese, della paura israeliana e della
incredibile ondata di violenza che da ormai piu’ di un mese continua
senza che nessuno possa porvi rimedio. Lunedi’ Repubblica pubblica
il limpido articolo con cui lo scrittore israeliano David Grossman va
senza pudori al cuore del problema (gli insediamenti dei coloni in
territorio palestinese), martedi’ Time pubblica il suo servizio che
ripropone il solito armamentario di vetusti stereotipi: i palestinesi
sempre sul punto di ridiventare terroristi, il premio Nobel per la
pace Shimon Peres che fa di tutto per calmare l’irascibile leader
Arafat (ma non era premio Nobel anche lui?), gli estremisti che
prendono il sopravvento senza motivo, quasi fossero una calamita’ di
stagione. Per fortuna e’ una ricostruzione dei fatti cui non crede
nessuno e per fortuna la Casa Bianca rilancia per l’ennesima volta i
colloqui di pace tra le due parti in lotta. La sensazione e’ che,
nonostante la visione apocalittica di Time, un accordo sia ancora
possibile e che sia tutt’altro che preclusa la via verso un’equa
soluzione di un conflitto che ha finito da tempo di mettere in
discussione l’esistenza dello Stato di Israele e che al momento vede
i ragazzi palestinesi rivendicare semplicemente la possibilita’ di
disporre della propria vita all’interno dei propri villaggi.
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